Germania, fai carriera solo se parli bene dell’islam Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 15 luglio 2022 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «La Germania si interroga sulla 'spirale del silenzio' nella cultura»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/07/2022, a pag. 2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo "La Germania si interroga sulla 'spirale del silenzio' nella cultura".
Giulio Meotti
Roma. Racconta la Frankfurter Allgemeine Zeitung che la professoressa Susanne Schröter, direttrice del Centro di ricerca di Francoforte e professoressa all’Istituto di etnologia, ha riferito che la posizione sull’islam di un giovane ricercatore gioca ora un ruolo importante nella sua futura carriera. “Se parla bene dell’islam, farà carriera, altrimenti no”. Schröter denuncia la cancel culture che cerca di bandire dalle università posizioni politicamente sgradevoli. Riferisce di dottorandi le cui dissertazioni non sono state accettate perché trattavano argomenti “sbagliati”. Ad esempio, i “delitti d’onore” nell’islam. “Se un antropologo si occupa di islamismo, la sua carriera è finita”, ha detto Schröter. La biologa Marie Luise Vollbrecht voleva parlare di come in biologia ci siano solo due sessi. Ma si è vista togliere la parola all’Università Humboldt di Berlino (dove ha insegnato Hegel e studiato Einstein e Planck). Il socialdemocratico Wolfgang Thierse ha suscitato clamore sostenendo sulla Faz che “i dibattiti su razzismo, postcolonialismo e genere stanno diventando più aggressivi”. Presidente del Bundestag dal 1998 al 2005, Thierse ha visto le sue parole apostrofate come una “vergogna” dalla presidente dell’Spd, Saskia Esken. “Non possiamo più parlare liberamente e disinibitamente senza essere insultati e sospettati di essere reazionari e omofobi”, ha risposto Thierse. Il libro della celebre saggista tedesca Ulrike Ackermann la chiama “la nuova spirale del silenzio”. I dogmi dei nuovi moralisti, scrive Ackermann, sono tanto diretti quanto irremovibili: “Non esisterebbe genere biologico, solo i bianchi possono essere razzisti, il nostro linguaggio è sessista, gli uomini sono tossici e le conquiste centrali della modernità come l’illuminismo, la ragione, la scienza o i diritti umani, che dovrebbero avere validità universale, non sono altro che un mezzo di potere per un'élite bianca e maschile”. I limiti di ciò che si può dire non si stanno restringendo solo all’università, dice Ackermann, ma ovunque nella società. Il pericolo maggiore viene dalla “pressione morale del politically correct e della cancel culture che hanno non solo cambiato la situazione all’università, ma ha anche trovato la loro strada in tutti i campi sociali e politici”.
Anche il politologo Jürgen Falter vede la cultura minacciata dalla censura. Così, assieme ad altri quattrocento accademici, ha lanciato la “Rete per la libertà scientifica”. “Pensiamo all’assurda richiesta di rimuovere Kant o Hegel dalle biblioteche perché razzisti” dice Falter a esempio di un politicamente corretto ormai fuori controllo. “Ci dirigiamo verso la censura e la schiavitù interiore. Ci sono sviluppi molto preoccupanti, soprattutto nelle scienze umane e sociali”. Secondo Falter, i problemi iniziano nel Sessantotto: “Il bersaglio delle proteste studentesche erano e sono gli insegnanti liberali e conservatori, perché non rientrano nella loro visione del mondo. Ora sta tornando in una veste diversa, combattendo la discriminazione contro le minoranze di tutti i tipi”. Settanta accademici hanno fondato l’Iniziativa contro le restrizioni alla libertà accademica. Tra i firmatari si annoverano Ackermann, la filosofa Maria-Sibylla Lotter e gli storici Andreas Rödder e Sandra Kostner. La metà dei fondatori è stata oggetto di campagne di esclusione. Il giurista Reinhard Merkel ha parlato di “minaccia latente di una sanzione informale”. Lo storico Rödder parla di sottili metodi di esclusione, dal rifiuto di pubblicazioni o di finanziamenti per ricerche su temi che non sono più parte del “corridoio morale” accettato.
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