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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.06.2022 Ucraina: la questione del grano
Analisi di Tommaso Ciriaco, Lorenzo Cremonesi

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Tommaso Ciriaco - Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Draghi rilancia sul grano di Odessa: 'Un patto Onu da portare al G7' - 'Il nostro grano in rovina'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/06/2022, a pag. 17, con il titolo "Draghi rilancia sul grano di Odessa: 'Un patto Onu da portare al G7' ", la cronaca di Tommaso Ciriaco; dal CORRIERE della SERA, a pag. 10, con il titolo 'Il nostro grano in rovina', l'analisi di Lorenzo Cremonesi.

Ecco gli articoli:

Tommaso Ciriaco: "Draghi rilancia sul grano di Odessa: 'Un patto Onu da portare al G7' "

La guerra del grano in Ucraina - Startmag

La battaglia del grano passa dalle Nazioni Unite. Da una risoluzione che regoli corridoi sicuri per il passaggio delle navi sul Mar Nero. Non c’è tempo da perdere, recita lo sconfortante report che Zelensky consegna nel chiuso del Palazzo Presidenziale ai tre leader europei: «Servono due settimane per lo sminamento delle coste», poi bisognerà svuotare i silos ancora pieni a causa dello stallo. E farlo «entro settembre, in tempo per il nuovo raccolto». L’ansia cresce, insomma. Terrorizza gli europei e allarma gli americani, messi in allerta dall’intelligence che già prevede: questa emergenza può alimentare il terrorismo. È il nodo dei nodi. Draghi, sospinto da un’intesa sempre più solida con Washington, preme nel chiuso del summit per percorrere questa strada. Il posizionamento assunto nelle ultime settimane ha dato frutto. A Kiev vince il duello con Berlino per la concessione dello status di candidato dell’Ucraina a entrare nell’Unione. E osserva soddisfatto Macron e Scholz valorizzare un concetto finora un po’ trascurato: chi resiste va armato, perché soltanto così si favorirà la pace. Su queste basi si fonda la nuova mossa del premier. A Zelensky chiede — ottenendolo — l’impegno ad accettare un patto che sblocchi i cereali. «Sono pronto», assicura il leader ucraino, ma soltanto con una garanzia totale che eviti il rischio di un’invasione di Odessa. Serve insomma il sigillo dell’Onu. «Non basta l’impegno di singoli Paesi — rilancia l’ex banchiere — Noi e la Francia potremmo sminare i porti, ma l’unica soluzione è un percorso sotto l’egida delle Nazioni Unite ». La risoluzione andrebbe blindata durante il G7 di Germania che si apre il 26 giugno. Giocando di sponda con il segretario generale Guterres, impegnato a marcare stretto lo Zar. Un primo tentativo, fallito, è stato stroncato da Putin soltanto pochi giorni fa. In questi giorni, a Mosca, una delegazione delle Nazioni Unite ci riprova e lavora con discrezione per favorire un testo condiviso. E d’altra parte, non esistono schemi alternativi. Macronporta a Kiev anche il Presidente romeno. E fa ascoltare a tutti, dalla sua viva voce, la realtà: Bucarest si impegna a raddoppiare le rotte terrestri, usando il Danubio e il porto romeno di Costanza sul mar Nero. Ma non basta, se non si sblocca Odessa. «Si sta avvicinando — ammette il presidente del Consiglio — il dramma di una carestia mondiale». È un giorno duro, fisicamente logorante. Quando mancano 90 secondi alla conferenza stampa, suonano le sirene antiaeree su Kiev. La guerra è qui. Draghi non ha paura a pronunciare la parola, dopo aver esaltato «un popolo che si è fatto esercito per respingere l’aggressione russa e vivere in libertà». Una tregua, dice, arriverà soltanto mettendo Kiev in condizioni di non capitolare. «Se vogliamo la pace, l’Ucraina deve potersi difendere. Nessuna soluzione diplomatica può prescindere dalla volontà degli ucraini ». Difendersi significa anche armare il Paese aggredito. La conferenza dei donatori riunita sotto la regia della Nato ha stabilito che bisognerà procedere con nuove spedizioni. L’Italia — che esaurirà gli invii del terzo decreto interministeriale entro la settimana, rispettando a perfezione la tabella di marcia — non si sottrarrà, se sarà chiamata in causa. Ma soltanto dopo il delicato passaggio parlamentare del prossimo 21 giugno. Per questo Draghi resta vago: «Oggi non ci hanno chiesto nuove armi». Ne discutono anche dentro il Palazzo presidenziale, che solo tre mesi fa divenne potenziale bersaglio di un assalto russo nella notte dell’invasione. I leader europei chiedono a Zelensky quale potrebbe essere la linea rossa per una mediazione. E lui risponde: la sovranità dell’intero territorio nazionale. «La condizione che gli ucraini pongono oggi è l’integrità territoriale », sintetizza Draghi. Eppure, qualcosa si muove. Lo dicono i report delle intelligence occidentali, fissando a metà di luglio la finestra di opportunità per una svolta. «Al momento non si vedono margini per un cessate il fuoco — aggiunge il premier — ma c’è un’iniziativa diplomatica mondiale che non c’era un mese fa». Prima di risalire sul treno notturno con destinazione Polonia, Draghi ha tempo anche per definire i contorni del ricatto russo sul gas. Mosca ha infatti fatto sapere a Roma che i tagli alle forniture delle ultime 48 ore sono causati da ragioni tecniche, «legate a pezzi per la manutenzione che non arrivano a causa delle sanzioni». Sciocchezze, taglia corto l’ex banchiere: «Come la Germania, anche noi riteniamo che siano bugie. C’è un uso politico del gas, così come del grano ».

