Monte del Tempio: che cosa bisogna sapere per capire Analisi di Claudio Vercelli, Vittorio Robiati Bendaud
Testata: Bet Magazine Data: 04 giugno 2022 Pagina: 8 Autore: Claudio Vercelli - Vittorio Robiati Bendaud Titolo: «Temple Mount o la “pietra dello scandalo”. Patriarchi, profeti e califfi: quali i termini di un millenario casus belli? - Tra i crociati e il sultano: gli ebrei tra alterne fortune»
Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, giugno 2022, a pag.8, con il titolo "Temple Mount o la “pietra dello scandalo”. Patriarchi, profeti e califfi: quali i termini di un millenario casus belli?", l'analisi di Claudio Vercelli; a pag. 10, l'analisi "Tra i crociati e il sultano: gli ebrei tra alterne fortune" di Vittorio Robiati Bendaud.
Ecco gli articoli:
Claudio Vercelli: "Temple Mount o la “pietra dello scandalo”. Patriarchi, profeti e califfi: quali i termini di un millenario casus belli?"
Claudio Vercelli
Se non è vero che la storia sia sempre e comunque la voce dell’oggettività è senz’altro plausibile che essa, quando non viene immediatamente piegata alle ragioni dell’ideologia, possa costituire lo strumento attraverso il quale si dà una lettura critica (e quindi costruttiva) alle fonti del passato. Intorno al conflitto israelo-palestinese prima ancora che le mistificazioni e le manipolazioni consapevoli e quindi volute, quel che più pesa è infatti il condizionamento ideologico che lo riveste, oramai da molto tempo, come un involucro inscalfibile. Così nel caso recente degli scontri, peraltro gli ennesimi, rispetto al Monte del Tempio, Har haBáyit. Il fatto che questo luogo condivida la natura di simbolo dei tre monoteismi, sia pure per distinte ragioni, lo elegge a spazio non di conciliazione bensì di conflitto permanente. Soprattutto laddove la più generale contrapposizione tra comunità nazionali assume, per certuni, il significato di guerra religiosa, al pari di un’ordalia. Perché è un simbolo così importante? Qualche indicazione storica, per l’appunto, può risultare utile. Con la denominazione di Monte del Tempio ci si riferisce all’area murata a forma trapezoidale nella zona sud-orientale della Città Vecchia di Gerusalemme. Le cinta murarie che lo circondano risalgono – quanto meno nella parte inferiore – all’epoca del Secondo Tempio ebraico, costruito alla fine del I secolo a.e.v. Queste enormi strutture di sostegno, in parte interrate, furono erette attorno alla sommità del colle orientale identificato come Monte Moriah, il sito tradizionalmente considerato come il luogo in cui Abramo offrì suo figlio Isacco in sacrificio nonché sede dei due templi ebraici. Gli spazi vuoti tra le mura e il monte furono quindi riempiti per creare un’ampia superficie attorno al Tempio. Evitiamo ai lettori la minuziosa ricostruzione storica dei molti fatti che ruotano intorno ad esso. Va tuttavia ricordato che durante i giganteschi lavori voluti da Erode il Grande, avviatisi intorno al 20 a.e.v. e quindi proseguiti per lungo tempo, l’orografia originaria del Monte del Tempio fu cancellata e venne realizzata quell’ampia area che sarebbe stata conosciuta successivamente come spianata delle moschee. All’interno dell’area del Monte del Tempio trovano sede a tutt’oggi un centinaio di diverse strutture edificate in distinti periodi storici. Con la conquista musulmana di Gerusalemme venne costruita la Cupola della Roccia (Moschea di Omar). In tutta plausibilità la scelta della dinastia degli Omayyadi si inseriva nell’obiettivo di indebolire l’economia della Mecca, sottraendovi pellegrini da indirizzare verso il nuovo centro religioso. Da quel momento in poi, il Monte del Tempio divenne comunque un luogo sacro anche per i musulmani. Aspetto consolidato successivamente dalla costruzione della moschea al-Aqsa («la più lontana»). Il luogo è identificato come l’ultimo santuario (Masjid al-Aqsa) dal quale il profeta Maometto, accompagnato dall’angelo Gabriele, compì il viaggio notturno al trono divino. L’accesso degli ebrei ai luoghi sacri fu soggetto ad un continuo