Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/06/2022, a pag,12, con il titolo "Macron costretto a cercare alleati convoca i partiti" l'analisi di Stefano Montefiori
Emmanuel Macron, non sorride
Stefano Montefiori
Il presidente non parla (ancora). All’indomani del secondo turno delle elezioni legislative, Emmanuel Macron si è guardato bene dall’esprimere un commento sui risultati e sulla pessima prova della sua coalizione Ensemble!, ma oggi e domani incontrerà tutti i capogruppo per cercare di trovare una soluzione al rebus: come governare senza una maggioranza.
Assemblea bloccata
Macron perde la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, Jean-Luc Mélenchon è forte ma non abbastanza per ambire alla nomina a primo ministro, Marine Le Pen è protagonista di un exploit mai visto — da 8 a 89 deputati — ma lontanissima dalla soglia dei 289 seggi che servono per governare. Così i francesi riscoprono le delizie delle manovre parlamentari. Un mondo che hanno ben conosciuto durante la IV Repubblica (1946-1958), ma che il generale De Gaulle aveva fatto dimenticare traghettandoli nella V Repubblica dello strapotere esecutivo. Cercare una maggioranza in Parlamento a elezioni fatte, con una nuova alleanza o caso per caso, a seconda dei provvedimenti, un po’ come viene: una pratica appartenente al passato, oppure legata alla politica italiana, che qui in Francia appare affascinante, esotica e incomprensibile. Eppure è a questo che sono chiamati gli attoniti politici francesi, con un capovolgimento assoluto dello scenario del primo mandato Macron.
Missione fallita
Allora, nel 2017, il giovane presidente aveva conquistato l’Eliseo e poi l’Assemblea nazionale con una campagna lampo che aveva distrutto i partiti tradizionali — soprattutto a sinistra — e gli aveva dato tutti i poteri. «Userò i miei primi cinque anni da presidente per ridurre il peso degli estremismi», aveva annunciato allora Macron, la promessa che gli è riuscita peggio. Cinque anni dopo, ha centrato il bis all’Eliseo, ma il voto sanzione è arrivato con le legislative di domenica: la sua coalizione Ensemble! si restringe, e le ali estreme dello schieramento politico — la Nuova unione popolare ecologista e sociale di Mélenchon a sinistra e il Rassemblement national di Marine Le Pen a destra — dilagano all’Assemblea nazionale, mai così forti. Invece di arginare l’estremismo, Macron lo ha alimentato.
Alleanza impossibile In queste condizioni inedite, come governare? Altre volte in passato il presidente della Repubblica si è ritrovato con un Parlamento e quindi un governo di segno opposto (Mitterrand/Chirac, Mitterrand/Balladur, Chirac/Jospin), ma una maggioranza chiara c’era e quindi la situazione era tutto sommato più semplice. Oppure si può citare il precedente di Michel Rocard, primo ministro di François Mitterrand dal 1998 al 1991: anche lui aveva a disposizione solo una maggioranza relativa, perché gli mancavano 14 seggi. Si arrangiò trovandoli via via nel gruppo misto, o tra i comunisti o tra i centristi. Ma i seggi che oggi mancano al primo ministro di Macron — l’attuale Elisabeth Borne o chi la sostituirà — per arrivare alla maggioranza assoluta sono ben 44.
Un patto di governo
Lo scenario apparentemente più semplice sarebbe stringere un patto di governo con la destra gollista dei Républicains, che nonostante il pessimo risultato alle presidenziali della loro candidata Valérie Pécresse e l’avanzata dei lepenisti, hanno conquistato 64 seggi molto preziosi. Una delle figure storiche del partito di Nicolas Sarkozy, Jean-François Copé, lo ha suggerito a urne appena chiuse: «Un patto di governo tra Macron e noi Républicains è vitale per lottare contro l’avanzata degli estremismi, che incarnano violenza e settarismo». Ma ieri il segretario Christian Jacob, dopo una riunione con gli altri dirigenti, ha frenato, anzi inchiodato: «Ci siamo presentati alle urne come un partito di opposizione, e resteremo all’opposizione». Forse una manovra tattica per alzare il prezzo della collaborazione di cui Macron ha disperatamente bisogno; o forse una scelta strategica per rivitalizzare il partito e allontanarlo una volta per tutte dall’orbita del presidente.
Maggioranze variabili
È la strada più lontana dalla tradizione della V Repubblica, che ha finito per sacrificare la rappresentatività democratica sull’altare del bene supremo, la governabilità. Ma oggi la Francia è entrata in un altro mondo dove l’Assemblea nazionale torna centrale e un ruolo decisivo potrebbe toccare al ministro per i Rapporti con il Parlamento, l’ex ministro della Sanità Olivier Veran, il quale potrebbe cercare i 44 voti mancanti una volta presso i socialisti e gli ecologisti — che ieri hanno rifiutato la proposta di Mélenchon di costituire un gruppo unico — e un’altra presso la destra.
Dissoluzione
Possibile in teoria (anche se per alcuni costituzionalisti bisognerebbe aspettare un anno), quasi impraticabile nella realtà: se Macron decidesse di sciogliere un Parlamento appena eletto perché non gli piace, le accuse di attentato anti-democratico sono già pronte a partire.
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