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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Hamas e la fratellanza araba 03/07/2022
Hamas e la fratellanza araba
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)


A Gaza noi di Hamas non ci siamo arresi. E abbiamo dimostrato che Israele  non è impenetrabile

Un piccolo dramma si sta svolgendo attualmente nella Striscia di Gaza. Al di fuori di Israele non interessa a nessuno e i tanti giornalisti di stanza a Gerusalemme stanno ben attenti a non parlarne. L'argomento è delicato. Riguarda la salute di un arabo e più precisamente, di un beduino. Secondo Hamas, l'uomo è praticamente tra la vita e la morte, tenuto in vita grazie a una maschera per ossigeno e alla somministrazione di una sostanza sconosciuta. Gli ospedali scarsamente attrezzati di Gaza non possono fornirgli le cure urgenti di cui ha bisogno. Hamas, l'organizzazione terroristica che, nel 2007 con un sanguinoso colpo di Stato, aveva cacciato via l'Autorità Palestinese, è nota per dirottare la maggior parte dei milioni di dollari di aiuti internazionali allo sforzo bellico contro Israele e, in secondo luogo, al benessere dei suoi leader e dei loro figli, la maggior parte dei quali studia all'estero. Ma torniamo a Hisham al-Sayed, così si chiama questo uomo sfortunato.

Gli ospedali israeliani, contattati dalla Croce Rossa o direttamente da un ospedale di Gaza, raramente rifiutano di accogliere un paziente che ha bisogno delle loro cure. Del resto, nonostante il loro incitamento all'odio, gli stessi leader di Hamas non esitano a mandare i loro cari a farsi curare dal “nemico sionista.” Ad esempio, nel 2011, il marito della sorella di Ismail Hanniyeh, era stato ricoverato d'urgenza all’Ospedale Beilinson, a Petah Tikva. Allora perché non è possibile farlo per Hisham al-Sayed? Tanto più che questo beduino di 34 anni, originario del Negev, dove è cresciuto con i suoi otto fratelli e sorelle, ha la nazionalità israeliana. In circostanze poco chiare, nel 2015, aveva attraversato volontariamente il confine. È vero che già nel 2010 i suoi medici avevano accertato che soffriva di un “grave disturbo mentale”; la diagnosi finale del suo stato mentale nel 2013 aveva rivelato che si trattava di “schizofrenia.” Inoltre aveva più volte tentato di entrare in Giordania e in Egitto; quando ci era riuscito, le autorità locali, visto il suo stato mentale, lo avevano consegnato alle autorità israeliane.

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Non solo Hamas non ha fatto nulla del genere, ma per otto lunghi anni si è rifiutato di dare alla famiglia qualsiasi notizia del loro prigioniero e informazione sul suo stato di salute. Aggiungiamo che la Croce Rossa non era autorizzata a vederlo. Per i leader di Gaza, Hisham al-Sayed non era un beduino, un fratello arabo afflitto dalla sorte, che aveva bisogno delle loro cure viste le sue condizioni. No. Per loro lui aveva una carta d'identità israeliana? Ebbene, perché non farne un ostaggio in più? In effetti ne hanno degli altri: Avera Mengistu, cittadino israeliano nato in Etiopia, e i resti di due ufficiali uccisi nel 2014. In cambio, pretendono il rilascio di migliaia di terroristi imprigionati in Israele per crimini sanguinosi. Dopotutto, per il soldato Shalit aveva funzionato, nevvero? Un calcolo che si è rivelato impreciso. Più del 15% dei terroristi una volta rilasciati hanno poi commesso nuovi attacchi omicidi.    Israele è pronto a fare un gesto, ma il massimo che propone è ben lontano dal minimo richiesto da Hamas. Il quale preferisce vedere il suo fratello arabo morire per mancanza di cure piuttosto che restituirlo senza compenso.

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Michelle Mazel
scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".

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