Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/07/2022, a pag. 1, con il titolo "La guerra lunghissima", il commento di Micol Flammini.
Micol Flammini
Sergei Lavrov
Roma. La storia della Russia non si è mai interrotta. Dagli zar all’Unione sovietica a oggi, è sempre la stessa nazione, sempre lo stesso impero che persegue, a livello internazionale, politiche in continuità. La storia dell’invasione russa contro l’Ucraina, che ha riportato la guerra nella quotidianità dell’Europa, è il risultato di questa continuità, che deve essere interrotta se non vogliamo che la Russia, un paese confinante, ricco di materie prime e fino a febbraio integrato nell’economia globale, non sia per sempre una minaccia. Akhmed Zakayev, leader del governo ceceno in esilio, la Russia l’ha sempre combattuta per la libertà della sua Cecenia, oggi repubblica della Federazione russa che ha cercato di conquistare la sua indipendenza e ha pagato un prezzo molto alto. “Ho capito che tipo di minaccia fosse la Russia già prima delle guerre del 1994 e del 1999, avevo chiaro che indipendentemente dal tipo di potere che si sarebbe insediato al Cremlino, Mosca avrebbe sempre cercato di svilire il popolo ceceno. La Russia degli zar, la Russia sovietica, quella che abbiamo chiamato la Russia democratica hanno portato avanti interessi simili, minacce costanti”. Zakayev è venuto in Italia per prendere parte alla campagna “Putin all’Aia” dei Radicali italiani, vive a Londra da anni, ed è l’opposto di Ramzan Kadyrov – è elegante nei modi e parla un russo raffinato – ascoltandolo, guardandolo, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a quello che la Cecenia sarebbe potuta diventare, ma che la Russia non ha voluto diventasse.
“Negli anni della Perestrojka di Gorbaciov, la formazione di uno stato ceceno sembrava possibile e noi abbiamo iniziato a crederci. Era una chance unica, perché esistevano anche delle forme legittime per lavorare alla nostra indipendenza. Negli anni Novanta ho iniziato a prendere parte a qualsiasi attività avrebbe potuto portare alla formazione di un nostro stato, consapevole che non fosse soltanto un’operazione politica, ma anche un processo culturale, letterario, teatrale. Durante l’Unione sovietica, le leggi della Cecenia dovevano essere uguali a quelle del centro, con Gorbaciov si era aperto uno spiraglio e io ero sicuro che la creazione di un nostro stato avrebbe anche contribuito a rendere più sicuro il popolo ceceno. Diventare indipendenti da Mosca voleva dire che il nostro futuro, il nostro destino non sarebbero dipesi dalle relazioni con un uomo seduto al Cremlino o dal suo umore. Voleva dire la fine delle intromissioni e anche dei capricci. Per questo ho combattuto nella Prima guerra cecena: per la libertà. Ora la nostra repubblica è di nuovo occupata”. A guidarla è Ramzan Kadyrov, molto legato a Vladimir Putin: tra i due c’è una dipendenza reciproca. Kadyrov ha portato i suoi uomini a combattere contro l’Ucraina, e i suoi uomini, i kadyrovcy, sono tra i più spietati. Il loro capo, dai modi tirannici e grotteschi, si vanta dei loro successi, spesso anche quando non ci sono. L’importante è far vedere, far sapere a Putin che i suoi uomini stanno combattendo la sua guerra, che sono sanguinari, brutali, e che lui, Kadyrov, non lo abbandonerà. Di recente ha pubblicato un video in cui un attore che interpreta il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si presenta davanti a lui con il naso sporco di polvere bianca per chiedere perdono. Il perdono non gli viene concesso. Per Zakayev non c’è interruzione nella storia russa e nemmeno in quella cecena e questa guerra scatenata contro l’Ucraina è anche la prosecuzione di quella contro Groznyj: è la Terza guerra cecena. “Oggi nella guerra in Ucraina, Putin distrugge anche i ceceni. Manda la gioventù cecena nelle braccia dei cosiddetti kadyrovcy. In questo modo continua il massacro del popolo ceceno, che si è trasformato in carne da cannone. Non c’è differenza tra quello che vuole fare agli ucraini e quello che vuole fare ai ceceni. Ottiene due obiettivi: trasforma i ceceni nei nemici principali di Kyiv e continua a ucciderli”. Quella che si era aperta durante la Perestrojka non era soltanto l’opportunità per il popolo ceceno di diventare indipendente, ma anche quella per la Russia di prendere un nuovo corso, di rompere la continuità con il periodo sovietico e anche con quello zarista. Oggi la Russia è una federazione che racchiude al suo interno nazionalità, lingue e tradizioni, ma che conserva ancora la struttura di un impero. “La Russia, nonostante sia stata dipinta spesso come democratica, continua a essere un impero che distrugge la voglia di indipendenza, distrugge le altre nazionalità portando avanti una politica di russificazione dell’impero”. Dice Zakayev che alcuni popoli hanno smesso di esistere e che tanto del futuro dei ceceni e di altri che fanno parte della Federazione russa, ma anche degli ucraini, dipende dal rapporto dei paesi occidentali con la Russia. “La libertà e l’indipendenza di tanti popoli sarà possibile quando il mondo capirà come relazionarsi con la Russia, che rimane un impero che soffoca nazioni più piccole, proprio come succedeva duecento anni fa. Il rapporto che c’è tra Mosca e le altre repubbliche è da colonizzatori e colonizzati”. E ora questo desiderio di colonizzare non è più contenuto soltanto nei confini della Federazione russa, è uscito fuori, ha travolto la vita, la quotidianità di una nazione sempre più affacciata a ovest come l’Ucraina e che sulla sua indipendenza aveva già deciso più di trent’anni fa ma che Mosca, evidentemente, non aveva smesso di considerare una colonia.