alternarsi di permessi e divieti, accessi e interdizioni. Vi furono autorizzazioni a costruire sinagoghe alle quali seguirono bandi ed estromissioni. Durante la dominazione ottomana fu concesso agli ebrei di recarsi a pregare sulle vestigia dei templi, fatto che rinnovò la rilevanza del luogo, pur a fronte di alcune interdizioni rabbiniche. Nel mentre, l’edificazione della Cupola della Roccia (che è parte dell’al-Haram al-Sharif, insieme alla Cupola della Catena e ad altri edifici religiosi) sancì architettonicamente l’ascesa e il dominio dell’Islam, attribuendo al Monte del Tempio anche il carattere di terzo luogo sacro per la religione musulmana, dopo la Ka’ba e la moschea del Profeta di Medina. L’occupazione giordana della Città Vecchia, durante la guerra d’Indipendenza del 1948, sanzionò l’ennesimo divieto di accesso per gli ebrei ai luoghi santi della Tradizione. Non di meno, Amman si adoperò per violarne la sacralità, di fatto dissacrandone la funzione e rovinando il residuo decoro urbano e architettonico. Con la vittoria nella guerra dei Sei giorni il controllo diretto fu infine assicurato ad Israele. Il tentativo di accordo tra Moshe Dayan, l’allora ministro della Difesa, e le autorità religiose musulmane, che avrebbe dovuto sancire uno status quo per cui – fermo restando la libera circolazione di tutti i fedeli, la libertà di culto e il vincolo di rispetto reciproco – agli israeliani sarebbe rimasto di competenza l’esercizio delle funzioni di sicurezza, fu tuttavia rigettato. Peraltro, la polizia da sempre vieta agli ebrei di pregare nell’area di pertinenza musulmana, in ciò supportata dai pronunciamenti dei tribunali e dal sostanziale assenso di quasi tutti i gruppi politici presenti alla Knesset. Attualmente il Monte del Tempio è amministrato dal Waqf islamico, un comitato religioso al quale si affiancano, per le questioni di sicurezza, le autorità israeliane. Dal 2004 è in corso un complesso lavoro di setacciatura archeologica del terreno, con l’obiettivo di ricostruirne, il più verosimilmente possibile, la storia millenaria. Fin qui i fatti, per così dire. Dall’inizio della seconda intifada, ossia nel 2000, la contesa sull’accesso fisico ai luoghi (e sul loro dominio simbolico, in una sorta di esclusività senza possibili condivisioni) si è fatta infuocata, divenendo il fulcro di una miriade di tensioni. Da tempo Abu Mazen va ripetendo che la presenza musulmana sul Monte del Tempio sarebbe a rischio, nonostante le rassicurazioni israeliane. Il calcolato allarmismo del presidente dell’Autorità palestinese è solo l’ultimo esempio di una catena di sollecitazioni. Le quali risalgono a cent’anni fa, quando l’allora gran muftì di Gerusalemme incitava già alla sollevazione contro la presenza ebraica, in quanto profanazione delle prerogative degli arabo-musulmani. Più in generale, intorno al tema della difficile coesistenza interreligiosa, si è innescata ed è poi proseguita nel tempo una diatriba isterica, accompagnata dall’istigazione alla violenza come da atti di sopraffazione collettiva. Il movente religioso appare quasi sempre come un puro pretesto, dietro al quale si cela la volontà di tenere surriscaldato il fronte politico. Il Monte del Tempio, infatti, è la cerniera tra Israele e la società arabo-palestinese. In un conflitto oramai centenario, che ha assunto nel corso del tempo distinte configurazioni ma che trova al suo centro il discorso dell’identità religiosa come fattore di auto-legittimazione (così come di delegittimazione altrui), la miscela tra insoddisfazione, rancore e impotenza si rivela esplosiva. Se da un lato la denuncia di una lesione intollerabile (la presenza israeliana ma anche, in immediato riflesso, quella ebraica) galvanizza gli spiriti e li coalizza contro un “nemico” descritto come tanto pervasivo quanto pericoloso, la rivendicazione al diritto alla difesa contro la “colonizzazione ebraica” garantisce la possibilità di ottenere una copertura mediatica permanente, giocata sullo standard comunicativo dei “crimini del sionismo”. Non a