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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
21.06.2022 Israele in crisi
Commento di Enrico Franceschini, editoriale del Foglio

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Enrico Franceschini
Titolo: «Israele, cade il governo. Netanyahu esulta: 'Vinceremo le elezioni' - Israele in crisi, di nuovo»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/06/2022, a pag. 16, con il titolo "Israele, cade il governo. Netanyahu esulta: 'Vinceremo le elezioni' ", il commento di Enrico Franceschini; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Israele in crisi, di nuovo".

A destra: la Knesset, il Parlamento israeliano

Ecco gli articoli:

Enrico Franceschini: "Israele, cade il governo. Netanyahu esulta: 'Vinceremo le elezioni' "

ENRICO FRANCESCHINI | Cristofariphoto
 Enrico Franceschini

Era nato fragilissimo, con una maggioranza di appena un seggio, e da settimane navigava a vista, senza più nemmeno quel singolo parlamentare in più. Adesso ha perso un altro deputato e il governo israeliano guidato da Naftali Bennett è caduto. Per lo Stato ebraico si apre lapossibilità delle quinte elezioni in tre anni e mezzo. «Dissolvere il parlamento è la decisione giusta», commenta il premier dimissionario, riconoscendo di non riuscire più a tenere insieme i pezzi troppo diversi della sua formazione. «Vinceremo noi le elezioni», predice Benjamin Netanyahu, il primo ministro di più lungo corso nella storia di Israele, sperando di tornare presto al potere. La coalizione uscente, con Bennett alla testa, era la più eterogenea di sempre, riunendo partiti di destra (come quello del premier), di centro e di sinistra, oltre che per la prima volta dal 1948 portando al governo uno dei partiti che rappresentano la minoranza araba all’interno di Israele, per arrivare alla soglia minima di 61 deputati contro59 dell’opposizione. Ma quando in primavera un membro della maggioranza ha cambiato casacca si è capito subito che la politica israeliana avrebbe avuto un’estate calda. Dal 60-60, in pratica un governo senza più maggioranza, nei giorni scorsi la coalizione si è trovata effettivamente in minoranza, con soltanto 59 seggi, dopo che un altro parlamentare, appartenente proprio a Yamina, il partito di Bennett, ha deciso di lasciarla perché non aveva «sollevato lo spirito di Israele». A provocare la crisi finale, ufficialmente, c’erano dissidi su questioni care ai partiti della destra religiosa. Ma la vera ragione è Netanyahu, che fin dall’avvento di questo governo tramava per farlo cadere e ci è riuscito una settimana esatta dopo il primo anno di vita dell’esecutivo. Pur ancora minacciato dai processi per corruzione che hanno contribuito a indebolirlo e a farlo dimettere nel giugno 2021, Bibi – come lo chiamano gli israeliani – ha accusato Bennett, peraltro suo ex discepolo ed ex alleato, di avere formato un governo morbido sul terrorismo, che metterebbe a rischio la sicurezza nazionale. Gli attentatipalestinesi degli ultimi mesi, con una scia di morti e feriti come non capitava dalla Seconda Intifada, hanno riportato ansia nella società israeliana, creando il terreno per la caduta del governo, se non per una rivincita di Netanyahu. Si vedrà cosa esce dall’effervescente calderone della politica di Gerusalemme, una delle poche nazioni al mondo dove i governi cambiano con frequenza simile a quella dell’Italia. Un voto in Parlamento ratificherà nei prossimi giorni che si andrà a nuove elezioni. Bennett si dimetterà e al suo posto diventerà premier a interim Yair Lapid, attuale ministro degli Esteri e leader di un partito laico di centro, fino alle elezioni che potrebbero tenersi in ottobre. A meno che Netanyahu non convinca la nazione o i partiti, a cominciare dal suo Likud, a costruire la maggioranza che non era stato capace di edificare un anno fa, nonostante fosse uscito dalle urne con il maggior partito. Allora la parola d’ordine era: chiunque come premier tranne lui. Oggi un sondaggio indica che in effetti sarebbe di nuovo Netanyahu a vincere le elezioni, ma non è chiaro se avrebbe una maggioranza. Sullo sfondo, oltre al problema senza fine del conflitto israeliano-palestinese, ci sono la guerra in Ucraina, per fermare la quale Bennett aveva tentato una mediazione, e la pandemia. Una cosa è certa: “re Bibi”, il soprannome che gli danno i suoi sostenitori, proverà ancora una volta a tornare al posto di premier che ha occupato per un totale di quindici anni, incluso dal 2009 al 2021.

Il FOGLIO: "Israele in crisi, di nuovo"

Israele andrà a votare per la quinta volta in quarantadue mesi, probabilmente a ottobre, e l’ex premier Benjamin Netanyahu – sì sempre lui – si è preso il “merito”, dicendo di aver messo fine “a un anno di sofferenza per i cittadini israeliani”. La prossima settimana si voterà per la dissoluzione della Knesset e il ministro degli Esteri, Yair Lapid, diventerà il premier della transizione, al posto di Naftali Bennett, che è stato a capo del governo per l’ultimo anno (era previsto, negli accordi di governo, un passaggio di consegne della premiership tra Bennett e Lapid nel 2023 e la rotazione è stata confermata per la gestione degli affari correnti). In una dichiarazione congiunta, i due hanno annunciato che gli sforzi per stabilizzare la coalizione di governo sono falliti. Il collasso è la prova che la crisi politica che attanaglia Israele dal 2019 è ancora “molto viva”, scrive Barak Ravid di Axios. Bennett e Lapid hanno cercato di rinnovare nelle ultime settimane la legge che regola i territori israeliani in Cisgiordania. Nir Orbach, che fa parte del partito di Bennett, la scorsa settimana aveva lasciato la coalizione perché il rinnovo della legge non era ancora stato deciso. Il premier aveva cercato di convincere Orbach, che è anche un suo stretto collaboratore, a non lasciare la coalizione, ma secondo i resoconti la trattativa è andata malissimo. Proprio un anno fa Bennett aveva giurato come premier di una coalizione inedita, la prima che includeva un partito arabo, partiti di destra, di sinistra e di centro. La promessa pareva irresistibile, ma il governo si è dimostrato fragile, poco convinto della possibilità di creare un dialogo interno e spesso ostaggio dello stesso Netanyahu, che era il motivo per cui tutti gli altri si erano uniti: per contrastarlo. Ora l’ex premier sarà di nuovo decisivo nella prossima elezione, o almeno farà di tutto per esserlo. Sarà invece con tutta probabilità Lapid ad accogliere Joe Biden il 13 luglio, in un momento così critico a causa della guerra e della necessità di sbloccare i negoziati sul nucleare iraniano.

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