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La Stampa Rassegna Stampa
13.06.2022 Ucraina: i crimini di guerra russi e il desiderio di tornare alla normalità perduta
Commenti di Monica Perosino, Letizia Tortello

Testata: La Stampa
Data: 13 giugno 2022
Pagina: 16
Autore: Monica Perosino - Letizia Tortello
Titolo: «Nel laboratorio degli orrori: 'Torturano anche nelle scuole' - Dopo tre mesi riaprono i teatri: 'Dobbiamo tornare a vivere'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/06/2022, a pag.16 con il titolo "Nel laboratorio degli orrori: 'Torturano anche nelle scuole' " la cronaca di Monica Perosino; a pag. 17, con il titolo "Dopo tre mesi riaprono i teatri: 'Dobbiamo tornare a vivere' ", il commento di Letizia Tortello.

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Monica Perosino

Kherson è caduta
Kherson

Come se qualcuno avesse gettato un pesante drappo nero che tutto copre e tutto soffoca. Sotto quel drappo si consumano violenze indicibili, estreme umiliazioni, le persone scompaiono come se non fossero mai esistite, ogni domani si apre su un nuovo incubo. Ecco cosa significa vivere nei territori occupati. Ecco cosa significa vivere a Kherson, prima città ucraina caduta nelle mani dei russi, il 2 marzo 2022, e oggi "controllata" con il terrore, le torture, i rapimenti, le vendette. La città portuale sul Mar Nero è diventata un «laboratorio dell'orrore», ha detto il capo della missione Usa all'Osce Michael Carpenter, perché le bombe, i missili, i colpi di artiglieria, i raid nulla sono al confronto di quello che chi non è riuscito a fuggire deve sopportare e vedere con la "pace russa". In questa vita di perenne terrore manca cibo, mancano medicinali, manca il contatto con "il mondo normale". Per comunicare con l'esterno i più coraggiosi si avventurano verso aree in cui la rete internet ucraina funziona ancora. Brevi telefonate, messaggi, le foto per testimoniare quello che succede, le rassicurazioni per dire di essere ancora vivi. Poi si cancellano le tracce e si corre via, sperando di non essere stati visti. «Il primo giorno – racconta Vladimir, 58 anni - si sono presentati con una lista in mano: cercavano attivisti, politici, giornalisti, veterani che avevano combattuto nel 2014 e li portavano via». In tutta la regione ci sarebbero almeno dieci camere di tortura, allestite nelle cantine, nelle sedi della polizia, nelle scuole, e seicento detenuti seppelliti lì dentro. La più famosa, quella che ricorre in numerose testimonianze, è la stanza delle torture della Scuola professionale n. 17 a Henichesk. Lì sarebbero stati portati molti degli attivisti che per tutto aprile abbiamo visto manifestare sotto il monumento a Taras Shevchenko contro la guerra e l'occupazione, assieme a decine di Tatari di Crimea. Nella città e nei piccoli villaggi della regione le truppe dell'autoproclamata repubblica di Dontesk, che ora detengono il controllo, si aggirano come invasati, spesso sono ubriachi: «Ci chiedono se siamo contenti di essere stati liberati dai nazisti - racconta Karolina, 27 anni -, sembrano uomini impotenti che hanno bisogno di essere rassicurati costantemente sulla loro virilità. Sembra siano loro ad aver paura. Possono fermare chiunque per strada e fargli ripetere più volte che sono fantastici, che sono forti e che vogliamo vivere con loro. Abbassiamo gli occhi e ripetiamo, cosa dobbiamo fare di fronte a una mitragliatrice?». Chi non è abbastanza convincente viene punito. Come una donna di 78 anni, che chiameremo Svetlana, che si è rifiutata di ripetere il mantra e per questo è stata «lasciata nuda, al freddo, nel centro della piazza principale per un giorno intero. Nessuno poteva avvicinarla, nè aiutarla». Oltre alle numerose denunce per stupro, arrivano testimonianze di torture e sevizie: «Il mio vicino di casa - racconta Piotr - ha protestato quando gli occupanti gli hanno portato via la sua ultima gallina. L'hanno picchiato a sangue, poi gli hanno inchiodato le mani alla staccionata e l'hanno lasciato lì».

Una settimana fa hanno sparato sulle barchette di alcuni uomini che, stremati dalla fame, erano andati a pescare: chi non sapeva nuotare è morto affogato. Oleksandr Danylov, avvocato, collabora con l'Unione ucraina di Helsinki per i diritti umani e sta raccogliendo le testimonianze dai territori occupati: «Torturano civili con botte, scosse elettriche. Vogliono avere informazioni sui "nazisti", sui "banderisti", sugli attivisti locali... A Kherson si vive nella disperazione totale». Danylov ha raccolto prove di 24 casi di tortura e 350 di rapimenti e detenzioni illegali di civili. Oltre cento persone non hanno più fatto ritorno: «Le celle in cui i russi detengono, interrogano e torturano i civili sono negli edifici sequestrati alle forze dell'ordine ucraine e nelle scuole. Collegano l'elettricità al lobo dell'orecchio, alle dita dei piedi e alle mani. Poi versano l'acqua». Scosse elettriche, waterboarding, percosse, gambizzazioni, finte esecuzioni. «Ti sfiniscono, non sai più chi sei, se è giorno o notte - dice Oleg, in una cella per 7 giorni -. Hai paura di morire, hai paura che uccidano i tuoi cari, alla fine confessi tutto quello che vogliono. Io tutto sommato me la sono cavata, si sono tenuti solo la mia gamba destra». Le forse di occupazione non si sono limitate a perseguitare chi era sceso in piazza. Hanno iniziato a setacciare i social network, cercavano chi criticava la guerra o la Russia, poi andavano a prenderli a casa. «Gli insegnanti e i presidi delle scuole subiscono pressioni inaudite, viene chiesto loro di passare al programma russo - spiega Danylov-. A Kherson, però, su 60 scuole solo 2 hanno accettato di collaborare». Il paradosso è che ora gli ucraini aspettano di sentire le esplosioni: «Distinguono quelle in uscita e quelle in entrata, sperano che i colpi in arrivo si avvicinino, perché significa che anche i nostri sono vicini, e che presto verranno liberati. È il silenzio che li fa precipitare nel terrore».

Letizia Tortello: "Dopo tre mesi riaprono i teatri: 'Dobbiamo tornare a vivere' "

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Letizia Tortello

«Buon pomeriggio signore e signori. È un piacere rivedervi nel nostro teatro. Vi auguriamo un ottimo spettacolo e vi avvertiamo che, nel caso dovessero suonare le sirene, tutti gli spettatori dovranno scendere nel bunker sotterraneo. Slava Ukraini!». La platea dei bambini, al teatro comunale d'Opera e Balletto di Kiev, è così eccitata perché sta per arrivare Pinocchio che il grido si fa più forte: «Slava Ukraini!», gloria all'Ucraina!, ripete il pubblico con una sola voce. Nella capitale i teatri riaprono e fanno il tutto esaurito. La guerra è lontana, a Est, nel martoriato Sud. Ma il boato assordante delle bombe rimbalza sui palchi dello spettacolo che sgomita per riprendersi la scena. Nessuno si stupisce dell'annuncio: i missili potrebbero arrivare da un momento all'altro, come due domeniche fa. Ma la gente di Kiev non ci pensa. Si è vestita elegante per il primo spettacolo dopo tre mesi di chiusura dall'invasione del 24 febbraio e preferisce rimuovere le preoccupazioni. «Ci siamo abituati alla paura», dice Igor, un giovane papà che ha portato la figlia Yulia. Anche i bambini si sono abituati. Ieri, per Kiev, era un giorno di festa. I sorrisi di sollievo, i selfie della rinascita e gli abbracci, la coda fuori dal botteghino. Davanti all'Opera nazionale, il più importante teatro del Paese, poco prima delle due del pomeriggio sfilavano coppie elegantissime, donne col cappello e il vestito da sera, giovani e anziani distinti, sotto un sole rassicurante. Perché si torna a respirare cultura. Ricompaiono anche i turisti, spariti dall'inizio del conflitto. «Dobbiamo vivere, questa è anche una battaglia della speranza che vinceremo», spiega Tamara Gorinuk, prima che cominci la rappresentazione: "Zaporozhian oltre il Danubio", un'opera lirica di cosacchi di fine ‘800, del compositore ucraino Semen Gulak-Artemovskij. C'è chi non si rivede da mesi, quasi ogni spettatore immortala l'ingresso gremito col cellulare. I biglietti costano 400 grivnie, 13 euro. L'attrazione principale dell'attesa sono i bagarini dei francobolli dell'isola dei Serpenti, uno dei tanti simboli con cui gli ucraini hanno esorcizzato la guerra, rivendicando la propria gloriosa resistenza. «Abbiamo ricominciato il 21 maggio - spiegano all'Opera nazionale - ma non possiamo ancora vendere più di 300 biglietti, perché questa è la capienza massima del rifugio in caso di bombardamenti». In platea non c'è un posto libero, i palchi devono restare vuoti. Così impone la guerra. Che si impossessa di tutto, anche di artisti e cartelloni. Lo spiega bene Petro Kachanov, direttore del teatro comunale, che all'eccitazione per rivedere le persone in sala aggiunge rabbia e stanchezza per uno dei momenti più difficili della sua vita: «Abbiamo riaperto sabato – dice –. Avremmo dovuto mettere in scena Romeo e Giulietta, ma ci manca Giulietta, perché è dovuta scappare con la famiglia». Tre dei suoi orchestrali sono al fronte in Donbass, più altri tre uomini tra assistenti di sala e coristi. Mancano all'appello anche molti ballerini. E poi c'è lui, Andrii Goniukov, cantante lirico, celebre basso, che la Scala ha ingaggiato per la parte di Varlaam nel Boris Godunov che aprirà la stagione, il prossimo 10 dicembre, regia di Riccardo Chailly. Ma l'invito di Milano all'artista ucraino per l'opera del russo Musorgskij fa infuriare Kiev: «La guerra alla Russia non è solo militare, si combatte su tanti fronti - dice Kachanov indignato -. Ci sono le sanzioni economiche, mi stupisco di come il più importante teatro lirico italiano non si schieri dalla nostra parte con un embargo culturale. Pensino ai nostri morti». Goniukov potrà senz'altro andare in scena a Milano, ma l'Opera e Balletto di Kiev l'ha avvertito che con loro non lavorerà più. «E lui ha rifiutato».

Si spengono le luci. I bimbi sospendono il respiro in un silenzio magico: sul palco arriva Mangiafuoco, con le sue canaglie che scendono dalla platea, invadendola di rumore. «Non potete capire cosa significhi per mia figlia essere qui», spiega Victoria, mamma di Jasmine. «Lei non sa tante cose, ma ha vissuto mesi di terrore che l'hanno segnata - aggiunge -. Non avevamo un bunker dove andare, quelli delle scuole erano pieni. Abbiamo dormito nella vasca da bagno, come consigliava la tv. Poi abbiamo deciso che era inutile. Ogni sera diciamo una preghiera e ci addormentiamo pensando che se Dio esiste, allora non possono vincere i russi». Abitano al tredicesimo piano di un quartiere colpito dai missili di Mosca. Che almeno per ora sono lontani. Mentre Jasmine, col vestito arcobaleno scelto apposta per il ritorno a teatro, a tre anni nemmeno sa pronunciare la parola guerra, ma l'ha vista con i suoi occhi.

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