'Il mio Maksym rapito dai russi il mondo mi aiuti a ritrovarlo' Cronaca di Letizia Tortello
Testata: La Stampa Data: 08 giugno 2022 Pagina: 7 Autore: Letizia Tortello Titolo: «'Il mio Maksym rapito dai russi il mondo mi aiuti a ritrovarlo'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/06/2022, a pag.7, con il titolo 'Il mio Maksym rapito dai russi il mondo mi aiuti a ritrovarlo' la cronaca di Letizia Tortello.
Letizia Tortello
Quando hanno sentito gli spari, mentre fuggivano da Mariupol, Mykola ha iniziato a urlare con tutte le sue forze: «Giù i bambini, tienili giù!». La macchina ha inchiodato. Poi, il silenzio. Lyudmila ha riaperto gli occhi e rialzato la testa dal sedile. Il più piccolo dei nipoti, Maksym, era coperto di sangue e rantolava, sulle sue ginocchia. Gli altri, non rispondevano più. «Mio marito aveva sette colpi nella schiena, mia figlia mezza faccia sfigurata e qualcosa conficcato nella spalla». Suo genero, al volante, la guancia trafitta da un proiettile, ma parlava ancora: «Chi è vivo?», chiedeva. Era il 19 marzo. Da quel momento, del bimbo di tre anni, ferito e portato nell'ospedale numero 1 della città martire, non si sa più nulla: «I feriti dove era lui li hanno evacuati i russi. Ridatemelo, ridatelo alla sua famiglia, è tutto quel che mi rimane», implora Lyudmila, con gli occhi gonfi di lacrime. La signora è uno dei parenti dei 160 bambini scomparsi che la Ong Magnolia di Kiev sta cercando. Ricevono cento chiamate al giorno, di genitori disperati. Un call center di quindici persone le raccoglie e inizia a verificarle, informa la polizia e un team di giornalisti e specialisti, lancia appelli sulla tv e sui social network. Come quello per «Vasichkin Maksym Nikolaevich», che nella foto scelta per chiedere aiuto al mondo ha la camicia bianca elegante e il papillon della Comunione del fratello. Secondo il presidente Zelensky, i bimbi ucraini rapiti dall'esercito russo e portati oltre confine sono 200 mila. L'Ong, attiva da oltre vent'anni e ospitata in un grande palazzo vicino al centro di una capitale affamata di normalità, che ha riaperto negozi, uffici e ristoranti, e diradato i check point, è uno degli enti che accoglie e supporta le famiglie dei piccoli spariti, soprattutto quelle fuggite dai territori occupati. Lyudmila Cherniavska, da Mariupol si è rifugiata a Chop, in Trascarpazia, al confine con l'Ungheria. Ci racconta l'orrore vissuto mentre provava a scappare. «Quando è iniziata la guerra, ci siamo nascosti in un rifugio costruito durante l'era sovietica. Era vecchio, aveva due stanze e un bagno, tutto sommato era in buono stato e sembrava abbastanza sicuro», spiega. Fino a che un missile non è caduto nel cortile del loro palazzo, «i nostri appartamenti hanno iniziato a bruciare, mentre strada per strada si combatteva. Mykola, mio genero, e mio marito Sergei, hanno preparato la macchina e abbiamo deciso di scappare». Sul parabrezza avevano un cartello con la scritta «bambini». Non hanno fatto in tempo a superare il primo incrocio che la loro auto è stata presa di mira: «Sei botti come petardi tutto attorno. Non so quanto sono rimasta chiusa dentro l'auto a chiedere aiuto», dice la donna, 45 anni, ex dipendente di una ditta che faceva le pulizie dentro l'acciaieria Azovstal. Allo choc della sparatoria e di essere rimasta sola e di dover badare agli altri due nipoti, aggiunge il dolore insopportabile per non sapere che fine ha fatto Maksym. Dopo un po', sono arrivati dei militari ucraini, che hanno prelevato i corpi di Alyona, sua figlia, del genero e del marito, oltre che del piccolo di tre anni. «Mi hanno spiegato che Mykola era ferito alla gamba e al collo, e non ce l'aveva fatta. Anche Ali e Sergei erano morti. Ma io non ci credo! Avevano perso coscienza, quello sì. Finché non vedo i loro cadaveri non ci credo». Non si rassegna, Lyudmila. Sente ancora quegli spari, i missili, i boati che circondavano Mariupol, sempre più forti, mentre lei si trovava con i nipoti (Artem e Anastasiia, di 7 e 5 anni) nel bunker segnalato dai soldati. «Una notte, verso mezzanotte, ci hanno fatto scappare verso il mare, perché quel luogo stava diventando insicuro. Da quel momento mi sono allontanata da Mariupol e non ho più tracce di nessuno. Ma Maksym penso sia vivo, i militari mi avevano detto che rispondeva alle cure, finché l'ospedale era ancora nostro. Da quando l'hanno preso i russi, non so più nulla». In questi mesi di buio, ha cercato ogni appiglio per non perdere le forze e la speranza. «Ho mostrato la sua foto a Tcnj tv e a Hth tv». Poi, l'appello lanciato da Magnolia. E ancora quella mail che ha riacceso la fiamma: «Ho scritto ai filorussi della Repubblica popolare di Donetsk. Dovevano dirmi qualcosa dei miei parenti». Dopo mesi, le hanno risposto: «Buongiorno. Vogliamo informarvi che Vasychkin Mykola Petrovych è vivo e ha ricevuto l'aiuto umanitario nella città Mariupol il 06.05.2022. Le altre persone richieste, non ci risultano nell'elenco degli evacuati, né in quello degli aiuti». Chi le ha mentito? Il soldato ucraino che le ha detto che il genero era morto, o i separatisti, che le comunicano che è sopravvissuto? Di Maksym, neanche l'ombra, e questo è il dolore che le strappa il cuore. «Spero sia in vita – dice -. Se è stato portato dall'altra parte, spero che lo curino e gli diano da mangiare. Lo devono rimandare a casa». Descrive un bimbo socievole, che si divertiva a giocare con le macchinine e guardava sempre due cartoni animati, «Malysharyky» e «I leprotti del sole». Non aveva nemmeno iniziato l'asilo, perché aveva dovuto combattere con una brutta infezione alla gamba destra, che gli aveva lasciato delle ferite. «Io non so pensare a domani, finché non ritrovo mio nipote», dice Lyudmila, con un soffio di voce. Prega perché la guerra finisca. «Prendano me, pago qualunque cifra per riavere Maksym».
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