Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/06/2022, a pag. 8, con il titolo "La fuga dei soldati ucraini a nuoto attraverso il fiume: 'Severodonetsk è caduta' ", l'analisi di Corrado Zunino.
Corrado Zunino
Volodymir Zelensky
Il ritiro da una Severodonetsk senza più nascondigli, affamata, senza ponti percorribili lungo il suo fiume, comporta che il fiume i soldati ucraini lo debbano passare a nuoto. Via il kalashnikov, mimetica abbandonata a riva. Cinque di loro, uomini delle unità scelte, prendono in boscaglia i tronchi più leggeri, mettono insieme una zattera con il cordame rimasto nello zaino e guadano il Seversky Donec, che, anche se è giugno inoltrato, ha sempre una portata che spaventa. Lo raccontano Viktor e Soledar alla coordinatrice degli aiuti d’area, Dasha. Lei, superando le ritrosie all’ultimo posto di blocco dopo Silversk, ha fatto portare il van del soccorso sotto uno dei tre ponti abbattuti, dalla parte di Lysychansk, in sponda Ovest. «Abbiamo messo le ruote dentro trenta centimetri d’acqua », racconta, «e abbiamo incontrato due soldati che avevano appena completato la traversata con i compagni».
“I russi ci sparavano nel fiume”
I due soldati semplici le avevano raccontato questo: «Quando il governatore Gaidai, alle nove di mattina, ha dato l’ordine di lasciare la fabbrica Azot, eravamo pronti. Avevamo solo il lato orientale per uscire e un po’ di russi già dentro l’impianto. A piccoli gruppi ci siamo messi in cammino verso i territori occupati, ma siamo subito rientrati in direzione Lysyshank per evitare l’artiglieria del nemico». È più in alto Lysyshank, su una piccola collina. Tra i militari ucraini che devono arretrare c’è chi inizia ad andare a piedi verso Nord, chi raggiunge la sponda più vicina del fiume e toglie l’ormeggio a una barca, a un gommone. Chi copre la distanza a nuoto. «Noi abbiamo messo in acqua la zattera e iniziato a spingerla da dietro ». Ci si ritira anche così, nel Donbass. Il comando della città, nella persona di Roman Vlasenko, conferma la storia raccontata da Dasha e aggiunge che i russi hanno sparato sulle barche, sui gommoni, sulle zattere che avvistavano. Pure su chi stava nuotando. «Tiravano cannonate ». Il comandante Vlasenko non dice se ci sono stati morti e in serata Oleksyi Arestovich, consigliere del presidente Zelensky, si limiterà: «Con il ritiro ci sono state poche vittime ». I russi sostengono che dentro la fabbrica Azot ci fossero 1.500 tra soldati e ufficiali, potrebbero non averla lasciata tutti. Dasha, l’attivista umanitaria, ribadisce la durezza degli scontri al fiume, anche durante la ritirata: «Quando abbiamo finito di raccogliere le tredici persone che volevano scappare da Lysyshank, una bomba ci è esplosa a pochi metri e ha aperto le porte del nostro furgone».
“Deportazioni di 9.000 civili”
Nessuno dei civili è voluto venire via da Severodonetsk. Erano ancora ottomila in città, una città da 110.000 abitanti in tempo di pace, e 568 acquattati nella Azot. Con loro, 38 bambini. Non volevano lasciare un metro della loro terra, ma nel corso della mattina, ieri mattina, letruppe russe hanno iniziato a prendere i civili rimasti all’esterno della fabbrica Azot e a portarli con i loro mezzi verso i territori occupati. È probabile sarà solo una tappa. «Conosciamo le deportazioni verso la Russia», dice la portavoce di Sergii Gaidai, l’uomo che ha ordinato la ritirata.
La presa del Lugansk
Severodonetesk è una bandiera, la seconda importante dopo Mariupol. Gli ucraini l’hanno persa. Con i loro combattimenti da Seconda guerra mondiale, tutti affidati al volume di fuoco e qui alla potenza deimissili Tochka, le truppe russe stanno allargando la loro occupazione a una parte maggioritaria del Lugansk. Ieri è caduto un altro avamposto importante: Zolote, insediamento che segnava il confine ucraino dal 2014. L’esercito russo, che negli ultimi giorni ha preso dieci insediamenti, assicura di aver accerchiato 1.800 soldati ucraini nel Lugansk: «Quattro battaglioni e un gruppo di centoventi mercenari stranieri sono rimasti intrappolati, oltre a quaranta veicoli corazzati da combattimento e ottanta cannoni e mortai». A Gorskoye le unità ucraini «hanno meno del 40 per cento degli uomini » e «quarantun soldati ucraini si sono arresi nelle ultime 24 ore». Lysychansk, ridotta a una larva di città, è sotto il cannoneggiamento continuo dei suoi sobborghi. Le truppe nazionali, accerchiate, hanno respinto un assalto e ogni fabbrica nasconde un gruppo di militari difensori. Le prossime due città da prendere, per i russi, sono Slovjansk e Bakhmut. Il comandante in capo delle Forze armate ucraine ha detto agli americani: «I russi sparano mille colpi l’ora per deprimere i nostri battaglioni e spaventare i cittadini ucraini rimasti nell’Est». Arestovich a sera spiega la “ratio” dei ripiegamenti: «Nel Donbass i russi ci stavano costringendo a combattere come vogliono loro, testa contro testa, come gli arieti. È meglio arretrare, risparmiare vite, mantenere le armi e poi, quando saremo ben equipaggiati grazie ai nuovi aiuti occidentali, tornare a conquistare il terreno perduto».
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