Lorenzo Cremonesi: 'Il nostro grano in rovina'

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Lorenzo Cremonesi

Piove lento e continuo, di quella pioggia che i contadini amano di più, inumidisce il terreno, irriga senza danneggiare le colture. E infatti tutto attorno i campi coltivati a grano, orzo e mais appaiono rigogliosi, distese verdi e oro a perdita d’occhio: pronti per la trebbiatura di ciò che era stato seminato lo scorso autunno. Ma non se ne farà nulla. Non ci sarà raccolto, le piante rischiano di marcire e poi seccare sotto il sole d’agosto. «Ad andare distrutto non sarà soltanto il frutto del nostro lavoro, ma anche il terreno resterà pregiudicato, perché la natura ha i suoi ritmi, se stai fermo un anno in quelli seguenti i campi risulteranno meno fertili, ci vorrà tempo e tanto fertilizzante per tornare a come erano prima», dice Vasilii Vasilievich, figlio di generazioni di contadini, che a 68 anni si trova sul ciglio del tracollo economico a causa della guerra. Non serve molto per comprendere le cause delle sue preoccupazioni. Siamo a una ventina di chilometri a nord di Sloviansk, sulla provinciale che conduce al complesso dei monasteri ortodossi di Sviatohirsk occupato due settimane fa dalle fanterie di Putin. Una zona nota per le miniere, le fabbriche cresciute ai tempi di Stalin, ma anche per la sua terra nera, ubertosa, che a partire da qui si estende senza soluzione di continuità verso le aree fertili del Dnieper. Le prime linee russe sono soltanto a 8 chilometri dai possedimenti di Vasilii. Lui, assieme alla compagna 52enne Tania, sono tra i pochi agricoltori che hanno scelto di restare: gran parte dei villaggi appaiono abbandonati, le strade sono rallentate dai posti di blocco militari costruiti con cavalli di frisia e grossi tronchi. Le bombe d’artiglieria hanno già distrutto due dei silos pieni di grano, manca la benzina che serviva per fare funzionare le pompe dell’irrigazione nelle serre, oltre a trattori e camion. Le fanterie ucraine hanno scavato profonde trincee anticarro nei suoi campi d’orzo e gli hanno vietato di andare a lavorare dopo che tutto attorno avevano piazzato le mine. «Nessuno mi darà alcun indennizzo. Il raccolto dell’anno scorso era ancora chiuso nei silos, da queste parti in genere lo vendiamo tra febbraio e marzo, vengono i camion delle cooperative a caricarlo per portarlo alla ferrovia con destinazione il porto di Odessa per l’export via mare. Ma la guerra e il blocco russo del mare hanno paralizzato l’intera filiera del trasporto. Adesso non saprei dove mettere il nuovo raccolto, che deve per forza avvenire entro metà luglio. Così perderò due annate intere», spiega ancora. Il dramma personale di Vasilii fornisce immediatamente la concretezza della tragedia collettiva, che ormai non investe soltanto l’Ucraina ma l’intera economia mondiale. I dati sono tristemente noti. L’assedio russo sta mettendo in ginocchio il «granaio del mondo». Sino al gennaio scorso l’Ucraina esportava mensilmente circa 6 milioni di tonnellate di cereali, in particolare grano, orzo e mais; l’obiettivo del ministero dell’Agricoltura per il 2022 era di superare gli 88 milioni di tonnellate, ma la guerra ha paralizzato i porti, colpito i trasporti. Secondo il ministero delle Infrastrutture, la produzione è scesa almeno del 40 per cento, ma soprattutto si sta ancora studiando come organizzare l’export assieme agli alleati europei. Nel Donbass la situazione si rivela ancora peggiore. L’attacco missilistico russo contro la piazza della stazione di Kramatorsk, che lo scorso 8 aprile ha ucciso una sessantina di civili, è stato tra i fattori che hanno contribuito a paralizzare i traffici via rotaia. «Da allora un gran numero di contadini del Donbass è sfollato verso le regioni occidentali del Paese. Quasi tutti si sono portati via i macchinari per impedire che potessero venire distrutti o requisiti dai russi in avanzata. Sta sparendo un’intera categoria di lavoratori della terra», racconta Sergei Vladimirovich, 40 anni, che con il suo camioncino trasporta i prodotti delle campagne ai piccoli rivenditori locali. «Nel comprensorio di Sloviansk è stato abbandonato oltre il 60 per cento dei campi coltivati», aggiunge. Il villaggio di Maidan, dove si trova la fattoria dei Vasilievich, era abitato da oltre 3.000 famiglie, ne restano meno di 500. Il grande timore di Vasilii è che le bombe possano appiccare il fuoco ai campi coltivati. Lui non esita a puntare il dito contro Mosca: «Qui c’erano tanti filorussi, ma dal 24 febbraio restano con Putin soltanto i ladri e gli ubriachi. Per causa sua presto le colture diventeranno gialle, si seccheranno e bruceranno come cerini alla prima esplosione, minacciando tra l’altro anche le nostre fattorie assieme alle stalle con gli animali». Non sono affatto fantasie: pochi giorni fa un vasto incendio anneriva l’aria alle porte della cittadina di Bakhmut, non lontano dal fronte dei combattimenti più duri tra Severodonetsk e Lysychansk.

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