Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/06/2022, a pag. 8, con il titolo "Il braccio destro di Navalny: 'Le sanzioni funzionano' ", l'intervista di Federico Fubini.
Federico Fubini
Vladimir Milov
Vladimir Milov, 49 anni, ha lasciato il suo posto di viceministro dell’Energia nel 2002 quando capì che Vladimir Putin avrebbe sabotato ogni riforma e ha lasciato la Russia l’anno scorso dopo l’arresto di Aleksej Navalny. «Se non l’avessi fatto sarei in carcere anch’io», dice, che di Navalny è consigliere sull’economia e gli affari internazionali. Milov, le sanzioni stanno funzionando? «Più di quanto sembri. Stanno degradando il tenore di vita e il futuro dell’industria in Russia. Basta vedere sui motori di ricerca russi le ricerche su voci come “parti di ricambio”. Manca capacità di server per le infrastrutture digitali, mancano sementi. Le sanzioni stanno fondamentalmente trasformando l’economia russa».
Intanto però il rublo si è rivalutato. «Anche perché c’è un incredibile restringersi delle importazioni, più che dimezzate da Italia e Germania. L’industria russa dei beni di consumo, anche alimentari, ha una dipendenza di fondo dai beni importati. E sui chip ce l’ha da Taiwan, che ha bloccato le vendite. Siamo fra Scilla e Cariddi: da una parte le sanzioni, dall’altra le aziende estere che disdettano contratti nelle tecnolo-gie, nelle assicurazioni, nella logistica».
Dunque il tempo gioca contro Putin? «Gli effetti di questo isolamento sono difficili da misurare. Ma di fatto la Russia non ha più un’industria dell’auto e la gente nota il degrado della qualità del cibo, per esempio. Il tenore di vita sta andando giù, alla lunga gli effetti si sentono».
La gente si rivolterà contro il regime? «Inevitabilmente, ma non sarà una transizione lineare e immediata. Il degrado dell’economia proseguirà, anche per la perdita di accesso delle imprese e delle banche al mercato dei capitali occidentali. Siamo tagliati fuori da questa fondamentale fonte di sviluppo e in fondo proprio la crescita dei primi anni Duemila era un pilastro della popolarità di Putin. Lui in qualche modo deve tenere conto dell’opinione pubblica, non può riportare il Paese al totalitarismo. Per esempio, non ha osato dichiarare la mobilitazione generale: aveva paura delle reazione della gente».
Mosca può affidarsi alle potenze asiatiche? «Il mercato dei capitali cinese è tre volte più piccolo di quello europeo, quattro volte più piccolo di quello americano. E non è fatto per finanziare imprese all’estero. Non voglio offendere nessuno, ma i Paesi asiatici producono beni da vendere in Occidente. Più di metà del prodotto lordo del mondo è nel mondo libero, lì è l’innovazione».
La Cina cercherà di sostenere Putin? «La cooperazione fra i due Paesi non sta funzionando. Già dopo la guerra del 2014 furono annunciati piani comuni su energia o infrastrutture, ma è partito appena il 20% dei progetti e sono tutti abbastanza primitivi».
Però il gas e il petrolio potranno essere venduti in Cina. «I cinesi sono pragmatici. Vedono che siamo nei guai e stanno comprando petrolio russo imponendo sconti persino superiori a quelli a cui si vende in Europa. Comprano il gas russo a prezzi del 30% inferiori a quelli che riconoscono al Turkmenistan. Dettano le condizioni. E per ridirigere davvero l’export di idrocarburi a Oriente servirebbero investimenti per centinaia di miliardi».
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