Scene di ordinaria barbarie
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
Stasera delle immagini insopportabili giravano in loop sui canali TV in Israele. Erano state registrate il giorno prima, al calare della notte, da cittadini terrorizzati, che riprendevano dalla loro finestra quello che stava succedendo sotto, nella loro strada solitamente così tranquilla. Qualche istante prima era apparsa un'auto. Non aveva niente di speciale. Era una macchina normale. Dentro, c’erano tre uomini. Tutti civili a quanto pare. Nessuno è in uniforme. Eppure, l'auto, che viaggia tranquillamente, viene improvvisamente bloccata da una dozzina di individui sovraeccitati, alcuni di loro portano pesanti pietre. Non c'era stata nessuna provocazione, nessun gesto. Comunque, vengono alzati i finestrini. Viene lanciata la prima pietra, che è subito seguita da un’altra, mentre gli aggressori martellano la lamiera con i pugni, o sferrano calci alle ruote. La scena dura per infiniti minuti. I residenti degli edifici vicini hanno chiamato la polizia, ma gli agenti tardano ad arrivare. Sul veicolo i colpi raddoppiano. Le portiere reggono, ma all'improvviso uno dei finestrini cede all'assalto. È quello del guidatore. Decine di mani lo strappano dal sedile, lo tirano fuori dall'auto. Viene picchiato selvaggiamente, gettato a terra. Gli assalitori continuano ad accanirsi su di lui mentre cerca di proteggersi come meglio può da un branco che sembra assetato di sangue. E’ stato solo allora che uno dei suoi compagni ancora in macchina ha tirato fuori una pistola e ha sparato in aria. Gli aggressori abbandonano la preda e si danno alla fuga.
Ti chiedi, ma perché non ha sparato prima? Non è così semplice. Il fatto è che è successo a Gerusalemme, in uno dei quartieri settentrionali della città occidentale. Un quartiere borghese, palazzi signorili, in cui vivono degli ebrei israeliani. Gli aggressori, loro, provenivano dal vicino quartiere arabo di Īsawīya, appena dietro l'ospedale Hadassah sul monte Scopus. I passeggeri del veicolo sono tutti ebrei. Due di loro sono armati. Solo che loro sanno fin troppo bene che saranno incriminati per l'uso di un'arma contro dei “palestinesi” che “non sono armati” – non hanno né pistole né coltelli. Dovranno spiegarsi, giustificarsi. Peggio ancora, se per caso un aggressore viene ferito, anche solo da un proiettile di rimbalzo, l'arma del tiratore verrà sequestrata sul posto e lui dovrà “rispondere delle sue azioni” davanti alla giustizia israeliana. Il caso sarà subito ripreso dalla stampa internazionale, fomentata dai portavoce dell'Autorità palestinese che parleranno di “esecuzioni extragiudiziali” da parte di “coloni” e chiederanno condanne e sanzioni; l'avvocato della vittima evocherà eloquentemente un buon padre di famiglia senza precedenti che si è trovato lì per puro caso mentre stava tranquillamente tornando a casa.
Questo spiega cosa è successo ieri a Gerusalemme. E’ solo in ultima istanza, trovandosi lui stesso in pericolo e vedendo il suo compagno a terra, insanguinato sotto la minaccia di una pietra un po’ più grande, o di un calcio in testa, che uno dei passeggeri ha sparato. Non si devono commettere errori al riguardo. Sfortunatamente, questo non è stato il primo tentativo di linciaggio. Non è stata la prima manifestazione di ordinaria barbarie. Ce ne sono state delle altre. Senza provocazione. Gli aggressori non conoscevano chi stavano attaccando. Di una sola cosa erano certi, che quelli erano degli ebrei.