Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/07/2022, con il titolo 'Su Adelphi non staremo a guardare' l'intervista di Dario Olivero.
Anna Katharina Fröhlich con Roberto Calasso
Roberto Calasso è morto un anno fa, il 28 luglio. Signora Fröhlich, come ha passato questi 12 mesi? «Ho passato molti pomeriggi a leggere i suoi libri, cominciando non so perché da Il cacciatore celeste e poi andando avanti con gli altri. Tanti pomeriggi. Li ho riletti tutti. Era un modo per essere più vicina a lui». È il solo momento di debolezza per Anna Katharina Fröhlich, madre dei due figli dell’editore e patron di Adelphi, che parla per la prima volta da quel giorno di luglio e per qualche secondo cede alla commozione. «Tancredi non mi perdonerebbe queste lacrime», dice riprendendosi immediatamente. Tancredi è il figlio quindicenne, erede insieme alla sorella ventiquattrenne Josephine, del 48 per cento delle quote della casa editrice. Sono gli azionisti di maggioranza, perché così ha deciso Calasso: del 71 per cento delle quote che possedeva, metà sono andate ai figli e il resto alla moglie Fleur Jaeggy e al nipote Roberto Colajanni che a Calasso è succeduto alla guida in casa editrice come amministratore delegato e direttore editoriale. Il resto dell’azionariato è diviso tra la famiglia Zevi e l’imprenditore Francesco Pellizzi. La presidente è Teresa Cremisi. Da pochi giorni è stato sottoscritto un patto di sindacato tra gli azionisti che sancisce l’attuale assetto societario e stabilizza la casa editrice per i prossimi cinque anni. Una sorta di “pax adelphiana”.
Tutto bene dunque? Non proprio, a sentire Anna Katharina Fröhlich che nel suo italiano da traduttrice e scrittrice madrelingua tedesca, commenta: «Avremmo voluto un patto di sindacato più pervasivo, più articolato, con regole di governance più stringenti. Ma intanto siamo soddisfatti dell’impegno di tutti gli eredi a non vendere per cinque anni. Perché, come disse Calasso nel 2015, quando riprese il controllo di Adelphi: la proprietà delle azioni, in una casa editrice, non è un dettaglio».
Si è molto parlato, inevitabile quando si tratta di un uomo come Calasso, del “mistero” del suo testamento. Che cosa c’era scritto? «Era un testamento molto articolato, soprattutto nella divisione di libri e opere d’arte; prevedeva collocazioni temporanee, attribuzioni di immobili e soluzioni complesse sul fronte dei diritti. Gli avvocati hanno dovuto lavorare parecchio sugli aspetti regolamentari. Ma sulla sostanza patrimoniale il testamento era invece molto chiaro, tanto che a un accordo si è arrivati subito».
Lei alla morte di Calasso è entrata nel cda di Adelphi. Come ne valuta l’operato? «Quando — 2 settembre dell’anno scorso — il cda ha nominato Roberto Colajanni amministratore delegato e direttore editoriale, noi soci di maggioranza non siamo stati non dico richiesti di una opinione ma neppure avvisati. Con tutta la buona volontà, abbiamo fatto una certa fatica a capire».
Non si sente rappresentata? «Voglio chiarirlo subito: Colajanni al momento ci rappresenta. E proprio perché ci rappresenta, chiediamo a lui di affrontare la vicenda di una Adelphi dopo Calasso presentando ai soci un piano industriale — e, in particolare editoriale — che sia all’altezza di una sfida assai complessa, per le ragioni che è facile immaginare. Vorremmo vedere un programma che ci convinca. Non ci sono cambiali in bianco, né tantomeno investiture divine. Colajanni deve sapere che può contare sulla nostra lealtà, ma anche che, da parte nostra, contiamo sulla sua volontà di coinvolgimento. Chiediamo insomma di lavorare tutti insieme a un vero progetto».
Insomma, vi sentite esclusi nonostante siate maggioranza? «Il modello Calasso è irripetibile, certe sue solitudini non possono essere replicate. Sarebbe goffo e appunto, impossibile. Ora bisogna affrontare il futuro in un altro modo».
