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Il Foglio Rassegna Stampa
09.07.2022 Ecco la teoria gender
Analisi di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 09 luglio 2022
Pagina: 17
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Niente sesso, siamo gender»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 09/07/2022, a pag. 17, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo 'Niente sesso, siamo gender'.

Informazione Corretta
Giulio Meotti

Public Administration: ENEA adopts Gender Equality Plan — Enea

L’American Civil Liberties Union, la più importante organizzazione per i diritti civili in America, ha scritto: “Vietare l’aborto causa danni in modo sproporzionato a persone di colore, comunità Lgbtq, immigrati, giovani, quelli che lavorano per sbarcare il lunario, persone con disabilità… Proteggere l’accesso all’aborto è una questione di giustizia razziale ed economica”. “Questo tweet ha trascurato di menzionare una fascia demografica rilevante: le donne”, commenta persino il New York Times. “Non si tratta di una svista. Da Planned Parenthood a NARAL Pro-Choice America, all’American Medical Association, ai dipartimenti sanitari agli attivisti più giovani, nel giro di pochi anni la parola ‘donna’ è apparsa molto meno quando si parla di aborto e gravidanza. Le organizzazioni mediche, governative e progressiste hanno adottato un linguaggio neutrale rispetto al genere che traccia poche distinzioni tra donne e uomini transgender”.

L’anno scorso, il direttore di The Lancet, la rivista medica britannica, si è scusato per una copertina che si riferiva a “corpi con vagine” piuttosto che alle “donne”. Il governatore di New York ha pubblicato una guida sulle “persone che partoriscono”. E persino The Atlantic, mensile liberal, nota con imbarazzo che il dibattito sull’aborto ora riguarda le “persone”, non le “donne”. Viviamo in un’epoca di strane opinioni sul genere e il primo ministro britannico Boris Johnson, prima di dimettersi, ha dato il suo contribuito per creare confusione. Parlando ai media tedeschi, BoJo ha offerto la seguente perla di saggezza: “Se Putin fosse una donna, cosa che ovviamente non è, ma se lo fosse, non credo che avrebbe intrapreso una guerra pazza. Se vuoi un perfetto esempio di mascolinità tossica, è quello che sta facendo in Ucraina”. Suona bene, ma oggi nelle migliori università occidentali è psicoreato ricordare che esistono gli uomini e le donne. Voleva parlare di come in biologia ci siano solo due sessi. Ma un gruppo di studenti ha annunciato proteste. E la conferenza di Marie-Luise Vollbrecht alla Humboldt University è stata cancellata. “Sesso, genere e perché in biologia ci sono solo due sessi”, il titolo. “Non c’è posto per l’ostilità verso le persone queer nella nostra università. Ci vediamo per strada!”, l’annuncio delle proteste. L’università ha giustificato la censura con i “problemi di sicurezza” in vista della protesta. Vollbrecht ha detto alla Bild che la cancellazione “è il cedimento agli attivisti radicali e violenti che non hanno comprensione della biologia”. Non si può più parlare di un dibattito oggettivo, “quando gli eventi vengono cancellati per paura della violenza”. L’incidente è un altro esempio dei “mezzi radicali utilizzati dagli ideologi di genere”. Durissima la Faz: “La scomoda verità è che l’affare Humboldt non riguarda solo la visione del mondo contorta di alcuni attivisti che non sanno distinguere tra desiderio e realtà.

