Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/06/2022, a pag. 10, con il titolo "Armi a Kiev, in arrivo il nuovo decreto. Sul tavolo anche quelle a lunga gittata", la cronaca di Tommaso Ciriaco.
Una settimana, al massimo qualche giorno in più. Poi l’Italia terrà fede agli impegni assunti con gli alleati, sancendo l’invio di altre armi all’Ucraina. È infatti in corso una ricognizione per individuare quale materiale bellico sarà contenuto in un nuovo decreto interministeriale, il quarto. Nel provvedimento – che prima di essere pubblicato dovrà ovviamente ottenere l’ultimo via libera politico di Mario Draghi e che sarà anticipato al Copasir dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini – saranno garantiti agli ucraini equipaggiamento, mezzi blindati armati per trasporto del personale, artiglieria pesante. Non solo quella a media gittata dell’ultima spedizione, ma probabilmente anche quella a più lungo raggio, sulla scia di quanto fatto da Gran Bretagna e Germania. Conta il contesto, in queste ore. La drammatica resistenza nell’Est dell’Ucraina rafforza le ragioni della difesa e il peso degli impegni presi con Kiev e gli alleati. L’ultima tranche prevista dal terzo decreto risale alla fine della scorsa settimana. A differenza di Berlino – che certamente ha promesso un flusso anche maggiore di materiale – la tempistica delle consegne dell’esecutivo di Draghi è stata puntuale. I lavori per il quarto decreto sono rimasti “congelati” per giorni, in modo da rispettare il passaggio sulla mozione parlamentare sul Consiglio Ue che, citando espressamente il decreto legge 14/2022 di marzo, fornisce la copertura politica all’esecutivo. Superato lo scoglio – e confermata la modalità del sostegno bellico agli ucraini attraverso i decreti interministeriali, che non richiedono un passaggio in Aula alle Camere, ma come detto di fronte al Copasir – è in via di conclusione la ricognizione sulle armi che sarà possibile fornire. Un impegno figlio delle richieste avanzate da Zelensky ai principali leader Ue e dei contatti costanti tra il titolare della Difesa Lorenzo Guerini e l’omologo ucraino Oleksiy Reznikov. Nel prossimo decreto, che come i precedenti sarà secretato e il cui contenuto non sarà mai dunque confermato da fonti ufficiali, sarà sicuramente presente equipaggiamento militare. E ancora: veicoli blindati per la fanteria. L’Italia ne possiede, dunque non rischia di sguarnire la riserve. Il problema riguarda semmai le munizioni. Come altri Paesi della Nato, inizia a diventare problematico rintracciarne scorte significative da inviare all’esercito di Kiev.
Soprattutto per quanto riguarda l’artiglieria pesante, attesa con impazienza da chi resiste all’invasione. Di certo non mancherà nel nuovo provvedimento l’artiglieria campale: i cannoni Fh70 da 155 millimetri, se dalla ricognizione risulterà un’ulteriore disponibilità. Sono capaci di colpire obiettivi fino a 30 chilometri di distanza. Ma non basta. L’Ucraina ha bisogno di artiglieria a più lunga gittata. L’ha chiesta Zelensky, ripetutamente. Con l’impegno di non colpire postazioni russe oltre il confine. L’Italia ha potenzialmente la possibilità di spedire armi con una capacità di centrare target tra i 60 e gli 80 chilometri di distanza. Ad esempio gli Mlrs (ha 18 esemplari a disposizione). È l’arma più richiesta dagli ucraini. Si tratta di semoventi cingolati lanciarazzi. Ne può sparare 12 contemporaneamente. Germania e Gran Bretagna ne hanno promessi quattro ciascuno. Usano gli stessi razzi degli Himars statunitensi, in via di consegna. Il problema sono le munizioni: Roma non può fornirle. La produzione industriale è lenta. Coordinandosi con gli alleati, gli italiani potrebbero fornire le piattaforme e far garantire i razzi dai Paesi anglossassoni. Occorrerebbe però adattare queste armi. L’invio sarebbe dunque assicurato nel decreto, ma diventerebbe operativo dopo alcune settimane. E lo stesso vale per altro materiale bellico da “ammodernare” come gli M109, cannoni semoventi vecchi da 155 millimetri che l’esercito italiano ha tolto dal servizio. Belgio, Norvegia, Usa e Uk li stanno consegnando. Fin qui il dato tecnico. C’è poi quello politico. Draghi ha intenzione di tenere fede agli impegni congli alleati. E non virare rispetto alla linea di politica interna e internazionale scelta dal governo. «Mi sento con lo stesso mandato di prima», ha risposto ieri il premier a chi gli chiedeva se dopo le turbolenze nel Movimento si sentisse più o meno solido in sella, negando anche l’opzione di un rimpasto. Per questo, cercherà la sponda degli Stati Uniti nella battaglia per un tetto al prezzo dell’energia durante il G7 che si apre domani in Germania. E garantirà il sostegno anche bellico all’Ucraina nel vertice Nato a Madrid. L’unica incognita, a questo punto, resta la reazione dei 5S di Giuseppe Conte.
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