Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/07/2022, con il titolo 'La Nato gioca sulla pelle dei curdi' l'intervista di Dario Olivero.
Zerocalcare
«Le foto dei martiri caduti nella guerra per il Kurdistan da una parte e, dall’altra, l’immagine della firma del memorandum che di fatto spazza via quei sacrifici ». Se dovesse cominciare con una tavola, se fosse l’incipit di un graphic novel, Zerocalcare, dopo averci pensato non poco temendo la retorica («ma ti giuro che in quel contesto non c’è retorica», dice), sarebbe questa. Non è il seguito di Kobane Calling , non c’entra nulla con quello su cui sta lavorando ora: è solo il modo migliore per Michele Rech, il nome di battesimo del fumettista romano, di raccontare lo stato d’animo suo e della comunità curda di fronte al cambio di scenario internazionalein atto. Svezia e Finlandia si sono impegnate a non sostenere più né il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), che è ritenuto organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti e Unione Europea, né il movimento islamico gulenista, il cui leader, Fethullah Gulen, vive in esilio negli Stati Uniti, né la milizia curda Ypg (Unità di protezione popolare), che ha combattuto l’Isis in Siria al fianco degli Usa e dell’Occidente, né il suo ramo politico, il Partito dell’unione democratica (Pyp). Grazie a questo impegno e a quello per l’estradizione dei rifugiati politici dai paesi nordici verso Ankara, la Turchia ha fatto cadere il veto al loro ingresso nella Nato. Una conseguenza del nuovo ordine strategico che va via via modellandosi dalla guerra in Ucraina.
I curdi accerchiati dai turchi: una illustrazione di Zerocalcare
Zerocalcare non vuole parlare di Russia né di Ucraina né di altro dell’attuale scenario politico. Ma di curdi sì, sui curdi non si risparmia. Ed è un buon inizio. Perché da qualsiasi parte la si prenda, la questione è la stessa, la scacchiera, anzi, il domino è identico. Qual è la prima reazione di Zerocalcare, che quei luoghi ha raccontato e continuerà a raccontare? «Politica o come narratore? » Entrambe, ma prima politica. «Di grande preoccupazione. Questo memorandum stabilisce principi molto gravi. Mette in discussione, per dirne uno, il diritto all’asilo. E oltre al Pkk, si impegna a non sostenere più anche partner affidabili che ci hanno aiutato nella guerra all’Isis e congela la discussione riguardo alla presenza del Partito dei lavoratori curdi nelle liste del terrorismo internazionale. Riporta indietro di anni l’intero processo di autodeterminazione del popolo curdo.
Una vittoria diplomatica di Erdogan… «…E la premessa a un’invasione del nord della Siria da parte della Turchia. Sono tutti passaggi preliminari che mettono in sicurezza il progetto di Erdogan. E questo non solo spazza via il sacrificio di uomini e donne durato anni, ma è anche un disastro dal punto di vista geopolitico: dove arriva la Turchia ritorna la sharia e le zone che adesso stanno vivendo il progresso sociale, l’abolizione dei matrimoni obbligatori, il ruolo centrale delle donne, scomparirà nelle zone gestite dai gruppi jihadisti che potrebbero controllare quel territorio».
Come accade in un conflitto che si rivela sempre meno locale, ti colpisce che una decisione che riguarda l’estremo nord dell’Europa si rifletta in modo diretto nell’area mesopotamica? «È tutto collegato: apparentemente i curdi non c’entrano nulla con quello che sta accadendo in Europa, ma improvvisamente diventano moneta di scambio. Questo ti dà il polso dicome si giochi con la pelle di chi sta lontano e vive in posti che in molti non sanno neanche individuare sulla cartina geografica».
Prima parlavi della tua preoccupazione di narratore. Qual è? «Il fatto di trovarci in un momento in cui l’opinione pubblica è così polarizzata che è difficile riuscire a scalfire qualunque idea: è come se ci fosse un allineamento totale su ogni decisione della Nato. Ed è incredibile la tranquillità e la leggerezza con cui si giudica — e questo lo vedo soprattutto nei social — un accordo fatto sulla pelle degli altri. Quindi la mia preoccupazione è riuscire a raccontare questa situazione a questa opinione pubblica».
Parli di accordo sulla pelle degli altri. Non pensi che la stessa cosa si potrebbe dire del popolo ucraino se si dovesse mai arrivare a un accordo, che non potrebbe essere che a caro prezzo in termini non solo di vite umane perdute ma anche di territorio? «Credo di aver spiegato più volte quanto sono avverso all’invasione russa, ma questo accordo sui curdi è una barbarie. Siamo vittime di uno schieramento rimasto alla Guerra fredda. Se abbiamo a cuore la democrazia, quella dei curdi non solo lo è, ma per certi aspetti è anche più avanzata della nostra. Allora perché non appoggiare il loro esperimento? Se uno guardasse gli interessi politici e ideali e alle esperienze su cui scommettere per dare stabilità a quelle regioni dovrebbe guardare a loro. Mi rendo conto che sarebbe una scelta apparentemente debole sul fronte diplomatico ma sarebbe invece forte dal punto di vista politico».
È evidente che gli interessi strategici vanno in direzione molto diversa dalla diplomazia. Non sarà molto più semplicemente che abbiamo vissuto 70 anni di pace in Europa pensando fosse una conquista definitiva e dimenticando che la guerra è una delle condizioni della storia umana? «Non ho mai pensato che la guerra fosse qualcosa di superato. Stava soltanto risparmiando noi, ma non altre parti del mondo. È tutto un domino, è impensabile che i conflitti restino locali. Le guerre producono profughi, migrazioni, tensioni, accordi e destabilizzazione».
E la politica, anzi la sinistra? «Sono l’ultimo che può dare lezioni. Fatico a capire che cosa è la sinistra: chiamarsi sinistra? Usare certi simboli? Fare riferimento alla propria storia? Alla giustizia sociale? Mi sento smarrito rispetto a tutto questo».
Smarrito o solo? «L’ultima fase del Covid ha creato lacerazioni gigantesche nel tessuto sociale e soprattutto a sinistra, determinando un cambiamento nelle relazioni. Abbiamo smesso di ascoltarci e abbiamo dichiarato uno stato di jihad reciproca. E ce la siamo portata anche fuori e dopo il Covid. Ora il sentimento comune non esiste più. Vivo male il fatto di non avere spazi di elaborazione collettiva in cui riconoscersi».
Ma prima del Covid e anche subito dopo sembrava che la politica fosse rifiorita intorno al grande tema del cambiamento climatico e l’interesse per il pianeta era al centro del dibattito pubblico. Poi è arrivata la guerra… «La guerra è un’occasione ghiotta per fare piazza pulita di cose scomode, a partire dalla questione ambientale».
Abbiamo tradito i curdi un’altra volta? «Come dice un loro proverbio: “I curdi non hanno Stati amici, hanno soltanto le montagne”».
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