Questo dogma ha il predominio incontrastato nei seminari di studi culturali, è trasmesso da ministeri, partiti e da un esercito di commissari e deve essere sancito dalla legge secondo il piano del governo semaforo”. Poche ore prima, in Svizzera, due casi simili. “Il gender è l’ultimo grande messaggio ideologico dell’occidente inviato al resto del mondo. Una ‘ur-doxa’ diventata una norma per le grandi aziende internazionali, capace persino di modificare il linguaggio, non solo attraverso l’emergere di un nuovo vocabolario (cisgender, genderfluid, ecc.), un gran numero di acronimi (Lgbt+, MtF, ecc.), ma un nuovo regime di espressione con scrittura e discorso inclusivi”. Così scrive Éric Marty, docente di Letteratura all’Università di Parigi VII Denis Diderot, nel suo nuovo libro, “Le Sexe des Modernes. Pensée du Neutre et théorie du genre”, pubblicato dalle edizioni Seuil. Marty, studioso e curatore delle opere di Roland Barthes e di René Char, nel suo libro spiega la rivoluzione in corso. “Questo è ciò che mi ha spinto a scrivere questo libro. Sono rimasto stupito dalla velocità con cui questa nozione di gender ha invaso il pianeta e tutte le sfere della vita sociale, dai documenti amministrativi al marketing delle multinazionali”. Questa teoria, che Marty fa risalire a Barthes, Deleuze, Foucault e Derrida, “ha preso il posto del marxismo nell’immaginario collettivo come orizzonte non più di emancipazione collettiva, ma individuale. La teoria del gender riprende, dopo il marxismo, i grandi messaggi di emancipazione che l’occidente si è prefisso di inviare al mondo come sua missione. E a differenza della lotta di classe può risuonare in ogni individuo. La borghesia è diventata rapidamente un importante mediatore della rivoluzione di genere, integrandola nelle proprie dinamiche culturali ed economiche. Ecco perché non dovrebbe sorprendere che i principali marchi internazionali stiano aiutando a espanderlo”. Il movimento Lgbt da libertario è diventato repressivo, scrive Marty. “La mutazione avviene a cavallo del nostro nuovo secolo con un orientamento oggi molto autoritario, rigido, con questo nuovo attivismo di sorveglianza. Alla dinamica della sorveglianza si affianca poi un’altra violenza più imprevedibile, una competizione tra vittime e minoranze”. Un incontro con le psicoanaliste Caroline Eliacheff e Céline Masson intorno al loro nuovo libro, “La Fabrique de l’enfant transgenre”, incentrato sulla medicalizzazione dei bambini in nome del transgender, era stato appena cancellato all’Università di Ginevra. Militanti Lgbt sono riusciti a far annullare l’incontro dopo le minacce violente. Il 17 maggio, racconta Les Temps, Marty era atteso all’Università di Ginevra a presentare il suo libro. “Appena arrivato in aula, Marty è stato accolto dagli attivisti Lgbt che gli sputano addosso, gli versano acqua in testa, strappano i suoi appunti, ‘il tuo libro è una merda, non lo leggiamo’”. Incontro annullato. All’Università di Bordeaux, in Francia, è stata eliminata la conferenza di Sylviane Agacinski, famosa femminista e psicoanalista rea di aver attaccato il gender nel libro “Femmes entre sexe et genre”. Doppia sanzione per una docente dell’Università Autonoma di Barcellona boicottata per la sua posizione critica sulla “Legge Trans”, appena approvata in Spagna. Dopo essere stata boicottata la scorsa settimana dai suoi studenti del Master in Genere e Comunicazione per la sua posizione pubblica critica del gender, a Juana Gallego l’università ha impedito di tenere lezione. Con l’aula vuota, la docente ha registrato un video e lo ha pubblicato sui social. “Hanno boicottato le mie classi a causa della mia posizione pubblica. Per aver esercitato il mio diritto alla libertà di espressione. Puro totalitarismo”.

