L’importanza attuale degli Accordi di Abramo
Analisi di Antonio Donno
A destra: la firma degli Accordi Abramo
La crisi politica in Israele prolunga una vicenda che si trascina da anni e che ha visto un susseguirsi di inutili elezioni, compresa quella che ha dato vita a un nuovo governo fondato su un’accozzaglia di partiti di opposte tendenze politiche. Ora che questo governo è naufragato, come era prima o poi prevedibile, è presumibile che le elezioni di ottobre-novembre riportino in auge Bibi Netanyahu e il Likud. Non sarà facile, perché il problema fondamentale della politica israeliana è la quota troppo bassa di consensi utili per entrare nella Knesset, il che nel tempo ha dato vita ad un parlamento ricco di formazioni politiche di scarsa entità ma in grado di condizionare la vita politica del Paese. Il periodo tra la crisi attuale e le prossime elezioni sarà decisivo, perché sarà in questi mesi che il dibattito tra i partiti, fuori e dentro il Parlamento, delineerà le alleanze che si presenteranno alle urne. Nello stesso tempo, le vicende medio-orientali saranno un campo in cui il governo uscente dovrà ritrovare un minimo di coesione perché la situazione non sfugga di mano.
Gli Accordi di Abramo dovranno rappresentare un punto di non-ritorno per Israele. È, dunque, indispensabile che quegli accordi siano al vertice dell’impegno politico del governo uscente, che siano costantemente verificati e ulteriormente consolidati con i Paesi arabi che li hanno firmati, introducendo anche nuove clausole politiche e militari. Per questo motivo, bene ha fatto Bennett a recarsi due volte presso gli Emirati. Ora, nel periodo di crisi che si prospetta è opportuno che i rapporti tra i firmatari degli accordi si intensifichino e si rafforzino.
Infatti, i negoziati di Vienna languono da molto tempo per esclusiva volontà di Teheran. All’inizio del suo mandato, Biden aveva più volte affermato di voler ripristinare il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), del 2015, successivamente cancellati da Trump. Ma l’atto di Trump aveva, di fatto, posto l’Iran in una situazione di vantaggio, permettendo al regime degli ayatollah di procedere più speditamente nell’arricchimento dell’uranio. Per questo motivo, i negoziatori iraniani hanno colto tutti i pretesti possibili per rallentare il processo di negoziazione o addirittura di bloccarlo per qualche tempo. La cancellazione degli accordi voluta da Trump è stato un atto negativo, anche se – occorre dirlo chiaramente – gli iraniani hanno proceduto a sviluppare il progetto nucleare anche dopo aver firmato gli accordi del Jcpoa, impedendo qualsiasi controllo previsto dalle sue clausole.
Il pericolo iraniano è più che mai presente sulla scena mediorientale. Ed è per questo che gli Accordi di Abramo hanno una valenza decisiva. Il loro rafforzamento pone i firmatari in una posizione di corresponsabilità di fronte al regime degli ayatollah e, nello stesso tempo, si qualifica nel contesto delle relazioni internazionali come un fatto di novità assoluta nella scena del Medio Oriente. Dopo la firma della pace con l’Egitto nel 1979 e con la Giordania nel 1994 – due momenti topici nella storia della regione – gli Accordi di Abramo proiettano il loro peso politico ben al di là dello scacchiere mediorientale. Poiché, oggi, il campo della regione è diviso tra Iran e le sue milizie terroristiche, da una parte, e i Paesi firmatari degli Accordi di Abramo, dall’altra, sembrerebbe che il Medio Oriente si trovi in una fase di equilibrio instabile.
Non è così. L’obiettivo storico e ideologico-religioso dell’Iran khomeinista è la distruzione di Israele e lo sterminio del suo popolo. Potrà sembrare che questo obiettivo si poggi esclusivamente sul fanatismo; al contrario, il regime, nelle sue varie fasi, ha sempre sollecitato, da una parte, il fanatismo del suo popolo, dall’altra ha valutato con estrema attenzione e con astuto calcolo le vicende della politica internazionale nei suoi riflessi sul Medio Oriente. La situazione attuale della regione, anche a causa della guerra in Ucraina, sembra ferma. Non è vero, perché Teheran continua a sviluppare la propria politica nucleare e, a quanto si dice negli ambienti internazionali più informati, è nella sua fase finale.