Riprendiamo dal FOGLIO del 15/06/2022 a pag.3, con il titolo "La Germania non è più la stessa", l'intervista di Paola Peduzzi.
Paola Peduzzi
Giovanni Di Lorenzo
Pubblichiamo l’intervista di Paola Peduzzi a Giovanni Di Lorenzo, direttore della Zeit, alla Festa dell’innovazione del Foglio.
Benvenuto a Giovanni Di Lorenzo, direttore della Zeit. Devo dire che ho un pregiudizio positivo nei confronti della Zeit: penso che sia il giornale più bello d’Europa. Lei è il direttore dal 2004. Immagino che lei abbia fatto una grande quantità di innovazioni e di adattamenti in questi diciotto anni. Qual è la direzione che ha cercato di seguire e come è impostato questo suo adattarsi al mondo che cambia, all’informazione che cambia? Abbiamo cercato di rinnovare il giornale attraverso lo studio dei nostri lettori e delle nostre lettrici, una disciplina che quando ho iniziato era abbastanza sospetta, perché il giornale doveva piacere soprattutto ai colleghi e alle colleghe del nostro giornale e non tanto a coloro che spendono tutti gli anni molti soldi per abbonarsi. A un certo punto abbiamo fatto due indagini interessanti perché non abbiamo chiesto ai lettori: “Cosa hai letto in questa edizione?”, ma gli abbiamo dato dei pennarelli elettronici con i quali segnare quello che stavano leggendo, e lì è stato molto interessante per noi vedere come all’inizio ci fossero degli articoli che avevano una quota di lettura del 30 per cento – che è molto alta – e alla fine del 4 per cento. E noi potevano studiare esattamente in che momento sono stati persi tutti i lettori. Abbiamo scoperto che ci sono degli articoli cui la quota di lettura era zero.
Le posso chiedere quali sono gli articoli da zero lettori? Ma il motivo non era il tema, il problema era come erano stati collocati, come erano fatti i titoli: abbiamo iniziato a imparare molte cose. La seconda cosa è stata spiegare che noi siamo un media di massa – adesso siamo arrivati a 610 mila copie ogni settimana – e perciò non siamo più un giornale rivolto a una certa categoria e a un pubblico ben definito ma a un pubblico molto ampio, perciò abbiamo prestato anche molta attenzione a creare delle nuove relazioni all’interno del giornale. Il 40 per cento dei nostri abbonamenti oggi è digitale, e questi abbonamenti digitali hanno avuto un grande push durante il lockdown, però a differenza di molti dei nostri concorrenti, noi dall’inizio abbiamo detto che sia l’edizione digitale sia quella su carta costano esattamente uguali, per evitare un dumping che a lungo termine va a danneggiare la tiratura pagata a pieno prezzo. L’ultimo punto interessante: abbiamo cercato di non essere politicamente di parte, cioè vicino a un certo partito politico, perché essere vicini a un partito politico purtroppo ha una conseguenza, un effetto collaterale: che poi si perde credibilità su altri temi e su altri settori. Noi normalmente definiamo la Zeit come un giornale liberale e centrista. Però in Germania esiste questo mondo, in molti altri paesi invece il centrismo e il liberalismo sono un po’ più confusi.
E poi vengono connotati male. Centrismo nel senso che il dibattito pubblico, almeno in Germania, negli ultimi anni è stato dominato da quelli che da destra e da sinistra urlavano sui social, e in mezzo invece abbiamo una grandissima parte della popolazione che ha difficoltà a vedersi rappresentata, perciò noi cerchiamo di dare un palcoscenico alla marea di gente che non urla né da sinistra né da destra. Le voci della propaganda russa come vengono trattate dai media tedeschi, e ovviamente dalla Zeit? C’è una differenza con quello che ho potuto seguire sui media italiani: coloro che si capisce che sono assolutamente solo l’altoparlante della propaganda russa non vengono invitati. Ci sono servizi su di loro, sui media, sulla propaganda russa, ma non gli viene data mezz’ora in televisione per spiegare la propaganda di guerra di Putin. Questo non viene fatto né sulle tv di stato né in quelle private.
L’ultima domanda gliela faccio sull’inserto che io preferisco della Zeit che è quello dei dibattiti, quello del confronto di idee. La redazione si chiama proprio: “Litigio”. Esatto, la parola in tedesco vuol dire conflitto, litigio, poi noi la traduciamo come dibattito e confronto. Che è un esperimento per me unico, perché in un mondo che continuiamo a definire polarizzato, in cui non c’è nessun elemento di dialogo, diventa difficile mettere a confronto due posizioni che abbiano uno stesso equilibrio.
