Zelensky dà l’ordine di liberare il sud, perché adesso si può Analisi di Cecilia Sala
Testata: Il Foglio Data: 12 luglio 2022 Pagina: 1 Autore: Cecilia Sala Titolo: «Zelensky dà l’ordine di liberare il sud, perché adesso si può»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/07/2022, a pag.1, con il titolo "Zelensky dà l’ordine di liberare il sud, perché adesso si può", l'analisi di Cecilia Sala.
Cecilia Sala
Volodymir Zelensky
Roma. Il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, ha detto che il suo paese può contare su centinaia di migliaia di uomini per la controffensiva del sud, nei calcoli (li ha fatti ieri in un’intervista al Times) c’è una certa dose di ottimismo e una parte di verità. Reznikov in questo periodo parla poco di Donbas e si concentra sul sud. Zelensky ha ordinato la “deoccupazione dell’Ucraina meridionale”, la vicepremier ha chiesto ai cittadini che vivono lì di “scappare immediatamente” e lo stato maggiore ha iniziato a redigere i piani d’attacco. A Reznikov spetta di fare in modo che, dall’estero, continui ad arrivare soprattutto una cosa: le munizioni per i lanciarazzi Himars, che sono costose e non sono semplici da trasportare ma, nella controffensiva, sono l’elemento fondamentale che regge tutti gli altri. Il numero di soldati ucraini sul campo è (fin dal primo giorno) superiore a quello che i russi sono in grado di schierare. Il problema, in Donbas, non è tanto la disparità di uomini ma di armi: gli altri hanno più pezzi d’artiglieria e molti più proiettili per cannoni. Il numero preciso di perdite che subiscono i due eserciti resta il buco nero del conflitto, ma alcuni punti fermi ci sono: in Ucraina i coscritti hanno risposto alla chiamata (in Russia è andata molto peggio), la guerra cominciata nel 2014 ha fatto sì che nell’est fossero schierate 40.000 truppe, con le rotazioni, quella guerra ha formato centinaia di migliaia di veterani. A questi si aggiungono i volontari, 130.000 dal 24 febbraio: hanno stipulato un contratto temporaneo e ottenuto un kalashnikov. La maggior parte non è andata a combattere, ha passato gli ultimi quattro mesi dividendosi tra checkpoint, sabotaggi e campi di addestramento – adesso, molti sono pronti per il fronte. Torniamo agli Himars, che permettono tre cose: far partire il colpo senza diventare immediatamente bersagli del fuoco nemico, sparare a 77 chilometri di distanza e quasi senza poter sbagliare, andare a segno perché i russi non hanno ancora trovato il modo di difendersi di fronte a questo tipo di arma. Ieri sono stati usati contro Tokmak, nella fascia costiera del sud occupato. Il giorno prima contro l’aeroporto di Kherson e sabato contro quattro obiettivi tra Kherson e Melitopol. Per il ritmo a cui avvengono e per il tipo di danno che provocano, da parte dell’esercito di Kyiv non si è mai visto nulla di paragonabile ai bombardamenti che stiamo vedendo dalla fine di giugno, quando sono entrati in funzione gli Himars. Ci sono gli uomini – dice il ministro – c’è l’arma giusta e c’è una strategia. Quest’ultima non si annuncia pubblicamente, ma un comandante ha detto alla stampa locale che, una volta create le condizioni sul campo, per prendere la città di Kherson possono bastare pochi giorni. A prescindere dai tempi, l’interpretazione degli esperti ucraini è che le condizioni si creino così: aspettando l’arrivo di tutti gli Himars promessi (entro la terza settimana di luglio), bombardando tutti i depositi di armi e munizioni nella regione occupata di Kherson e, a quel punto, affondando i ponti che la collegano alla Crimea (sono nel raggio degli Himars), rendendo molto complicato l’arrivo di rifornimenti e rinforzi russi per un po’. E’ la strategia della trappola e, in questo caso, l’assalto alla città partirebbe subito dopo il crollo del secondo ponte.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante