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La Stampa Rassegna Stampa
28.01.2003 Un titolo sbagliato per una cronaca ben documentata
Una cronaca precisa e documentata in attesa del risultato elettorale

Testata: La Stampa
Data: 28 gennaio 2003
Pagina: 7
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Rischio estinzione per gli sfiduciati successori di Rabin»
Riportiamo un articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su La Stampa martedì 28 gennaio 2003.
Le strade di Gerusalemme, di Tel Aviv, di Hi-fi, ieri, giorno precedente alle elezioni, erano quiete, troppo quiete. Presso i seggi elettorali sono andati disponendosi 25mila poliziotti per prevenire gli attentati terroristici, che secondo le informazioni a disposizione, sarebbero per strada; e questo è quasi l'unico traffico significativo della vigilia. Qualche manifesto con la barba di Marmi Mutazione e la facciona di Arnie Sharon, il rabbino di Shas Ovadia Yossef tutto vestito d'oro e nero sulle fiancate degli autobus, pochi volantini; tutto qui. Nei centri dei partiti che fanno a gara in addobbi bianchi e azzurri come la bandiera, un numero molto limitato di attivisti. Presso il Likud, tutti i leader importanti chiamano personalmente gli elettori al telefono: gente come Netanyahu, sempre brusco e veloce, si dedica a un lungo dialogo con una anziana signora dubitosa. La tv si sforza di trovare argomenti, ma tutto è chiaro, tutto è previsto. Chi corre di più da paese in paese, da casa misera a fabbrica in crisi, è Amram Mitzna, capo dei laburisti, che cerca di recuperare la frana: il rischio infatti è quello di un calo micidiale della sinistra, pilastro storico di Israele, quando il Mapai aveva il 40 per cento dei voti, o Barak il 58. Il partito laburista combatte disperatamente per non andare al di sotto dei 20 mandati (ne aveva avuti 24 alle elezioni precedenti), in modo da restare il secondo partito, ma potrebbe scendere fra i 19 e 17: la sua preoccupazione maggiore sono i giovani. Fra i 18 e i 25 anni infatti solo 5 per cento degli israeliani lo votano, mentre il 39 per cento vota Likud. IL 15 per cento preferisce lo Shinui, «cambiamento», il partito laico di centro che odia i privilegi dei religiosi; lo Shas, il partito degli ebrei orientali prenderebbe il 14 per cento del voto giovanile. I giovani israeliani che votano Likud sono dunque otto volte quelli che votano per la sinistra. Quelli di Shinui e Shas, tre volte. Anche in altre categorie di votanti il calo della sinistra è pesante, e il Likud si espande in settori tradizionalmente di sinistra come quelli degli accademici e dei professionisti; nel frattempo tiene le sue antiche posizioni fra le persone a basso reddito e educazione scolare limitata: la sinistra tradizionale vi prende solo il 7 per cento e il Meretz, il partito di ultrasinistra, lo 0,5. Fra gli ebrei orientali, solo il 13 per cento vota laburista: mai era arrivato a una quota così bassa; fra gli ashkenaziti, il 19 per cento, poca roba nella culla culturale del socialismo israeliano. Perché i giovani vanno a destra? I ragazzi delle candele che piangevano Rabin, quando il suo successore Shimon Peres fu investito durante la campagna elettorale da una ondata di attentati terroristici, non lo seguirono elettoralmente e scelsero Netanyahu che prometteva «una pace sicura». Visto che neppure Netnayahu riusciva a mantenere l'impegno, tentarono di nuovo la carta con Ehud Barak. E poi, quando l'accordo di Oslo è fallito sul rifiuto di Arafat, i giovani si sono allontanati da una sinistra che, come in tutto il mondo, oltretutto non possedeva più un'ancora ideologica rilevante. Si può dire che alla crisi ideologica del socialismo, si è aggiunta la crisi storica della pace. Fra i giovani, i soldati di leva tendono a essere più di destra dei ragazzi che non vestono la divisa. La dottoressa Tamar Herman, del Centro Steinmetz per le Ricerche sulla Pace dell'Università di Tel Aviv spiega: «Crea in loro una reazione naturale il fatto di soffrire tanto e rischiare la vita mentre la sinistra spiega a tutti quanto sia inutile e anzi biasimevole la loro fatica». La fiducia nel processo di pace su cui la sinistra ha giocato tutta se stessa, è stata ulteriormente erosa agli occhi dei giovani che, raramente possessori di un'auto in un paese depauperato dalla guerra, sono costretti a un quotidiano gesto di coraggio quando prendono l'autobus, oppure quando si trovano all'università, o in coda alla posta o al supermarket. Il problema della sicurezza domina la vita e la prospettiva dei giovani israeliani, c'è poco posto per l'ideologia anche se, secondo gli indici di pace sono in genere pronti a cedere territori, per chiunque votino. Altri tre gruppi giovanili minori avanzano: i votanti del nuovo Ale Yarok, «Foglia verde», che dovrebbe oggi prendere due seggi in nome della liberalizzazione della marijuana e di una visione libertaria; i giovani arabi del Balad, il partito dell'intellettuale Azmi Bishara, non islamico fondamentalista, ma piuttosto panarabista; i giovani coloni vestiti con la camicia a scacchi e la kippà a uncinetto: voteranno per i partiti religiosi nazionalisti, e non possono soffrire Sharon perché ha promesso uno Stato ad Arafat, uno invece dei fatti che sono piaciuti ai giovani cittadini che votano per lui.
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