Desiderando che Israele scompaia
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Un disparato gruppo di religiosi islamisti, facendo riferimento al Corano, va predicando con fervore che lo Stato di Israele scomparirà nel 2022. La previsione circola con insistenza da marzo, quando i musulmani di tutto il mondo hanno celebrato il mese sacro del Ramadan. Secondo un articolo sul sito web pro Hamas ‘Middle East Monitor’ di Mohammad Makram Balawi, uno scrittore palestinese che vive a Istanbul, la convinzione che Israele sparirà dalla carta geografica un certo giorno di quest'anno “è ampiamente diffusa da alcuni studiosi religiosi musulmani, palestinesi e non palestinesi.” A questo proposito Balawi ha menzionato due religiosi. Uno di loro, lo sceicco Bassam Jarrar, predica in una moschea alla periferia di Ramallah in Cisgiordania. A quanto pare lo sceicco è sicuro al 97% che Israele sparirà nel 2022 basando i suoi calcoli su un antico sistema numerico che assegna valori numerici alle 28 lettere dell'alfabeto arabo. “Secondo i calcoli di Jarrar, basati su molti testi coranici, il 2022 rappresenta l'inizio effettivo della rovina di Israele”, ha scritto. “Il 5 marzo 2022, secondo Jarrar, un grande evento segnerà l'inizio della 'caduta israeliana'. Come accadrà non è ancora chiaro.”
Naturalmente, il 5 marzo è passato e se ne è andato, e Israele è ancora lì. Per quanto riguarda il secondo religioso menzionato da Balawi, lo sceicco iracheno Mohammed Ahmed Al-Rashed, ha fornito troppo poco per rafforzare le affermazioni di Jarrar. Tra le ragioni di Al-Rashed per l'imminente rovina di Israele c'è la storia di un suo vicino ebreo, a Baghdad, nel 1948, l'anno della creazione di Israele, quando era solo un bambino. La donna che all'epoca si chiamava “la piagnona”, disse alla madre di Al-Rashed “che gli ebrei avevano creato uno Stato in Palestina, e che c'è una profezia ebraica secondo cui se gli ebrei avessero fondato uno Stato, questo sarebbe stato un segno della loro distruzione e che non durerà più di 76 anni.” L’Islam non è l'unica fede a mascherare la superstizione come affermazione attendibile. La portata di tali credenze si giudica assai meglio misurando la loro popolarità piuttosto che discutendone il contenuto. Tra i palestinesi, la convinzione che la scomparsa di Israele sarà un particolare evento del 2022 non è proprio una rarità. Lo sappiamo perché un sondaggio condotto la scorsa settimana dal Palestine Center for Policy and Survey Research (PSR) con sede a Ramallah includeva una domanda su quella previsione. Un palestinese su quattro, una proporzione considerevole sotto ogni punto di vista, è certo che la previsione si avvererà, mentre il 63% crede diversamente. In modo più significativo, secondo il PSR, una “grande maggioranza”, del 78%, crede che il Corano contenga una tale profezia, mentre solo il 17% non lo crede. Questa particolare risposta deve essere vista nel contesto dell'intero sondaggio. L'opinione di una netta maggioranza secondo cui la caduta di Israele è sancita religiosamente, insieme all'opinione di una notevole minoranza che un tale evento è atteso già quest'anno, probabilmente non si sarebbe registrata se i palestinesi fossero impegnati in un significativo processo di pace con Israele che fornirebbe a entrambe le parti alcuni motivi di speranza. E’ esattamente il contrario. Il quadro generale della società palestinese che emerge dal sondaggio del PSR è una miscela allarmante di cinismo e di estremismo. Il più grande perdente nel sondaggio è il capo dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, le cui valutazioni personali sono al ribasso da diversi anni ormai, poiché sta aggrappato alla poltrona che ha vinto per la prima volta nel 2005. Se si tenesse un'elezione domani, Abbas otterrebbe il 33 % dei voti, con il 55% che avrebbe optato per il suo rivale di Hamas Ismail Haniyeh, ma la sorpresa è che solo il 49% degli aventi diritto a votare si prenderebbe la briga di presentarsi al voto. I palestinesi, dimostra il sondaggio, sono stufi dei loro leader e delle loro attuali fazioni politiche. Ciò non dovrebbe sorprendere, data la corruzione sistematica e la repressione politica che hanno caratterizzato il governo di Fatah in Cisgiordania e il governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Comunque, ogni speranza che questa disillusione possa generare un movimento per una riconciliazione storica con Israele è estremamente fuori luogo. Solo il 28% dei palestinesi è in questo momento d'accordo con la soluzione dei due Stati, più o meno come coloro che credono nella previsione coranica della prossima fine di Israele, mentre un enorme 69% si oppone.
Allo stesso modo, una stragrande maggioranza (77%) non pensa che ci sia uno straccio di possibilità che uno Stato palestinese venga istituito accanto a Israele entro i prossimi cinque anni. Singolarmente, il 55% degli intervistati ha sollecitato il ritorno allo scontro armato con Israele, sebbene il sostegno alla violenza sia molto più pronunciato tra gli abitanti di Gaza (77%) rispetto ai Cisgiordani (46%). Alla domanda su quale dovrebbe essere la priorità immediata per i palestinesi, una pluralità del 46% ha risposto a favore della creazione di uno Stato con Gerusalemme Est come capitale. Tuttavia, un altro 32% ha espresso il proprio sostegno a creare terra bruciata al conflitto sotto forma della richiesta di un ritorno completo di oltre 5 milioni di discendenti degli originari 750.000 rifugiati arabi della Guerra d'Indipendenza israeliana del 1948. Ci sono poche indicazioni che questi atteggiamenti cambieranno nel prossimo futuro, aggravando ulteriormente la frustrazione palestinese nei confronti della comunità internazionale. Le loro opinioni sull'invasione russa dell'Ucraina - una pluralità del 42% è solidale con Mosca - suggeriscono che i palestinesi vedono i loro interessi allineati con gli avversari della democrazia occidentale, come è già avvenuto durante la Guerra Fredda. Quando si tratta della questione che ha tormentato gli sforzi di pace per quasi un secolo – ossia se i palestinesi possono riconoscere e accettare che l'esistenza di Israele è legittima – il mondo è lontano da una soluzione positiva come non lo è mai stato. Sebbene sia corretto che una minoranza di palestinesi pensi che la previsione coranica del crollo di Israele sia corretta, un numero molto maggiore desidera chiaramente che la previsione sia vera, anche se il loro giudizio secondo ragione li porti a una conclusione diversa. In un tale ambiente, definito dall'incitamento palestinese contro la presenza stessa di Israele, le spade non diventeranno aratri molto presto.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate