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La Stampa Rassegna Stampa
19.06.2022 Sanzioni alla Russia: aziende occidentali al bivio
Commento di Jacopo Iacoboni

Testata: La Stampa
Data: 19 giugno 2022
Pagina: 12
Autore: Jacopo Iacoboni
Titolo: «Com'è difficile lasciare Putin, le aziende occidentali al bivio»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/06/2022 a pag.12 con il titolo "Com'è difficile lasciare Putin, le aziende occidentali al bivio" il commento di Jacopo Iacoboni.

Rousseau, Jacopo Iacoboni:
Jacopo Iacoboni

Una curiosità. Ecco perché i sostenitori di Putin mostrano la lettera Z.

Le sanzioni, ma anche l'uscita dalla Russia di una mole impressionante di aziende occidentali, oltre 1200, stanno colpendo profondamente l'economia di Mosca. Ma ci sono anche aziende occidentali che restano, o sono a metà del guado, un fenomeno che va almeno quantificato per essere compreso. Secondo il database della School of management della Yale University, una delle più prestigiose università al mondo, curato dal professore Jeffrey Sonnenfeld, ci sono 30 aziende americane, 26 francesi, 23 tedesche, 15 italiane, 6 spagnole e solo una del Regno Unito, che a giudizio di Yale continuano a fare, testualmente, "business as usual" in Russia, cioè a continuare il grosso delle operazioni. Le trenta americane, se pensiamo alle dimensioni dell'economia Usa, sono ovviamente molto meno in proporzione delle 15 italiane, o delle 26 francesi e delle 23 tedesche. Il che aiuta anche a capire un altro dei motivi del "pacifismo" e dell'inclinazione "trattativista" più diffusa in Europa, e spesso interpretata dai leader francese e tedesco, Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Si tratta spesso di colossi (come i francesi Auchan, Babolat, Lacoste, Leroy Merlin), che avrebbero potuto certamente affrontare il peso di alcuni disinvestimenti, o come alcune delle tedesche (nell'archivio di Yale figurano giganti come Siemens Healthineers – Siemens ha cessato altre attività- Braun, Kion, Globus. Mentre altre aziende tedesche stanno facendo una riduzione di investimenti, da Allianz a Boheringer, da Bosch a Zeiss). Tra le italiane, il database di Yale menziona, come business ancora attivi, Ariston Group, Benetton (che in una dichiarazione ha condannato la guerra della Russia ma ha affermato che avrebbe continuato le sue attività commerciali in Russia, comprese partnership commerciali e logistiche di lunga data e una rete di negozi che sostiene 600 famiglie), Boggi, Buzzi Unicem, Calzedonia, Cremonini Group, De Cecco, Diadora, Diesel, Fenzi, Fondital, Armani (che in una dichiarazione ufficiale ha spiegato: «Il Gruppo Armani non opera direttamente in Russia e i negozi che operano nel territorio per conto dei marchi del gruppo - Giorgio Armani, Emporio Armani, Armani Exchange - sono gestiti da franchising indipendenti»), Menarini, Perfetti van Melle, Unicredit (che ha ridotto l'esposizione con la Russia per due miliardi. La liquidità netta della controllata russa dovrebbe essere almeno parzialmente ceduta a un futuro acquirente, ha detto a Reuters una fonte informata sul dossier).

La School of management di Yale spiega che le fonti usate per tenere aggiornato il database (che ovviamente è in movimento) sono non solo un team di esperti con esperienza in analisi finanziaria, economia, contabilità, strategia, governance, geopolitica e affari eurasiatici, ma che sappiano complessivamente dieci lingue tra cui russo, ucraino, tedesco, francese, italiano, spagnolo, cinese, hindi, polacco e inglese, e che hanno utilizzato un mix di fonti pubbliche (documenti governativi, documenti fiscali, dichiarazioni aziendali, rapporti di analisti finanziari, Bloomberg, FactSet, MSCI, S&P Capital IQ, Thomson Reuters e media aziendali di 166 paesi) e fonti non pubbliche, inclusa una rete globale in stile wiki di oltre 250 addetti ai lavori, informatori e contatti esecutivi del mondo aziendale. È anche interessante la categoria delle aziende che stanno «prendendo tempo», secondo l'Università americana: ossia stanno sospendendo investimenti e gestendo la situazione. Di Barilla si dice per esempio che «tutti gli investimenti e le pubblicità sono in pausa. La produzione di pasta e pane in Russia è limitata». Di Banca Intesa che «limita nuovi finanziamenti, e sospende investimenti». Tra le aziende tedesche che temporeggiano (18, contro le 13 francesi e le 7 italiane) vengono citate tra le altre Bayer, Ruitter, Knauf. Colpisce che tra le aziende americane ancora pienamente attive in Russia ci sia Koch, il più grande, storico finanziatore dei repubblicani, specie negli stati ultraconservatori del sud, come racconta Jane Meyer in un celebre libro. O come Cloudfare e Synopsys, aziende molto rilevanti nel cloud e nell'information technology. Di alcune importantissime aziende italiane, il database americano dice cose interessanti. Di Eni, che sta «ridimensionando» la presenza in Russia: «Sospensione della stipula di nuovi contratti petroliferi; disinvestimento da investimenti per rubli». Di Enel, che lavora per «sospendere gli investimenti in corso, e per dismettere le attività correnti». Leonardo viene citata nel gruppo di aziende che hanno ridotto la maggior parte o quasi tutte le attività. Quanto questo quadro frastagliato aiuterà a fermare l'aggressione della Russia all'Ucraina? Sicuramente, sono molte più le aziende andate che quelle rimaste. L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo ha ridotto per quest'anno le previsioni di crescita della zona euro dal 4,3% stimato a dicembre al 2,6%, mentre stima che la Russia crollerà almeno del 10% quest'anno. Putin sostiene che l'inflazione russa è sotto controllo, ma è al 17,6%. L'inflazione media della zona euro è attualmente meno della metà, 8,1%.

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