Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/06/2022, a pag.3, con i titoli "Per Marine successo senza precedenti: 'Riunirò i patrioti' ", "Il 'Chávez francese' resuscita la sinistra: 'Battuta l’arroganza' " due servizi di Stefano Montefiori.
Ecco gli articoli:
Stefano Montefiori
"Per Marine successo senza precedenti: 'Riunirò i patrioti' "
Marine Le Pen, Emmanuel Macron
Sul palco di Henin-Beaumont, da anni roccaforte lepenista nel Pas de Calais, Marine Le Pen sfoggia uno dei suoi due sorrisi smaglianti: non quello forzato delle tante sconfitte nella corsa all’Eliseo, ma quello autentico di una vittoria senza precedenti. «Entriamo all’Assemblea, che grazie a noi sarà un po’ più nazionale, con il gruppo di gran lunga più numeroso della nostra storia», dice la leader del Rassemblement national. «Uniremo i patrioti di destra e di sinistra». Una novantina di seggi, un’avanzata enorme rispetto al 2017, quando i deputati furono 8 e il partito non riuscì a formare un gruppo parlamentare. «È una cosa mai vista», dice Steeve Briois, il sindaco lepenista di Henin-Beaumont, «soprattutto se consideriamo che il sistema elettorale è fatto apposta per penalizzarci». Il miglior risultato del Rassemblement national finora era stato quello del lontano 1986, quando il presidente socialista François Mitterrand — per indebolire la destra gollista — introdusse il proporzionale che permise a ben 35 deputati lepenisti di entrare in Parlamento. Dopo quell’exploit, la storia elettorale del Front, poi Rassemblement national, è stato un susseguirsi di risultati spesso buoni alle presidenziali, e di inesorabili sconfitte nelle altre consultazioni, dalle legislative alle regionali. Stavolta è andata diversamente, e questo cambia tutto per la formazione di estrema destra. Da partito centrale nel dibattito mediatico ma marginale nelle istituzioni, con un pugno di deputati e appena qualche sindaco in piccole città di provincia, il RN entra in forze in Parlamento e conquista quel radicamento territoriale che finora gli era sempre sfuggito. E se la Nupes è la prima forza dell’opposizione, il suo leader Jean-Luc Mélenchon non sarà presente all’Assemblea nazionale perché ha preferito non candidarsi. Marine Le Pen invece, riconfermata nella circoscrizione di Henin-Beaumont, resta in parlamento a guidare la carica dei novanta. Un’affermazione insperata, che rimette in discussione anche la strategia per le prossime presidenziali del 2027: a questo punto, non è più così sicuro che Marine Le Pen rinunci alla quarta candidatura. Il Rassemblement national ha trovato un alleato insperato nel presidente Macron, che ha avuto talmente paura dell’avanzata della Nupes di Mélenchon da rompere con la tradizione dello «sbarramento repubblicano», in base al quale si vota a favore di qualsiasi avversario si trovi davanti all’estrema destra. I macronisti anzi hanno stabilito una specie di equivalenza tra l’estrema destra di Le Pen e l’estrema sinistra di Mélenchon, chiedendo il voto per sé come unica scelta ragionevole e legittima contro le forze anti-democratiche. La risposta degli elettori è stata l’astensione, in maggioranza, e poi un voto ormai disinibito verso le due opposizioni a Macron. Marine Le Pen, come spesso le accade, è apparsa relativamente poco presente, quasi distratta, senza paragone con l’attivismo e la determinazione di Mélenchon e dei suoi. Eppure il Rassemblement national continua ad avanzare, senza fatica, come se milioni di elettori fossero già così convinti della loro adesione al lepenismo da non avere neppure bisogno di una campagna elettorale. Marine Le Pen ha chiamato «coalizione burkini» la Nupes di Mélenchon, accusato di essere troppo indulgente con gli islamisti, e ha cavalcato il disastro della finale di Champions allo Stade de France, dove «il caos scatenato dalle bande di delinquenti ha dimostrato che il governo che non è più in grado di controllare nulla». È bastato poco, stavolta, per occupare una fetta mai così grande dell’Assemblea nazionale.
