Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/06/2022, a pag. 8 e 11, con il titolo "A Severodonetsk la brigata straniera Kiev: 'Avanti'. Ma Mosca canta vittoria", "Dagli Urali alla Siberia la mappa dei campi per i deportati ucraini" le cronache di Fabio Tonacci.
Ecco gli articoli:
"A Severodonetsk la brigata straniera Kiev: 'Avanti'. Ma Mosca canta vittoria"
Fabio Tonacci
Schiacciata tra due propagande militari, la verità su quanto sta accadendo a Severodonetsk fatica a emergere con chiarezza. Mosca sostiene di aver preso il controllo completo dell’ultima grande città della regione di Lugansk ancora non occupata. Kiev, attraverso il governatore di Lugansk Sergiy Gaidai, ribatte che no, non è così, e anzi l’esercito ucraino è riuscito a recuperare il 20 per cento del territorio urbano. Dunque? I soldati che incontriamo a Bakhmut, di ritorno dal fronte, ammettono che la situazione è complicata ma non irreparabile. Sulla mappa scaricata sul telefonino disegnano tre frecce, una verso il centro della città, le altre due verso il sobborgo di Lisna Dacha e il quartiere Metolikine, dove starebbero conducendo una controffensiva, aiutati dai volontari internazionali di una legione straniera. Tra i combattenti ci sono georgiani, polacchi e australiani. In alcuni tratti dell’ «autostrada della morte», come chiamano i 67 km di asfalto verso Severodonetsk, i militari russi sono ad appena 3 chilometri di distanza. A Bakhmut, però, si raccoglie anche l’impazienza per le armi occidentali che arrivano e non arrivano: a oggi hanno a disposizione quattro cannoni M777 da 155 millimetri donati dalla Gran Bretagna, ma gliene servirebbero almeno il triplo. Dei missili a lungo raggio statunitensi neanche l’ombra. «Non appena avremoottenuto una gran quantità di quel tipo di armamento, faremo retrocedere l’artiglieria russa e la fanteria fuggirà», ritiene il governatore di Lugansk. Il presidente russo Vladimir Putin ostenta sicurezza. «La Russia non teme l’invio di nuove armi americane perché le schiaccia come noci. I nostri sistemi antiaerei le stanno schiacciando come noci », ha detto in un’intervista a Rossiya 1 .«Ne hanno distrutte a decine ». E il generale Mizintsev ribadisce che le truppe ucraine schierate sulla linea di Severodonetsk hanno perso il 90 per cento degli uomini e si starebbero ritirando verso Lysychansk. A confondere di più un quadro già confuso è la storia della fabbrica chimica Azot,nei cui bunker dovrebbero esserci 800 persone, compresi bambini, e dove la Russia denuncia che sarebbero stati minati depositi di acido nitrico per ritardare l’avanzata. Nell’altra regione del Donbass, Donetsk, si prepara già il prossimo fronte. Le forze di Mosca stanno rafforzando le posizioni attorno a Sloviansk e in vista di una nuova operazione, dopo alcuni attacchi senza successo (Kiev rivendica di aver distrutto quasi del tutto la 35esima armata russa a Izyum), stanno schierando 20 gruppi tattici nella zona. Dalla città, riferisce il sindaco Vadym Lyakh, fuggono centinaia di persone ogni giorno. Un numero raddoppiato questa settimana.
"Dagli Urali alla Siberia la mappa dei campi per i deportati ucraini"
Joseph Stalin prendeva i popoli e li spostava con un dito sulla cartina della sterminata Unione Sovietica. Ogni centimetro equivaleva a migliaia di chilometri e milioni di vite stravolte. Intere etnie sono state deportate a metà del secolo scorso con l’unico scopo di annichilire ogni forma di dissenso interno. Quasi cento anni dopo, ci risiamo. Il presidente Vladimir Putin sta trasferendo con la forza migliaia di famiglie dalle zone occupate ucraine agli angoli più remoti e depressi della Russia, spacciando per accoglienza ciò che invece è un piano di diaspora coatta. In questo esatto momento, ci sono migliaia di abitanti di Mariupol in Siberia, cittadini di Kherson in Kamchatka, gruppi del Donbass a Murmansk nella più grande città a nord del Circolo Polare Artico. Hanno sparpagliato gli evacuati dell’Ucraina lungo gli undici fusi orari della Federazione. I più sfortunati, a 8 mila chilometri di distanza da casa.
Il Sistema
Su una cosa, finora, Kiev e Mosca si sono trovate d’accordo: sul numero degli sfollati che hanno attraversato, volenti o nolenti, il confine russo. Sono 1,1 milioni per entrambi i governi, tra cui 200 mila minorenni. Solo che Zelensky li definisce «vittime di un rapimento di massa», per Putin sono «beneficiari di un’operazione di solidarietà». Le testimonianze cheRepubblica ha raccolto tra chi è stato costretto a partire e chi ce l’ha fatta a tornare identificano un Sistema, che inizia coi campi di filtrazione, passa per lunghi trasferimenti su treni che non fanno fermate, e si conclude nei Tap, Temporary accomodation point .Che di temporaneo, come vedremo, non hanno niente.
