Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/06/2022, a pag.6, con il titolo "'Possiamo ancora fermare i russi'. In prima linea lungo il Donets" l'analisi di Lorenzo Cremonesi; dalla STAMPA, a pag. 11, con il titolo "Zelensky a Mykolaiv: 'Lottiamo per vincere' ", il commento di Letizia Tortello.
Ecco gli articoli:
Lorenzo Cremonesi: "'Possiamo ancora fermare i russi'. In prima linea lungo il Donets"
Lorenzo Cremonesi
«Abbiamo la possibilità di fermare i russi prima che occupino il Donbass, anzi, possiamo contrattaccare e liberare tutto il territorio ucraino sino ai confini del 1991». Forse il premier britannico Boris Johnson avrebbe dovuto fare un salto qui sulla prima linea lungo il fiume Seversky Donets, a tutti gli effetti nel cuore della fase odierna della guerra, prima di dire nelle ultime ore che l’esercito ucraino vive adesso una fase di «stanca» di fronte alla tempesta di fuoco e acciaio scatenata dall’esercito di Putin: perché il tono dei discorsi e l’umore delle truppe sembrano ben distanti da qualsiasi disfattismo o senso di essere sconfitti.
«Il periodo più difficile»
Ciò non significa nascondere le difficoltà: senza dubbio i soldati e ufficiali incontrati ieri al quartier generale della 103esima brigata schierata per una quarantina di chilometri nelle regioni tra Sloviansk e Severodonetsk ammettono di stare vivendo il periodo «più complicato» degli ultimi mesi. Eppure, resta la convinzione di potercela fare. «Non abbiamo alternative, dobbiamo vincere per il fatto che Putin continua a coltivare il sogno di conquistare l’intera Ucraina e occorre togliergli dalla testa che prima o poi la otterrà con la forza», sostiene il comandante dell’unità, il colonnello 51enne Valery Kurko. Le loro baracche sono già state prese di mira ripetutamente dai russi. Un mese e mezzo fa furono colpite da un missile che provocò parecchie vittime. Il colonnello preferisce dunque tenere l’incontro in una zona della boscaglia poco distante e coperta da reti mimetiche.
«Difendiamo anche voi»
«Io mi sento profondamente europeo, noi siamo la prima linea di difesa delle vostre democrazie. Ovvio che speriamo nell’arrivo delle vostre armi, specie l’artiglieria pesante per contrastare quelle russe. Però ciò che davvero conta è che i Paesi europei isolino drasticamente una volta per tutte la Russia di Putin. Preferirei non ricevere nulla da voi, ma essere certo che avete tagliato ogni rapporto economico, commerciale, diplomatico e di qualsiasi altro genere con Mosca», sostiene Kurko commentando i risultati della visita di Draghi, Macron e Scholz a Kiev tre giorni fa. Quanto alla situazione militare, lui ribadisce che in generale i russi sono «demotivati, male addestrati, privi d’iniziativa e dunque molto prevedibili», però loro punto di forza resta «il numero incredibilmente alto di uomini e mezzi che sono pronti a mettere in campo e persino perdere anche in operazioni minori».
La tigre di carta
Sono frasi che abbiamo già sentito, anche al tempo delle sfide per Kiev e Kharkiv, ma adesso vengono sottolineate specialmente nel Donbass. «Per ogni nostro colpo, loro ne sparano dieci o addirittura venti, spesso non accurati e tuttavia fanno terra bruciata, spianano la strada alla fanteria», afferma uno degli ufficiali. Tra i problemi da affrontare c’è quello dell’acqua bassa del fiume d’estate, che in alcuni punti ora può essere attraversato a piedi, facilitando le pattuglie russe. Sulla nostra destra si ode costantemente il tambureggiare degli obici su Severodonetsk e Lysychansk: il rischio è che i russi appostati di fronte al nostro settore cerchino di sfondare verso Sloviansk accerchiando da nord l’intera provincia di Lugansk. Ma i soldati della 103esima paiono fiduciosi. «I russi hanno concentrato tutto il loro esercito su di un fronte di poche decine di chilometri. E, nonostante tutto, noi ancora teniamo, già questa è una vittoria: la macchina militare di Putin si rivela una tigre di carta. La nostra intelligence ci racconta che hanno sguarnito verso Donetsk, dove sono fermi alle linee del 2014. Negli ultimi giorni il nostro Stato Maggiore ha deciso di provare a riprendere Kherson, non sappiamo se ce la faranno, ma intanto i russi saranno costretti a richiamare le loro truppe per mandarle a sud, sguarnendo il Donbass», spiegano.
Come in un videogioco
I campi attorno sono rigogliosi, i soldati si disperdono tra le casette contadine, il tracciato del fiume segna un solco profondo nella vegetazione. Da una radura vicino alla base alcuni soldati molto giovani si occupano dei droni, che loro utilizzano solo per le ricognizioni in un raggio di 10 km nei cieli del nemico. «Questa guerra è sostanzialmente una sfida tra droni. I russi hanno uomini molto bene addestrati in questo settore: noi perdiamo una media di due droni al giorno. Si svolge come fosse un video gioco, cerchiamo di interferirci a vicenda, vince chi riesce a fare precipitare via radio il drone avversario tenendo in aria il proprio», spiegano. In una baracca ai lati del campo il soldato Taras, esperto programmatore 52enne, sta seduto su di una panca col computer sulle ginocchia per decifrare le immagini inviate in tempo reale dal drone che in questo momento sta volando sulle retrovie russe. «Vedi questo blindato? — chiede mostrando lo schermo —. Presto potrebbe essere colpito dalla nostra artiglieria». Da qualche giorno gira voce che i russi stiano preparando un nuovo assalto dal fiume. Commenta: «Se ne parla, ma da quello che vedo non sembra imminente».
