La situazione attuale del Medio Oriente
Analisi di Antonio Donno
Kenneth M. Pollack
Nell’ultimo fascicolo di “Foreign Affairs” (maggio-giugno 2022), l’autorevolissima rivista del Council on Foreign Relations, è apparso un interessante articolo di Kenneth M. Pollack sull’attuale situazione del Medio Oriente (The Middle East Abhors a Vacuum: America’s Exit and the Coming Contest for Military Supremacy). Dopo la guerra arabo-israeliana del 1973, l’ultima delle quattro guerre vinte da Israele contro gli arabi (1948, 1956, 1967, 1973, la quinta è quella del 1982), questi ultimi hanno ritenuto che fosse impossibile sconfiggere e distruggere Israele e, per questo motivo, si sono affidati al terrorismo, “la strategia dei deboli”, scrive Pollack. In questo contesto del tutto sfavorevole al mondo arabo, i fatti hanno dimostrato che soltanto gli Stati Uniti e Israele sono in grado di usare la forza militare tradizionale contro i nemici esterni.
Tuttavia, le nuove tecnologie applicate alle armi sono oggi a disposizione di tutti, se si hanno le disponibilità economiche sufficienti a questo adeguamento. La cyberwar e l’uso dei droni hanno cambiato le carte in tavola, ma i fatti più recenti stanno a dimostrare che la disparità anche in questo tipo di armamenti continua a sussistere. Per più di 75 anni, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, il Medio Oriente è stato il principale laboratorio per la messa in campo di nuove armi da parte degli Stati Uniti, dell’Unione Sovietica (oggi Russia), e in modesta misura della Turchia, dal momento che quest’ultima dimostra debolezza nel suo pluridecennale contrasto nei confronti dei curdi. In realtà, secondo Pollack, con l’uscita degli Stati Uniti dallo scacchiere mediorientale, le due forze che si contrappongono sono l’Iran e Israele: il primo ha il sostegno di vari gruppi terroristici presenti nella regione; il secondo ha raggiunto una condizione di stabilità con alcuni Paesi arabi grazie alla firma degli Accordi di Abramo, con i quali gli Stati arabi firmatari (Bahrain, Marocco, Sudan e gli Emirati Arabi Uniti, in attesa che si aggiunga l’Arabia Saudita) si sono premuniti di fronte al pericolo dell’Iran sciita.
La situazione della regione, per quanto apparentemente tranquilla, potrebbe avere una svolta importante una volta conclusi i negoziati di Vienna tra Iran e gli Stati Uniti (più altri Paesi). Questo è un punto saliente che Pollack non prende in considerazione. Infatti, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha documentato che l’Iran ha raggiunto notevoli traguardi nel suo programma nucleare, approfittando del fatto che Trump aveva incautamente annullato gli accordi del 2015 (in realtà, durante gli anni in cui vigevano tali accordi, Teheran aveva continuato, comunque, a sviluppare il suo progetto, violando palesemente gli impegni presi).
Il ritiro degli Stati Uniti dallo scacchiere mediorientale, iniziato da Obama e proseguito da Trump, ha posto Biden in una situazione di incertezza su come relazionare Washington ai problemi del Medio Oriente. Pollack elude il problema fondamentale che gli Accordi di Abramo potrebbero non essere sufficienti a contrastare il pericolo iraniano nella scena mediorientale. Teheran non cederà mai sul problema del nucleare e non firmerà mai un accordo sul controllo del suo programma nucleare. O, se lo firmerà, si tratterà di un dispositivo privo di effettiva valenza sul piano della capacità di attuare un vero controllo internazionale. Insomma, il Medio Oriente godrà di una sostanziale stabilità soltanto quando l’Iran accetterà di fatto di bloccare e annullare il proprio programma nucleare, cosa assolutamente fuori da ogni prospettiva politica.
Se gli Stati Uniti non riprenderanno il loro posto nell’arena del Medio Oriente, come garante di un effettivo equilibrio tra le forze in campo, saranno l’Iran e Israele le potenze regionali che verranno a confliggere nei prossimi anni. A questo punto, un rientro americano nella regione potrebbe rivelarsi tardivo, a tutto vantaggio del duo cino-russo, che da tempo, con diverse strategie, tende a porre le basi per una reale egemonia politico-economica nella regione. L’uscita dalla scena del Medio Oriente da parte degli Stati Uniti rappresenta il fattore di reale gravità negli equilibri regionali, né i negoziati di Vienna saranno in grado di modificare una situazione che vede nell’Iran un potenziale pericolo per Israele.