La psicologa femminista spagnola Carola López Moya per le sue presunte opinioni “transfobiche” contrarie all’autodeterminazione del genere per legge è finita sotto inchiesta dalla magistratura. Rischia una multa fino a 120 mila euro per aver scritto che “le donne trans sono uomini” e che, salvo specifici casi, “gli interventi di riassegnazione del sesso sono un business che trae profitto dal disagio”. Negli Stati Uniti una professoressa alla Brown University, Lisa Littman, ha messo in dubbio che tutti i casi transgender oggi siano legati a una effettiva disforia. E ha coniato il termine “disforia di genere a rapida insorgenza” per descrivere questo fenomeno. Ha ipotizzato che potrebbe essere una sorta di contagio sociale. Littman ha pubblicato i suoi risultati in un saggio. Littman, la rivista e la Brown University sono stati virtualmente presi a calci con accuse di transfobia sulla stampa e sui social. In risposta, il giornale ha annunciato un’indagine sul lavoro di Littman. Diverse ore dopo, la Brown University ha emesso un comunicato che denunciava il lavoro della professoressa. La carriera di Littman è stata distrutta per sempre. Non insegna più alla Brown e il suo contratto al dipartimento della Salute dello stato del Rhode Island non è stato rinnovato. Littman non è la sola. Gli attivisti hanno preso di mira Ray Blanchard e Ken Zucker a Toronto, Michael Bailey della Northwestern e Stephen Gliske dell’Università del Michigan per aver pubblicato ricerche ritenute “transfobiche”. Kathleen Stock era una professoressa di filosofia dell’Università del Sussex. Un mercoledì si è recata al lavoro come al solito. In passato, le era stato detto che le sue opinioni sul sesso e sull’identità di genere erano motivo di imbarazzo per la facoltà. Quella mattina è scesa dal treno e si è unita alla folla che camminava attraverso un tunnel fino all’ingresso dell’università. Quando è arrivata ha visto le pareti tappezzate di poster, ognuno dei quali urlava il suo nome in grassetto. Faticando a respirare, Stock è tornata di corsa alla stazione. Più tardi quel giorno, ha visto un account Instagram intitolato “Kathleen Stock è una transfobica”. Mostrava figure in passamontagna che brandivano razzi e striscioni che dicevano “Stock vattene”. Ci sono state proteste alle sue conferenze. Ha avuto denunce e indagini disciplinari. Delegazioni studentesche hanno chiesto che le fosse impedito di insegnare. E’ stata denunciata in lettere aperte da colleghi, anche quando le è stato assegnato un titolo dalla regina Elisabetta. Preoccupato per la sua sicurezza, il responsabile della sicurezza del campus l’ha informata del sistema telefonico di emergenza e ha provveduto a inserire uno spioncino nella porta del suo ufficio. La polizia l’ha avvertita di aumentare la sicurezza a casa. Pochi giorni dopo, spaventata, demoralizzata ed esausta, Stock ha fatto esattamente quello che le avevano chiesto: si è dimessa. “La strega è morta”, esultavano i suoi avversari. Per fortuna non c’era una pira. “Il movimento dell’identità di genere sta cancellando la libertà di parola e accademica di chiunque non sia in linea, si opponga apertamente o si appelli al diritto a dibattere”. A sostenerlo è Donna Hughes, docente di Gender Studies all’Università di Rhode Island, negli Stati Uniti. Per queste parole la sua cattedra è stata in bilico. “La professoressa Hughes è diventata l’obiettivo di una campagna coordinata da parte di persone che sollecitano gli studenti a presentare reclami contro di lei all’università e, nelle parole di un utente di Twitter, ad ‘abbatterla’”, ha raccontato il suo avvocato. Selina Todd, professoressa di Storia moderna all’Università di Oxford e autrice di “Snakes and Ladders: The Great British Social Mobility Myth”, femminista critica del gender che crede che la femminilità sia una questione di sesso, non di identità di genere, ha dovuto fare lezione con le guardie del corpo. “Sono tornata a insegnare a Oxford nel 2017, dopo un paio d’anni di assenza per la ricerca. Sono rimasta colpita da quanto fosse cambiata la cultura, da quanto fosse diventata più intollerante e dal grado di limitazione della libertà. Ho espresso la mia inquietudine sui social. Reclami sono stati presentati dal personale e dagli studenti del mio istituto. Dicevano che non avrei dovuto insegnare agli studenti, perché li avrei danneggiati con le mie opinioni. Ci sono state campagne sui social contro di me. Sono stata esclusa da associazioni professionali di cui facevo parte da molto tempo”. Un anno fa, Todd è stata invitata a parlare alla Giornata internazionale della donna. “Meno di 24 ore prima che iniziasse, gli organizzatori mi hanno chiesto di dimettermi, perché avevano ricevuto lamentele da altri partecipanti e studenti. Ho rifiutato e mi hanno cacciato”. Poi la storica di Oxford rivela: “Mi è stata assegna una sicurezza durante le lezioni. Sono state fatte minacce e pensavano che fossero abbastanza serie da fornirmi delle guardie del corpo che mi accompagnassero alle lezioni. E’ spaventoso”. Anche nelle nostre università dilaga la moda anglosassone degli “studi di genere”, il fiore all’occhiello dell’ideologia woke, e c’è da immaginare che simili censure si ripetano qui. L’Orientale di Napoli ha un centro studi ad hoc, l’Università di Bologna ha corsi e dipartimenti, la Sapienza di Roma ha un Osservatorio scientifico sulla ricerca di genere, all’Università di Catania c’è il Centro interdisciplinare studi di genere, c’è il Centro di ricerca culture di genereall’Università di Milano, il Centro interdipartimentale di ricerca studi di genere all’Università di Padova e il Centro studi interdisciplinari di genere all’Università di Trento, solo per citarne alcuni. Follow the money, come sempre… Tutte le università europee che vogliano accedere ai fondi Horizon Europe (2021-2027) – il programma dell’Ue che finanzia la ricerca e l’innovazione – devono infatti aver adottato un Gender Equality Plan. Ovvero devono “integrare la dimensione di genere nella ricerca e nei programmi d’insegnamento”. Se non ti adegui, non ti finanzio. E se dissenti, ti caccio.

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