Letizia Tortello: "Zelensky a Mykolaiv: 'Lottiamo per vincere' "
Letizia Tortello
«Non smettiamo di lavorare per la vittoria». Sono le 10 del mattino e Volodymyr Zelensky arriva per la prima volta a visitare il fronte Sud, dove il suo esercito ha respinto il nemico e crede nell'impossibile: riconquistare Kherson. L'obiettivo è lanciare una controffensiva nell'estate, con l'aiuto delle armi americane appena consegnate, i missili antinave Harpoon, mentre altre sono in arrivo. Riconquistare territori, per poi sedersi eventualmente a trattare, a fine agosto. Il presidente ucraino, per la seconda volta dopo Lysychansk, torna vicinissimo al fronte: i russi sono a 20 chilometri da Mykolaiv, importante porto e snodo industriale, secondo solo a Odessa. Il territorio è bersagliato dai missili cruise e da quelli a lunga gittata Mlrs. Solo due giorni, fa una bomba ha ucciso due civili e ne ha feriti altri venti. La città è spettrale, con pochissimi negozi aperti e la vita che prova a non spegnersi, nonostante tutto. Lunghe le file per gli aiuti umanitari. La maggior parte delle vetrine sono sbarrate, i pochi bimbi in strada giocano col monopattino tra il filo spinato e i cavalli di frisia ad ogni angolo. Il quartiere dei palazzi del potere, a partire dalla monumentale sede del Comune, che si staglia al fondo di una spianata verde di alberi e aiuole di fiori ancora intatte, sono totalmente inaccessibili. Solo coi militari si entra. Davanti ai nostri occhi, su un mezzo dell'esercito siedono due persone incappucciate, appena arrestate: sono traditori ucraini. Attendono mezz'ora immobili, poi vengono portati via. Dall'altro lato della spianata, invece, una carcassa di cemento di nove piani racconta morte e distruzione. È un edificio mastodontico con un enorme buco in centro, le stanze sventrate, i quadri elettrici pendono per metri dalle pareti, quelle che non si sono sbriciolate. «La vedete quella stanza lì, tagliata a metà? Quello era il mio ufficio», dice il governatore regionale di Mykolaiv, Vitaly Kim, 41 anni, origini coreane, che da businessman è diventato l'eroe della resistenza di marzo, il secondo uomo più temuto dai russi dopo il presidente. Il missile ha colpito il suo palazzo a marzo, lasciando dietro di sé trenta vittime, impiegati che erano andati al lavoro. Zelensky è in visita alle rovine, poi va a trovare le truppe che stanno tenendo le posizioni da settimane. Consegna una medaglia al valore a Kim e ad altri militari, uomini e donne, poi discute con i vertici del Comando del Sud le minacce provenienti da terra e da mare da parte della Russia, la grave crisi economica del territorio e del grano, il ripristino delle risorse idriche. Per due mesi, i cittadini di Mykolaiv sono rimasti senz'acqua. Infine, il presidente fa tappa a Odessa, nel pomeriggio, prima di tornare a Kiev. «Io sono certo che riconquisteremo Kherson», spiega Kim. «Abbiamo solo bisogno di armi potenti, perché a differenza dei russi noi non mandiamo i nostri uomini al macello. Attaccare ora costerebbe perdite umane enormi. Per ora difendiamo». Anche il comandante delle forze speciali, il colonnello Roman Kostenko, conferma: «Per il momento non riusciamo a mettere in campo una controffensiva - dice -, perché il nemico ha tanta tecnica e sacrifica molti soldati. Ma se ci arrivano i missili richiesti possiamo riprenderci le nostre città entro fine anno». L'altro ieri sono stati consegnati i missili Usa Harpoon a lunga gittata, «con cui abbiamo abbattuto la nave russa nel Mar Nero», ma presto dovrebbero «arrivare altri armamenti pesanti: semoventi d'artiglieria, missili Himars, visori notturni», spiega Kostenko. Il governatore, invece, racconta di come hanno fatto a non fare avanzare il nemico, con la lotta partigiana: «I miei cittadini avevano paura, ma quando i russi stavano per entrare nessuno voleva andarsene. In duemila si sono riversati in strada e hanno organizzato la battaglia. Pescatori e cacciatori sono andati nei campi a sparare contro i russi, altri dalle campagne informavano sui movimenti. Così li abbiamo respinti». Oggi a Mykolaiv è tornato circa il sessanta per cento della popolazione, ma il lavoro è quasi inesistente, molte persone sfidano il pericolo di morire per venire dai villaggi a ritirare il pacco-cibo e medicine distribuito dai volontari. La signora Lyudmila Burik arriva da Shyroka Balka. Ha forti dolori a un ginocchio e suo marito temono sia malato di cancro, ma le cure sono inaccessibili. Alza le mani al cielo e inizia a piangere, parlando del ritorno a casa: «Ogni giorno ci volano i missili sopra la testa, ho paura di venire uccisa in casa mia. Ogni sera prego Dio di rimanere viva».
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