“Per la sopravvivenza dell’impero russo, l’Ucraina è indispensabile. Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la Sicurezza nazionale, lo aveva detto da tempo. Questa è stata la prima motivazione che ha spinto Putin ad attaccare Kyiv. Ha capito che quello che succedeva in Ucraina, la voglia di democrazia e libertà e il processo di integrazione europeo, avrebbe potuto stimolare anche altre repubbliche dentro la Russia, o perfino la stessa società russa. Quando è caduta l’Unione sovietica e la Cecenia ha dichiarato l’indipendenza ha coinciso con un periodo di sviluppo mai visto prima in Cecenia. Mentre la Russia andava a rotoli, nel Caucaso le altre repubbliche capivano che lo sviluppo economico e la voglia di indipendenza erano connesse. La storia della Cecenia degli anni Novanta e quella dell’Ucraina di oggi hanno molti punti in comune: la Russia ha reagito con la guerra alla voglia di democrazia e successo di due territori che considera suoi. Bisognava agire con la forza, affinché altri non seguissero lo stesso esempio. A noi sembra folle, ma Putin ha ritenuto che con questo attacco sarebbe entrato nella storia come protettore delle terre russe”. Zakayev crede che “fino a quando la Russia non rinuncerà alla sua politica imperiale non smetterà di sottomettere i popoli e questo avverrà indipendentemente da chi sarà al Cremlino. Putin sta continuando questa politica, se non fosse lui, sarebbe un altro. E’ il portatore di un modo di gestire il potere nato con gli zar e continuato con i sovietici. Non ha inventato nulla. Non sto facendo l’avvocato di Putin, che è un criminale di guerra, un assassino, sostengo che il problema sia più profondo. Boris Eltsin piaceva molto all’occidente, era considerato un liberale perché si opponeva al comunismo, ma è stato lui a iniziare la guerra contro i ceceni, è stato lui che ha distrutto Groznyj. Putin ha continuato. Se al Cremlino verrà qualcuno di diverso, non cambierà la Russia. Bisogna cambiare la Russia se si vuole che al Cremlino non si ripresenti un Putin, uno Eltsin o uno Stalin. Deve essere una nazione con una nuova veste”. Il cambiamento della Russia deve passare attraverso la sconfitta in questa guerra che, secondo Zakayev, per Mosca è già persa, anche solo per il potere unificante che ha avuto tra le forze occidentali. La sconfitta “stimolerà altre repubbliche a chiedere l’indipendenza e per forza dovrà esserci un nuovo ordine mondiale perché sulla carta del mondo dovrà anche apparire tutta un’altra Russia, che non sia più una minaccia. Bisognerà metterla sotto controllo e questo non avverrà senza che ci siano sofferenze, stravolgimenti e danni nella società russa. Ma alla fine saranno i russi a chiedere un nuovo percorso per la loro nazione”. Zakayev non auspica la fine dell’esistenza di Mosca, ma la nascita di una nazione tutta nuova che non sia più il successore della Russia degli zar, di quella sovietica o di quella di Putin. Che sia una nazione che ha capito la sua storia ed è stata in grado di andare oltre, che non viva più nel passato. “Da questa guerra dovrà nascere una nazione che non è più impero, che non sia più un pericolo. Il cambiamento si avrà con la sconfitta e anche portando i russi a ragionare”. Una Russia rifondata, che affronta ora i ragionamenti che non ha affrontato trent’anni fa. Sono tre le tappe che, secondo Zakayev, possono portare alla formazione di una Russia diversa: “Il futuro deve passare attraverso il pentimento. Il pentimento deve portare alla purificazione e infine alla formazione di una società sana. Finché il popolo russo sarà malato di russismo, fascismo, o come volete chiamarlo, avremo sempre a che fare con una minaccia”.
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