Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/06/2022, a pag. 6, con il titolo 'Io, regista soldato lotto e scrivo un film sul fronte del Donbass', l'intervista di Fabio Tonacci.
Fabio Tonacci
Oleg Sentsov
Da tre mesi Oleg Sentsov va alla guerra con un fucile e con un taccuino. Uno dei due attrezzi non l’ha ancora usato. «Mai sparato un colpo. Non è un conflitto di scontri a fuoco, questo. Si combatte con l’artiglieria. Però scrivo. Scrivo tanto, in trincea, di notte, scrivo sotto le bombe, appunti, schizzi di memoria, mi vengono un sacco di idee per il mio prossimo film...». A 46 anni il regista, sceneggiatore, attivista, detenuto politico (nella peggiore prigione russa), caso internazionale, premio Sakharov per la libertà di pensiero, Oleg Sentsov, ha già vissuto parecchie vite. Tutte complicate. Compresa quella attuale: soldato volontario sul fronte più pericoloso. Lo incontriamo poco fuori Sloviansk, la città deserta sotto minaccia dell’armata russa. Diluvia. Per tutta la durata dell’intervista, l’ululato dell’allarme antiaereo lo costringe a parlare a voce alta. Cosa ci fa un personaggio noto come lei al fronte? «Quando il 24 febbraio un razzo si è schiantato vicino a casa mia alle 4.30 del mattino, non ho avuto dubbi: ho preso la famiglia, l’ho portata a Leopoli e lo stesso giorno sono tornato a Kiev per arruolarmi nella Difesa territoriale. Per due settimane sono stato a Horenka e Moshuchn, dove sono morti il giornalista americano e un regista».
Aveva esperienze militari? «Sapevo usare le armi, sono uno sportivo e so vivere nei boschi. Questo aiuta molto. Inoltre due anni dopo il mio rilascio dal carcere (avvenuto nel 2019 dopo una mobilitazione internazionale e uno scambio di prigionieri) ho preso parte ufficiosamente all’operazione ucraina nel Donbass. Ho vissuto in prima linea per vedere cosa fosse la guerra. Saper sparare non è abbastanza, devi essere in grado di sopravvivere. Sono qui da un mese, in un’unità da combattimento, e collaboro con le Forze operative speciali. Le nostre basi sono a Sloviansk e a Kramatorsk. Siamo impegnati su tutta la linea del fronte, da Lyman a Lysychansk».
Lei è nato in Crimea. Dopo l’annessione russa del 2014 è stato arrestato con l’accusa falsa di essere un terrorista. È stato in carcere per cinque anni e due se li è fatti nella famigerata colonia penale di Labytnangi, la più a nord della Federazione russa...non ha paura di essere catturato di nuovo? «Spero che la storia non si ripeta... Ma se mi catturano e mi identificano, a questo giro mi uccidono. Sono il loro nemico pubblico, non mi faranno di nuovo prigioniero». In prigione ci sono gli evacuati dell’Azovstal. Come pensa che finirà quella storia? «Non ci si può fidare né della Russia né di Putin, però c’è un accordo con Kiev. Ho un amico lì tra loro, e ha detto che sono stati trattati bene. Temo però che non li scambieranno con dei prigionieri russi. Il battaglione Azov è il loro spauracchio. Mosca li accusa di nazismo, anche se tutti sanno chesono un’unità militare d’élite e si sono sbarazzati di elementi marginali. Faranno un processo farsa a Donetsk, condannandoli a morte. Dopodiché ricatteranno l’Ucraina. In perfetto stile Putin, che è lo stile dell’Fsb, i servizi segreti».
A Kherson e Melitopol ci sono forme di resistenza civile . «Mi fanno felice. Sono regioni da sempre definite filorusse e invece scopriamo che non lo sono. La gente esce e mette le bandiere sui carri armati, incollano volantini. Si organizzano per colpire gli occupanti. Niente di tutto questo c’era nella mia Crimea, nel 2014».
Al festival di Cannes il regista dissidente russo Kirill Serebrennikov ha dichiarato di opporsi al boicottaggio della cultura russa. In effetti, non è che la guerra l’ha scatenata Dostoevskij... «Tutti i russi sono responsabili per la guerra: chi è venuto a uccidere la nostra gente, chi ce li ha mandati, chi li sostiene, chi è rimasto in silenzio e non ha fatto nulla per impedirlo. Pertanto, qualsiasi messaggio del tipo: “la guerra l’ha voluta Putin ma i russi in realtà sono innocenti” è esattamente ciò che il Cremlino vuole che si pensi. Serebrennikov e Ovsyannikova (la giornalista che ha protestato interrompendo un tg,ndr )sono stati lasciati andare via dalla Russia, e questo significa solo una cosa: vengono usati dall’Fsb per promuovere questa narrazione».
Ripeto: ha davvero senso boicottare la cultura russa? «Dobbiamo proprio cancellarla. Affari, politica, tutto. Fino a quando le truppe non si saranno ritirate, e Putin e i suoi alleati non saranno condannati, e le riparazioni non saranno pagate, l’intera Russia deve vivere nell’embargo totale, dal petrolio ai film».
Il 23 febbraio lei cosa faceva? «Avevano iniziato a proiettare il mio film “Rhino” nei cinema. Di recente è apparso su Netflix. Sto cercando fondi per due film, ci sta lavorando il mio collega mentre io sono qui».
Dove appunta sul taccuino spunti per sceneggiature. «Sto progettando un film sulla guerra. Credo che un regista bravo si debba occupare di temi di cui ha esperienza. Ho molte idee che sto sviluppando, la più importante riguarda l’Azovstal».
Cosa l’attrae? «Anch’io sono stato i prigione e anch’io sono in guerra, mi posso mettere nei loro panni, anche se non sono mai stato nell’acciaieria. Sento di poter fare un film del genere, nel modo più onesto possibile».
Qual è il ricordo peggiore che ha della colonia penale di Labytnangi? «L’etichetta speciale con la striscia rossa che avevo addosso, significava che ero incline a scappare. Ogni due ore venivo controllato. Di notte una guardia mi svegliava di continuo puntandomi la torcia sugli occhi. Ho visto detenuti chiusi in una scatola di acciaio per un giorno intero...».
Il protagonista di “Rhino” alla fine trova una possibilità di redenzione. È possibile una redenzione per chi ha attaccato il vostro Paese? «Per perdonare qualcuno, quel qualcuno deve essere pentito. Non vedo pentimento tra i russi».
Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante