Scene di vita isareliana Angelica Calò Livnè ci racconta una serata in Israele
Testata: Tempi Data: 17 gennaio 2003 Pagina: 4 Autore: Angelica Calò Livnè Titolo: «Storie (israeliane) di ordinaria follia»
Ripoertiamo un articolo di Angelica Calò Livnè pubblicato su Tempi il 17 gennaio 2003. Decidiamo di rilassarci un po’… si potrebbe andare al cinema. Noi due soli. Optiamo per Tom Cruise. Osservo compiaciuta che il centro commerciale pullula di gente, arabi ed ebrei: siedono insieme, tavolo accanto a tavolo, nel Burger Ranch; comprano nei negozi; se ogni tanto non vedessi delle donne con il tradizionale copricapo, non saprei distinguere tra ebrei e arabi. Manca una mezz’ora all’inizio del film: decidiamo di godercela fino in fondo, entriamo in un piccolo ristorante, ci sediamo. Proprio accanto al nostro tavolo siede un giovane. Sembra molto turbato; si gira, si alza, si risiede, estrae un cellulare, parla in arabo, si guarda intorno. Il panico. I pensieri nella testa si danno a un galoppo furioso ed irrefrenabile. Proprio nel villaggio da dove si libra ora la voce del Muezzin, è stato organizzato l’ultimo attentato all’autobus di Meron, a 9 chilometri da Sasa. L’attentato che ha lasciato Israele esterrefatta perché organizzato, probabilmente, con l’aiuto di arabi israeliani. Ci alziamo e cambiamo tavolo. Io continuo ad osservare i movimenti del giovane che diventano sempre più nervosi poi, con uno scatto improvviso, si alza ed esce dopo aver aperto e chiuso il cellulare una ventina di volte lasciando tutto ciò che aveva ordinato sul tavolo. Entriamo al cinema, è già buio: fila 11, sedie 8 e 9; ci sediamo e sento che mi scende tutto il sangue dalle guance… chi c’è seduto alla sedia 7? Sento venirmi su un leggero senso di nausea: il giovane è là, più elettrico che mai. Ha in mano il cellulare, un enorme involucro di pop corn, una fanta e una coca cola. Mangia e beve tutto nervosamente e a scatti e contemporaneamente parla al cellulare sussurrando parole incomprensibili. Chiedo a Yehuda sottovoce se sarebbe possibile mettere una bomba in un cellulare. Lui sorride. Non riesco a capire nulla del film, il giovane è molto ma molto più interessante: le spalle rialzate, i modi nervosissimi, isterici, ancora più isterici che al ristorante, volge il capo a destra, si rigira a sinistra, guarda in alto, si volge all’indietro, ride senza motivo, sembra che si concentri su qualcosa, prende il cellulare e pigia tutti i numeri, poi lo richiude. All’improvviso il giovane si alza: si guarda tutt’intorno e esce. I miei nervi sono allo spasimo, mi alzo e lo seguo, due signori dietro di me si alzano anche loro, le due signore dall’altra parte anche, è il subbuglio. Due ragazzetti vicino a me gridano «Buum», poi ridendo mi dicono: «Ha ragione, è meglio stare accorti». Chiamo il responsabile della sicurezza, gli racconto tutto, lui mi guarda calmo e dice: «Non si preoccupi signora, è tutto sotto controllo!». Mi rassereno un po’ perché vedo che il tizio non torna e spero che se ne sia andato ma, appena mi siedo rientra con un altro scatolone di pop corn, una lattina di sidro e due di coca cola, gli occhi spiritati, le pupille dilatate e le spalle sempre più vicine alle orecchie. Con uno scatto improvviso si rialza, lascia tutto là e esce di corsa. Io gli corro dietro, due signore corrono anche loro, i due di dietro controllano lo scatolone dei pop corn. Quando esco dalla sala lo vedo lasciare il cinema, la signorina dei pop corn mi viene incontro: «Che c’è signora?». Parlo concitatamente: «Quel tizio che è appena uscito...». La signorina mi sorride: «Oh sì, è un tipo strano, viene tutte le sere, si compra una sacco di cose, lascia tutto e poi esce a metà». La luce si accende, il primo tempo è finito, io ho lo sguardo perso nel vuoto, Yehuda mi stringe la mano e mi sorride più serafico e più dolce che mai. È difficile rilassarsi da queste parti!