Il 'corridoio della morte' iraniano è aperto agli affari
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
L’ Iran è riapparso nei notiziari della scorsa settimana, quando il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha intrapreso un tour di quattro giorni in Medio Oriente iniziando da Israele, ma probabilmente l'evento più significativo che ha avuto un impatto sulla reputazione internazionale della Repubblica Islamica si è svolto nella lontana Stoccolma. Il 7 luglio scorso, un tribunale svedese ha condannato all'ergastolo un ex agente del regime iraniano, Hamid Nouri, per il suo ruolo nei massacri di prigionieri politici nel 1988, verso la fine della guerra durata otto anni tra l'Iran e il vicino Iraq. In seguito alla soffiata del parente di una delle sue vittime, la polizia svedese aveva arrestato Nouri quando, nel novembre del 2019, era volato a Stoccolma e da allora l’aveva trattenuto in carcere. Secondo la sentenza del tribunale la scorsa settimana, per la prima volta un funzionario iraniano è stato “ritenuto responsabile di atrocità di massa”, a detta di Hadi Ghaemi, direttore esecutivo del Centro per i Diritti Umani in Iran (CHRI) con sede a New York. Il processo a Nouri ha fornito uno sguardo straziante sul sistematico abuso dei diritti umani nella Repubblica islamica. Ben 58 testimoni hanno testimoniato contro di lui, rievocando le esecuzioni di circa 5.000 prigionieri politici nazionalisti di sinistra e laici. Membro del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) dell'Iran, Nouri aveva prestato servizio come guardia carceraria nella prigione di Evin a Teheran e nella prigione di Gohardasht fuori dalla città iraniana di Karaj, dove aveva affiancato la cosiddetta “Commissione della morte” guidata da tre giudici, uno dei quali, Ebrahim Raisi, è ora Presidente dell'Iran. I sopravvissuti ai massacri, molti dei quali dell'organizzazione di guerriglia Mujahedin-e-Khalq (MeK), hanno raccontato storie macabre di torture e impiccagioni di massa. Nouri in particolare è stato identificato come uno dei funzionari che presidiavano il “corridoio della morte”, il passaggio che i condannati a morte dovevano percorrere per raggiungere la camera d’esecuzione. Nouri ha insistito per tutto il processo sul fatto che le accuse contro di lui erano false, ma il giudice che presiedeva il caso, Tomas Zander non è stato d'accordo, ritenendo mentre pronunciava il verdetto, che “non è emerso nulla di sostanziale che desse alla corte motivo per mettere in dubbio l'affidabilità e la solidità dell'indagine.” Nel frattempo, il regime iraniano ha reagito immediatamente, condannando come politicamente motivato, quello che ha descritto come un attacco al sistema giudiziario della Repubblica Islamica.
Ma tali lamentele significano poco quando l'impressione indelebile lasciata dal processo è che lo stesso regime responsabile delle atrocità del 1988 rimane tuttora al potere. In effetti, il ‘corridoio della morte’ supervisionato da Nouri è ora diventato un'impresa regionale, poiché l'Iran continua a sostenere i suoi surrogati terroristi in Medio Oriente, facendo precipitare il Libano in una crisi umanitaria, impedendo l'emergere di uno Stato curdo indipendente nel Nord dell'Iraq, alimentando la feroce guerra civile in Yemen e opponendosi zelantemente a qualsiasi passo verso un accordo di pace tra Israele e i palestinesi, che potrebbe proteggere l'esistenza sovrana dello Stato ebraico. In poche parole, la morte è la valuta principale della Repubblica Islamica. L’Iran si è anche avventurato più lontano in Europa e in America Latina, dove ha stabilito forti legami con il Venezuela e altri governi autoritari di sinistra. Inoltre, l'Iran ha sempre avuto un rapporto proficuo con la Russia con una significativa componente militare, che ora potrebbe avere un impatto sulla guerra in Ucraina. Mentre Biden preparava la sua partenza per il Medio Oriente, una conferenza stampa della Casa Bianca ha rivelato che l'Iran stava progettando di fornire al Presidente russo Vladimir Putin “centinaia” di veicoli aerei senza pilota, inclusi droni armati, da utilizzare nell'aggressione di Mosca contro il suo vicino meridionale. Come ha osservato il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan, l'Iran aveva già fornito le stesse armi ai suoi alleati Houthi nello Yemen. Date le sue violazioni seriali nel corso di quasi mezzo secolo, l'Iran difficilmente può essere considerato un partner affidabile nei negoziati.
Quando fa una trattativa, come nel caso dell'accordo nucleare del 2015, i suoi rappresentanti si sono dimostrati abili nell'estrapolare le concessioni che consentono loro di apporre le loro firme. Con il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA, il nome tecnico dell'accordo del 2015) inalterato, l'Iran può guardare a una “clausola di decadenza” che gli consentirebbe di sviluppare liberamente un'arma nucleare all'inizio del prossimo decennio. Senza di esso, come è effettivamente avvenuto da quando gli Stati Uniti si sono ritirati dal JCPOA nel 2018, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) il regime ha continuato con le sue attività nucleari clandestine e ora possiede 95 libbre (43 kg) di uranio arricchito al 60 per cento di purezza. Secondo gli esperti, questa è una quantità di materiale fissile sufficiente per una singola bomba nucleare, sebbene per il sistema di lancio ci sia ancora da lavorare. Biden è stato decisamente più cauto dell'amministrazione Obama, che aveva negoziato l'accordo originale, per quanto riguarda le intenzioni iraniane. Eppure la Casa Bianca continua a sperare in una risoluzione diplomatica delle tensioni con l'Iran, anche se, allo stesso tempo, ammette che ci sono poche possibilità per un tale esito. I giornalisti che hanno accompagnato il Presidente in Israele si sono impegnati in confronti forensi tra le dichiarazioni di Biden e quelle del Primo Ministro israeliano Yair Lapid sull'argomento dello sviluppo nucleare dell'Iran in corso. Lapid ha dichiarato forte e chiaro, che se l’arricchimento fosse continuato, sarebbe stato affrontato con la forza, mentre Biden, nelle parole del New York Times, “si è limitato a parlare di impedire all'Iran di ottenere un'arma, non un programma che potrebbe essere destinato a svilupparne una.” Biden ha utilizzato con l'Iran una formula più generale, declinata anche da Obama; vale a dire, che “tutte le opzioni” rimangono sul tavolo quando si tratta delle ambizioni nucleari dell'Iran. Eppure, per il momento, ciò che spicca, è che la Casa Bianca di Biden è ben felice di mantenere un velo di ambiguità sulla sua politica iraniana. Ed è probabile che il desiderio di Israele di utilizzare la mediazione di Biden per assicurarsi un accordo di pace formale con l'Arabia Saudita, insieme agli accordi di pace già raggiunti con Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Sudan e Marocco, mitigherà le proteste di Gerusalemme sulla politica USA nei confronti dell’Iran. Il risultato è che, nonostante tutto l’interesse retorico irradiato verso l'Iran durante il tour di Biden in Medio Oriente, il suo “corridoio della morte” rimane aperto agli affari. Dalla rivoluzione islamica del 1980, i governi occidentali che si sono succeduti hanno preso a calci la lattina per strada, nella speranza che le future amministrazioni riuscissero a tenere a freno Teheran, dove loro hanno fallito. Ora che l'invasione russa dell'Ucraina ci ha mostrato dove può portare tale arrendevolezza, l'Occidente commetterà di nuovo lo stesso errore? Finora, la risposta americana sembra essere: “forse.”
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate