Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/06/2022, a pag.6, con il titolo 'Le armi assicurano la via diplomatica. Con l’Europa si va dalla stessa parte' l'intervista di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
Dmytro Kuleba
Kramatorsk (Donbass) «Dato che mi parla dal Donbass, anche lei è in grado di toccare con mano gli effetti devastanti dei bombardamenti russi e le ragioni del mio argomento di base: solamente la nostra vittoria militare convincerà la Russia ad avviare seri negoziati di pace, le armi garantiranno la via diplomatica», esordisce Dmytro Kuleba nei cinquanta minuti d’intervista dal suo ufficio di ministro degli Esteri a Kiev.
Ministro, la questione delle armi all’Ucraina resta controversa in Europa. Non teme che, col protrarsi del conflitto, alcuni alleati si defilino anche per difficoltà politiche al loro interno? «Non mi faccio illusioni. Nessuna guerra può mai cancellare la realtà della politica interna e nei Paesi democratici è inevitabile che le opposizioni cerchino momenti favorevoli per criticare il governo. Ma non credo che ciò avvenga perché si ignora il pericolo rappresentato dalla Russia di Putin, semplicemente assistiamo a normali lotte di potere. Draghi per esempio ha dimostrato una grande capacità di leadership, non solo riguardo all’Ucraina ma anche nelle questioni europee. E la politica funziona in questo modo: più hai successo più i tuoi avversari sono agguerriti. Però quello che conta è la capacità dei leader di spiegare ai cittadini che l’aggressione russa non riguarda solo le case ucraine, bensì ogni famiglia europea. Putin attacca gli equilibri interni, destabilizza, mira a indebolire libertà e democrazia. Se ci pensiamo bene, Mosca intendeva aumentare i prezzi dell’energia ben prima del 24 febbraio. Per fortuna Draghi e anche Macron tengono la barra diritta».
Un giudizio generale sull’Europa? «Positivo. Dopo la visita di Draghi, Macron e Scholz a Kiev vediamo unità, chiarezza d’intenti, ovviamente ci sono differenze tra loro e noi abbiamo bisogno di più armi e di sanzioni più dure contro Mosca. Ma in linea di principio si va assieme nella stessa direzione, unica nostra richiesta è che tutto ciò sia più veloce».
E il summit in corso che ha approvato il vostro status di Paese candidato a entrare nella Ue? «Quattro mesi fa l’Ucraina e l’Europa erano molto distanti. Da allora è cambiato tutto. Sappiamo bene che il processo per diventare Paesi membri a pieno titolo sarà lungo. In ogni caso, il messaggio è già chiaro: l’Ucraina fa parte del progetto di integrazione europea, finisce l’era dell’incertezza, si apre un’epoca nuova tra Paesi che condividono gli stessi valori».
Sarà una guerra lunga, ogni giorno centinaia di vittime, l’economia è in crisi: siete pronti a combatterla? «Una domanda difficile, ma legittima. Sì, la vita in Ucraina è sempre più difficoltosa e gli europei protestano per i prezzi dell’energia. Ma per noi si tratta di una guerra esistenziale in difesa della democrazia. Nessuno vorrebbe pagarne il prezzo. Spero che la popolazione italiana capisca che Putin vuole la crisi energetica, economica e alimentare in tutta Europa. La Russia invidia il benessere europeo. Nel suo modello la gente deve vivere in modo disumano, pronta ad obbedire ciecamente ai capi. Questa è una guerra tra dittatura e democrazia non scelta da noi o dagli italiani, l’ha imposta Putin. Però si spara sulla nostra terra. La domanda per tutti deve essere: siamo pronti a sottometterci al diktat di Putin? Certo che no, ma allora dobbiamo combattere, se non lo faremo dovremo ammettere che le democrazie sono incapaci di difendere i loro valori. Se Putin dovesse prevalere, le ripercussioni sarebbero planetarie e si rafforzerebbero gli autoritarismi».
Arrivano le armi? «Difficile protestare con chi ci aiuta. Le armi arrivano e sarebbe stato quasi impossibile senza. Ma non bastano, non sono neppure sufficienti per stabilizzare il fronte del Donbass. La Russia è più forte. In Europa dovreste sempre considerare che noi siamo la vostra prima linea: necessitiamo di cannoni calibro 155 millimetri e lanciarazzi semoventi, oltre a tante munizioni, questa è una sfida dominata dai duelli di artiglieria».
In Italia i critici sostengono che se non riceverete armi sarete più aperti al compromesso con Putin… «Equivale a dire: non importa se muoiono tanti ucraini, che vengano massacrati, torturati; non ci interessa che i russi annettano una nazione europea sovrana. Chiunque rifiuta di mandarci armi sostiene le atrocità russe».
A che punto siete con i tentativi per riaprire l’export del grano? «Stiamo organizzando con successo le strade sino ai porti rumeni e polacchi. Ma non basta. Occorre sbloccare Odessa, cosa che proviamo a fare con la mediazione Onu, la via resta lunga, credo che troveremo una soluzione».
E la via negoziale? «Resta ferma alla scelta aggressiva di Mosca, intendono annettersi tutto ciò che conquistano, i loro cannoni continuano a sparare: questo è lo status quo».
Crede che Putin si fermerebbe se riuscisse a conquistare tutto il Donbass? «No, perché lui non vuole solo il Donbass e neppure soltanto l’intera Ucraina, mira ad allargarsi all’Europa, minaccia tutti noi, ci dice che non potremo vivere bene sino a quando i russi vivranno male. Si fermerà solo quando sarà stato sconfitto militarmente».
Siete in ritirata dal Donbass e Kharkiv torna sotto attacco. State perdendo? «Putin voleva occupare il Donbass entro il 9 maggio. Siamo al 24 giugno e ancora combattiamo. Ritirarci in qualche battaglia non significa affatto perdere la guerra».
In marzo-aprile, pur di terminare subito la guerra, voi sembravate propensi a riconoscere l’annessione russa della Crimea e le due aree separatiste filorusse nel Donbass create dopo la crisi del 2014. Vale ancora? «Quale politico italiano sarebbe pronto a rinunciare a una parte del suo territorio nazionale in cambio della pace? E di una finta pace, perché i russi vogliono tutta l’Ucraina? Noi continuiamo a difendere l’integrità del nostro territorio sovrano. Chi in giacca e cravatta tranquillo nel suo ufficio ci consiglia di fare concessioni deve prima mettersi nei nostri panni. Cosa fareste voi? Non abbiamo cercato questa guerra, aspiriamo a una pace solida e duratura, certo non a una tregua che dia tempo ai russi di organizzarsi e attaccare di nuovo».
Vale ancora l’offerta del summit Putin-Zelensky? «Certamente. Sarebbero loro a discutere nello specifico il modo per arrivare alla pace. Tutto è aperto».
Anche il fermarsi ai confini del 24 febbraio scorso, abbandonando quelli del 1991? «Sarebbe poco saggio da parte mia enunciare adesso le nostre condizioni. Ma ogni punto sarebbe oggetto di dialogo».
Il pericolo dell’asse Cina-Russia? «Pechino mantiene una politica equilibrata».
Vede ancora un ruolo per la mediazione del Papa? «Non c’è nulla di nuovo. Saremmo felici di avere il Papa a Kiev. Con la diplomazia vaticana abbiamo molto lavorato ultimamente per spiegare che questa guerra è tutta responsabilità russa e nessuno ha mai provocato Putin».
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