Per esempio? «Ci sono state uscite importanti dalla casa editrice. Ci è spiaciuto, per esempio, che Matteo Codignola abbia lasciato. C’è poi, certamente, la questione, inevitabile, del ricambio generazionale. È il momento di attrarre nuovi, giovani talenti».
Non teme che Adelphi possa perdere il carisma che le viene dalla sua tradizione, dal suo catalogo? «Il catalogo Adelphi è una grandissima forza. Ogni anno, oltre a circa 60 novità, si ristampano centinaia di titoli che continuano a essere richiestissimi. Ma non possiamo cullarci sul catalogo. Il catalogo non è un punto d’arrivo, è un processo, un organismo vivo, cresciuto nel tempo grazie alle scelte lungimiranti di Calasso e delle persone che lavoravano insieme a lui. Anche, e forse soprattutto, grazie alle scommesse che sembravano più eccentriche, o imprudenti, o inattuali».
Ha parlato di questo con Colajanni? Ha avuto reazioni? «Sono lettrice Adelphi da moltissimi anni, e mi aspetto il fervore “calassiano” sulle più recenti proposte e sulle nuove indicazioni. I libri che escono ora sono in buona parte ancora quelli scelti da Calasso. Ma tra breve dovremo fare da soli».
Non è di certo un compito facile per Colajanni rivestire il ruolo che fu di Calasso, non pensa? «Quando Colajanni si è insediato ha chiesto tempo per capire, studiare e organizzarsi. Era una richiesta legittima, e nessuno ha obiettato. Ora però deve cominciare una fase diversa, quella della condivisione. Al prossimo cda del 20 luglio chiederemo nuovamente un piano industriale e spero che questa proposta venga accolta».
Suona come un ultimatum. «Non lo è. I figli di Calasso e io, che rappresento il minore, non intendiamo fare gli azionisti “dormienti”. Né ai ragazzi né a me interessa soltanto staccare i dividendi a fine anno. Se Colajanni garantirà — come confidiamo — risposte adeguate, saremo i primi a sostenerlo lealmente. Intanto abbiamo garantito stabilità. In cambio, lo ripeto, ci aspettiamo un atteggiamento molto più aperto».
Quali sono i suoi rapporti con l’altro azionista, la famiglia Zevi? «Elisabetta Zevi rappresenta uno dei pilastri su cui Adelphi — che ha preso le mosse con suo padre — tuttora si sostiene. L’ho conosciuta dopo la morte di Calasso e abbiamo registrato una comunanza di sentimento rispetto al futuro. Compreso lo stesso desiderio di una governance nella quale gli azionisti abbiano un ruolo più netto. Anche il figlio di Elisabetta, Giovanni, che ha acquisito recentemente le quote della sorella di Elisabetta, sembra molto interessato al futuro di Adelphi. È uno scienziato di 36 anni, una persona di grande spessore».
E i suoi figli? Che cosa pensano? «Tancredi ha la testa e anche il carattere di suo padre. È forte, poco sentimentale. Studia al liceo classico di Salò. Succede ancora oggi che leggiamo insieme ad alta voce certi libri, come si faceva nella mia famiglia, che è una famiglia di scrittori ed editori».
E Josephine? «Neanche lei scherza come carattere. Negli ultimi anni si era molto, molto avvicinata al padre. Passavano ore a chiacchierare. Credo che Calasso le abbia trasmesso molte delle sue passioni intellettuali. Nei mesi passati Josephine ha fatto uno stage in Adelphi e ne è stata entusiasta».
Sogna che un giorno uno o due Calasso guideranno Adelphi? «I sogni sono molto pericolosi. Un’eredità come quella di Calasso potrebbe schiacciare chi la riceve, trasformandosi in un incubo. Roberto ed io non abbiamo mai parlato di questo. Abbiamo sempre pensato che i nostri figli dovessero scegliere liberamente cosa fare nella vita. Liberamente significa con leggerezza».
Che idea si è fatta del futuro che Calasso aveva in mente per Adelphi? «Temeva che Adelphi potesse diventare una specie di museo. Non dovrà accadere».
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