"Il 'Chávez francese' resuscita la sinistra: 'Battuta l’arroganza' "
Jean-Luc Mélenchon
Ci sono voluti il carisma umorale e gli scatti di follia di Jean-Luc Mélenchon per riuscire nell’impresa di rivitalizzare la sinistra francese data per defunta. Certo la gauche di Mélenchon non è quella socialista dei presidenti Mitterrand e Hollande, è una sinistra di rottura, un anticapitalismo più vicino a Jeremy Corbyn che al New Labour dell’odiato Tony Blair, una sinistra che predica la fine del neoliberismo (anche se la Francia è uno dei Paesi meno neoliberisti al mondo) perché «ormai è dimostrato, non funziona da nessuna parte», una sinistra più di lotta che di governo e infatti Mélenchon non governerà, non sarà premier e non avrà la maggioranza parlamentare, nonostante per settimane abbia proclamato il contrario. Però se nella scorsa legislatura Mélenchon è riuscito a dare filo da torcere a Macron con appena 17 deputati della France Insoumise, i 142 della coalizione Nupes che entrano adesso all’Assemblea nazionale promettono di trasformare il parlamento in uno spettacolo. «Abbiamo fatto cadere l’uomo che ha governato con tanta arroganza», ha tuonato ieri sera. I detrattori accusano il «Chávez gallico» di volere trasformare la Francia in un Venezuela senza petrolio, e non gli perdonano le passate critiche all’Ucraina e l’ammirazione per la Russia di Putin, da lui a lungo considerata come un baluardo contro l’imperialismo americano. Mélenchon è un sognatore terzomondista innamorato dell’America latina che fino a qualche mese fa riesumava formule anni Settanta per auspicare una Francia «non allineata», e diventa capo dell’opposizione nel momento in cui l’Europa e l’Occidente ritrovano unità nell’opporsi agli orrori di Putin. Ma quanto Mélenchon si infervorava contro l’Ucraina, tanto allo scoppio della guerra ha saputo fare marcia indietro. «C’è un unico colpevole, un unico aggressore, la Russia di Putin», ha detto il leader della Nupes con la stessa passione con la quale negli anni scorsi lodava il Cremlino. A Mélenchon si lasciano passare cose imperdonabili per altri. Contravviene a tutti i codici della politica contemporanea: burbero, iracondo, è capace di urlare «La République sono io!» in faccia ai poliziotti venuti a perquisire la sede del partito, ma anche di rifiutare i selfie ai passanti o di gridare «Non mi toccate!» agli elettori troppo affettuosi dopo un comizio. Lui fa di questa insofferenza una virtù, un segno di sincerità. Ha fondato una Nuova unione popolare ecologista e sociale che ha finito per trovare sostenitori al di là degli ambienti antagonisti. Per esempio Raphaël Glucksmann, eurodeputato e intellettuale di sinistra, una vita a denunciare i regimi totalitari di Mosca e Pechino e a difendere le ragioni dell’Europa. Nonostante «divergenze immense» con Mélenchon, Glucksmann ha sostenuto la Nupes in nome della lotta alle diseguaglianze. Già ministro dell’Istruzione professionale (2000-2002) all’epoca del premier Jospin, Mélenchon è rimasto sempre fedele alla sua idea di «sinistra forte». Non si è spostato, è la Francia che dopo mille evoluzioni oggi ritrova in lui, 70enne adorato dai giovani, il leader da opporre a Macron. Gli attacchi degli avversari hanno ricordato talvolta i toni da «pericolo rosso» che accompagnarono l’avvento di Mitterrand all’Eliseo nel 1981. Mélenchon ha riso di questi paragoni, e ha protestato contro una democrazia bloccata «dove l’unico voto rispettabile sarebbe quello per il potere». Il tribuno nato a Tangeri manca l’obiettivo della poltrona da premier — al quale forse non credeva davvero neppure lui — ma centra quello di rendere a Macron la vita difficile per i prossimi cinque anni.
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