I campi di filtrazione
Nella regione di Donetsk ci sono nove campi di filtrazione dedicati al distretto martire di Mariupol: a Donetsk, Nikolske, Novoazovsk, Bugas, Dokuchaevsk, Bezimenne. È il perno del Sistema messo in piedi dall’esercito russo, con la collaborazione degli agenti dell’Fsb e dei separatisti delle autoproclamate Repubbliche popolari. Lì dentro perquisiscono, interrogano, denudano, selezionano: dividono gli ucraini in “affidabili” e “sospetti”. Gli affidabili possono restare oppure, seguendo criteri privi di logica, vengono spediti in Russia con l’unica certezza di un foglio di carta su cui è indicata una destinazione falsa: è quasi sempre Rostov sul Don, ma poi il treno va oltre. I sospetti, invece, possono finire nelle colonie penali, come la famigerata N°52 di Olenivka. Anna Zaitseva, 25 anni, dopo due mesi nei cunicoli dell’Azovstal hadovuto affrontare Nikolske. «Ci hanno preso le impronte delle dita e dell’intera mano destra, una soldatessa mi ha fatto spogliare e mi ha controllato le parti intime, usando lo stesso paio di guanti che ha usatoper tutte le altre donne. Mi ha guardato nei capelli, per vedere se nascondevo qualcosa. Poi mi è stato preso il telefono e copiato tutto il contenuto, foto e contatti compresi », ricorda. «Tre uomini mi hannointerrogato, volevano sapere di mio marito, se aveva tatuaggi e di che tipo. Gli ho risposto che facevamo l’amore al buio quindi non potevo saperlo ». Solo grazie alla presenza in quella tenda di un rappresentantedella Croce Rossa, Anna ha passato l’esame di affidabilità ed è stata evacuata a Zaporizhzhia. Una sorte accettabile ma che capita a pochi.
Dieci giorni in treno
Ieri questo giornale ha pubblicato la storia di Aleksij P., un 35enne di Mariupol che a fine marzo dopo un pestaggio ha accettato di essere trasferito a Rostov. Nonostante le garanzie, l’hanno messo su un treno insieme a 800 ucraini e lo hanno condotto molto più lontano, in un vecchio orfanotrofio a Morshansk, nella regione di Tanganrog. Dopo cinque giorni di “trattamento” e interrogatori, agli uomini è stato ordinato di arruolarsi nell’esercito russo, alle donne di lavorare a Morshansk come lavapiatti e pulitrici. Aleksij è fuggito da quell’incubo a piedi, camminando per più di 400 chilometri verso Mosca. Alla sua famiglia è andata peggio. «Sono stati deportati a Khabarovsk, in Siberia, a 30 km dal confine con la Cina. Un posto orrendo e con un reddito infimo. Il treno ha viaggiato per dieci giorni senza fermate, attraversando la Repubblica dell’Altaj. Erano in mille. Ora vivono in unTemporary accomodation point che è una piccola pensione affollata. A centinaia devono dividere tre bagni e tre docce, però possono uscire liberamente». Il fratello di Aleksij è volato in Svizzera grazie alla sua azienda di videogiochi di Zurigo che gli ha comprato un biglietto per San Pietroburgo. Da lì poi ha proseguito per l’Estonia. Esistono anche gruppi di attivisti russi che in segreto aiutano gli ucraini a tornare in Europa, ne ha parlato di recente il Sole 24 Ore .
La nuova “vita”
A Morshank, dunque, gli sfollati li arruolano o li mettono a lavare i piatti per 12 mila rubli al mese (175 euro circa). A Khabarovski sono ancora in attesa di capire a quale lavoro saranno destinati e se riceveranno mai i 10 mila rubli una tantum che le autorità locali hanno promesso. «I miei genitori sono anziani, sono dall’altra parte del mondo, dove volete che vadano?», dice Aleksij. «Mi hanno telefonato per dirmi che non potranno tornare mai più a Mariupol». La rete dei Tap è composta da centinaia di strutture scolastiche chiuse, sanatori vetusti, dormitori, centri di educazione patriottica e in un caso una discarica di armi chimiche in disuso. «Ci usano come cavie per ripopolare aree misere, con natalità bassa e temperature sotto zero», ragiona Petro Andryushchenko, consigliere del sindaco di Mariupol. «Il criterio per cui uno viene mandato in Siberia, un altro al polo nord, e un altro in Cecenia non esiste: è solo rouletterussa».
Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante