Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/06/2022 a pag.12 con il titolo "Nelle enclave dell’Isis l’altra guerra dei curdi: 'Se la Turchia ci attacca la Jihad riesploderà' " la cronaca di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Combattenti curdi
Il capo del battaglione antiterrorismo curdo nel Rojava ha 24 anni, due occhi tristi, dice il suo nome ma poi per farsi fare una foto davanti alla bandiera della sua unità — lo Yat — mette il passamontagna. Dall’inizio della guerra contro lo Stato islamico ha fatto centinaia di missioni contro gli estremisti, dice a Repubblica , in collaborazione con gli americani che ci mettono le informazioni d’intelligence, gli elicotteri, un anno di addestramento e un po’ di soldati. Parla in una base a nord di Hasakeh che di solito non è aperta ai giornalisti, accanto a una fontanella che cerca di rendere il posto un po’ più grazioso. Da dietro un muro arrivano gli spari continui degli operatori che si addestrano nel poligono di tiro. Raffiche controllate di tre colpi o colpi singoli. A un chilometro circa, in un’altra ala della base che si vede ma non è accessibile, ci sono i soldati americani. «Lo Stato islamico nel 2019 è finito come espressione geografica, ma l’ideologia estremista è ancora qui, resiste nella testa della gente, ci sono cellule dappertutto, sono convinte che riusciranno a tornare forti come prima. L’attacco alla prigione di Hasakeh a gennaio con centinaia di combattenti e molte autobomba è la prova che sono ancora pericolosi». Dall’inizio dell’anno ci sono stati centosessanta attacchi dello Stato islamico in Siria e molti di questi nella parte orientale controllata dai curdi. «Omicidi mirati, assalti ai posti di blocco isolati, qualche bomba, rapimenti, spari di cecchini». Come funzionano i raid per eliminare le cellule? «Riceviamo informazioni dall’intelligence, teniamo d’occhio i sospetti per qualche tempo per capire se sono davvero terroristi, poi andiamo a prenderli di sorpresa». Reagiscono? «Le cellule locali sono più facili, quelle con stranieri tendono ad aprire subito il fuoco». Attorno ci sono teche di vetro con le foto dei martiri dell’unità e il loro equipaggiamento. Nella teca di un soldato ucciso c’è un fucile spezzato a metà da un’esplosione, a testimonianza della durezza dei raid.
Questa sfida tra estremisti e curdi di recente ha accelerato. «Prendono coraggio quando sentono voci di guerra imminente contro i turchi. Sanno che saremo occupati altrove ». Cosa farete in caso di invasione turca? «Molleremo le nostre attività qui e correremo sulla linea del fronte a nord». Lavorate a stretto contatto con molti partner della Coalizione internazionale, forze speciali americane, inglesi, francesi. Parlate mai con loro di questa situazione, del fatto che in quanto miliziani curdi dello Ypg siete considerati terroristi dalla Turchia, che è un Paese Nato? «No, questa è la politica. I soldati occidentali sono qui perché i loro governi ne traggono beneficio: combattono contro i terroristi». Avete avuto più perdite in questi raid contro lo Stato islamico o contro l’invasione turca nel 2019? «Contro la Turchia. Meglio equipaggiati, hanno aerei e droni». Sei giorni fa due elicotteri americani hanno attraversato il cielo notturno qui vicino nell’ennesima operazione congiunta, le squadre abordo hanno catturato il leader dello Stato islamico in Siria, Hani Ahmed al Kurdi. Come dice il nome di battaglia: un curdo. Era il Wali di Raqqa, quindi il governatore ombra di una delle città più grandi in questa parte di Siria. Per vedere la più grande enclave dello Stato islamico ancora attiva è necessario spostarsi nel campo didetenzione di al Hol, a un paio di ore di automobile verso il confine iracheno. Una tendopoli nel mezzo di una pianura senza un albero. Le correnti d’aria calda che si staccano dal suolo creano piccoli tornado improvvisi alti una decina di metri. Sessantamila persone, soltanto il dieci per cento uomini, per il resto donne e bambini — «ma i bambini crescono, sono qui già da tre anni e non si vede ancora una soluzione », fanno notare le guardie al di fuori della cinta di rete. Il settanta per cento delle persone all’interno del campo segue la dottrina dello Stato islamico. Ci sono i giudici, le regole, e le punizioni per chi sgarra. Dieci giorni fa due donne sono state trovate morte. Ci sono stati casi di corpi decapitati.
All’ingresso c’è la direttrice dell’amministrazione del campo, Amreen al Hassan, che legge a sei giornalisti locali una dichiarazione ufficiale in arabo nella quale chiede a Stati Uniti e Russia di mediare con i turchi per impedire l’invasione perché le conseguenze saranno catastrofiche. «In caso di guerra è sicuro che dentro al campo comincerà una rivolta», dice aRepubblica . La parte più difficile di al Hol è il cosiddetto Annex, il settore riservato alle famiglie non arabe dello Stato islamico. Le europee sono state spostate in un altro campo, quello di al Roj, che è più piccolo e meno problematico. Dentro all’Annex c’è ancora una distinzione fortissima tra il mondo esterno degli infedeli e chi sta dentro e si considera un pezzo di Stato islamico che per volere di Dio deve sopportare un periodo di cattività. I bambini con gli occhi a mandorla — dal Tajikistan e da altri posti che non possono più ricordare — raccolgono pietre da terra per cacciare il visitatore e le guardie di scorta. Si fermano perché vedono il cenno di quattro donne velate di nero dalla testa ai piedi e con guanti a coprire le mani che accettano di parlare. Una tunisina, una turkmena, un’azera e una russa, alte e giovani per quel che è possibile capire. Sono sarcastiche: «Come si sta qui dentro? Benissimo, è la migliore situazione possibile. Siamo felicissime, non potremmo essere più felici di così, è meglio che in Europa». Poi cambiano registro: «Due giorni fa un bambino è morto affogato nel canale della fogna. E il vento butta giù le tende. La vita è impossibile». Fanno finta di non capire la domanda sui morti ammazzati e sulle rappresaglie dello Stato islamico contro chi non si allinea. «Sono litigi, a volte qualche bambino offende un’altra famiglia e la cosa s’ingigantisce». Arriva una donna sulla sessantina e in carrozzella spinta da un’altra donna, è una leader carismatica, interrompe la conversazione, parla inglese perché dice di avere passato molti anni in Canada. Le altre la trattano con riverenza, una si avvicina a baciarle la mano. «Dio può rovesciare questa situazione a suo piacimento », dice. È una frase in codice, si riferisce alla fede che un giorno il campo sarà conquistato dai combattenti dello Stato islamico. «Allah può decidere tutto in pochi secondi ». Davvero? «Ricordati di Hiroshima».
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