Di che cosa parla in questo periodo di guerra questo inserto? Continuano a discutere di tutto, anche della questione della armi della Germania, ma non escludiamo gli altri temi. Non so se in Italia c’è questa discussione sui cosiddetti false balances – quando si mettono due persone a confronto come se il loro parere fosse importante allo stesso modo – per esempio uno scienziato esperto di Covid e uno No vax che dice che Bill Gates vuole inserire dei chip nelle persone attraverso il vaccino. Questo viene criticato perché è un false balance. Abbiamo una regola nei nostri dibattiti: deve esserci la volontà di ambedue le parti di non parlare per slogan, ma di seguire l’argomento dell’altra parte. Un dibattito fatto di argomentazioni: anche se dibatto con una persona di cui io non condivido la matrice politica, questa può avere un argomento molto valido, importante. In questo momento il dibattito politico in Germania soffre di questo: tutti cercano subito di metterti un timbro, e se hai un certo timbro non c’è neanche più la necessità di capire qual è l’argomento.
Sono stati 16 anni di Merkel a creare questo “spazio largo” di confronto, o è la mentalità tedesca? No, no, credo che 16 anni di Merkel senz’altro abbiano portato a poche discussioni; era una cancelliera che non si spiegava, partiva dal presupposto che i tedeschi odiano il litigio – che un po’ è vero – ma io penso invece che il dibattito, portato avanti in maniera civile, sia un arricchimento. E’ un po’ il ritorno alla politica, anche adesso che c’è il nuovo governo si discute molto di più e questo è un bene per la Germania. La posizione della Germania nei confronti di questa guerra per noi osservatori esterni è complicata da decifrare. Il cancelliere, Olaf Scholz, è molto rigoroso nei suoi discorsi quando dice “dobbiamo sostenere l’Ucraina”, quando dice che è in gioco la democrazia di tutti, ma poi nell’applicazione di questa strategia un giorno manda le armi e il giorno dopo scopriamo che non sono mai arrivate o che sono in ritardo. Poi c’è la questione del freno sia sull’adesione dell’Ucraina sia sull’embargo energetico.
Cosa vuole la Germania in questo momento? Ha un po’ perso il suo ruolo di guida? Noi abbiamo un po’ paura della Germania così confusa, non ne capiamo più la linea. Quello che dice lei è giusto. Ma bisogna vedere anche perché è così. La Germania ha molta paura di tornare paese guida; immaginate una Germania in prima linea e la più decisa ad armare altri paesi: quale sarebbe la reputazione internazionale? Sarebbe subito etichettata come una nazione tornata ai vecchi vizi, che vuole diventare superpotenza militare. Poi Scholz deve tenere conto anche di un altro elemento: la maggioranza delle persone ha una grandissima paura in questo momento, è tornato il trauma della guerra, dei profughi, temi che in Germania sono stati rimossi. In questa situazione, magari dall’esterno non sembra, ma la Germania ha cambiato rotta e bisogna dire che l’esercito tedesco, come ha detto un ex generale, sembrava più un gruppo folkloristico negli ultimi anni. Adesso hanno stanziato un budget di 100 miliardi di euro nei prossimi tre anni per rimettere in sesto l’esercito, per difendersi, e questo lo fanno i socialdemocratici insieme ai Verdi: una cosa del genere era impensabile fino al 24 febbraio. Per la Germania stanno cambiando moltissime cose e una curiosità incredibile è che il partito più di sinistra in questa coalizione tra socialdemocratici, liberali e verdi, quelli più decisi a sostenere l’Ucraina sono i Verdi, e anche l’elettorato verde è quello che più sostiene l’invio di armi in Ucraina. Scholz sta attento alle parole, lui non dice: deve vincere l’Ucraina, ma continua a dire: la Russia non deve, non può assolutamente vincere e l’Ucraina non deve perdere. La differenza sta lì. Sembra che la leadership dei verdi sia molto più definita e molto più chiara rispetto a quella di Scholz e quindi la prima domanda è: sta diventando quel partito il rappresentante del mondo progressista tedesco? La seconda è: questa cautela di Scholz va bene fino a un certo punto, però poi non ci sono zone grigie, o si vince o si perde, quindi bisogna un po’ anche essere coraggiosi. Se intervistassimo Scholz, lui direbbe che nei fatti la Germania è tra i paesi al mondo che più sostengono l’Ucraina, sia per soldi sia per armi, credo che siamo il quinto paese al mondo come fornitura in questo momento. La leadership dell’elettorato che più è a sinistra è presa in questo momento senz’altro di verdi anche grazie al vicecancelliere Robert Habeck e alla ministra degli Esteri Annalena Baerbock, che stanno facendo un lavoro molto convincente soprattutto perché dicono le cose in modo chiaro. Proprio l’opposto del modello Scholz che è sempre stato così. Non so se a sessant’anni si riuscirà a cambiare il carattere e il modo d’esprimersi: molti qui se lo augurano.
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