caso le autorità palestinesi continuano a ripetere che l’intenzione effettiva dei governi israeliani sarebbe quella di arrivare a distruggere il complesso delle moschee e dei luoghi sacri islamici. Ciò affermando, riprendono e generalizzano il progetto delirante dei “fedeli del Monte del Tempio”, un’organizzazione estremista fondata nel 1967 dall’ex ufficiale dell’esercito Gershon Salomon, che rivendica l’obiettivo di “liberare” l’intera area dall’ “occupazione araba” poiché “la Cupola della Roccia e la moschea di al-Aqsa furono collocate in questo luogo sacro per gli ebrei come segno specifico di conquista e dominio islamico”. Solo con la ricostruzione del Tempio Israele potrà allora divenire un autentico “Stato ebraico”. I tentativi da parte del gruppo di provocare incidenti con la controparte araba sono stati ripetutamente repressi dalla polizia israeliana. La lacerazione più significativa alla storia ebraica, in ordine di tempo, è tuttavia quella che il comitato esecutivo dell’Unesco ha espresso con la sua risoluzione del 15 aprile 2016, laddove ignora deliberatamente lo storico legame ebraico con il Monte del Tempio. La deliberazione, infatti, si riferisce all’intera area come Moschea di al-Aqsa. Il comitato esecutivo ha inoltre accusato Israele di tutte le violenze avvenute sul Monte del Tempio nei mesi precedenti, omettendo completamente qualsiasi menzione alle aggressioni palestinesi. Se l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu aveva accusato l’Unesco di adoperarsi nel «riscrivere una parte fondamentale della storia umana», rimane il riscontro che il conflitto sui simboli e per i luoghi rimane una miccia potente nello scatenare la guerra dei corpi, quella che somma alle macerie anche i morti.
Vittorio Robiati Bendaud: "Tra i crociati e il sultano: gli ebrei tra alterne fortune"
Vittorio Robiati Bendaud
Per inquadrare le controversie teologico-politiche sul Monte del Tempio consideriamo alcune strutture della teologia della sostituzione, elaborata dal cristianesimo contro l’ebraismo, e poi ripresa dall’islàm che, a suo modo, la rivolse contro ebrei e cristiani. Chi sostituisce ha un debito incancellabile verso il soggetto che vuole rimpiazzare, l’antecedente da cui trae senso e che continua a essergli contemporaneo. Questa costitutiva dipendenza genera tensione, instabilità e inquietudine. Chi sostituisce, asserendo di essere il compimento o il superamento, prova così a legittimarsi, procedendo all’appropriazione del passato della “religione-madre” e alla sua neutralizzazione nel presente e nel futuro, dichiarandola inadeguata e così abusiva. Quest’ultima, però, non potendo essere del tutto divelta (perché per il sostitutore, oltreché un matricidio, costituirebbe un parziale suicidio), deve essere per forza sottomessa, sì che il suo decadimento confermi e conforti le pretese del sostitutore. Nella tremenda storia dei rapporti tra i tre monoteismi, era inevitabile che Eretz Israel, Gerusalemme e il Monte del Tempio divenissero “luoghi contesi”. E questo non per miserie belliche o empietà di malgoverno, ma perché lì inevitabilmente sono messi a nudo i cortocircuiti teologici-politici strutturali citati, ossia la dipendenza di cristianesimo e islàm dall’ebraismo. Le due forme di neutralizzazione e sostituzione (laddove l’islàm venne influenzato dalla patristica e dal diritto bizantino) hanno una significativa e paradossale differenza. Quella cristiana fu furiosa, perché l’ebraismo le era (ed è) intrinseco: le Scritture sono quelle ebraiche, Gesù era ebreo, Maria e i discepoli pure. Essendo un’ossessione interna, la polemica fu viscerale e devastante. Tuttavia, proprio per questo, nonostante certe tentazioni mai sopite, non si spinse a negare la validità delle Scritture, l’origine divina della Torah e della Profezia, o a distruggere completamente il popolo di Israele: sarebbe stato suicidario. Per l’islàm la questione è diversa. Muhammad era arabo; il Qur‘àn fu scritto in arabo e, dapprincipio, agli arabi si rivolse. Ciò autorizzò una sostituzione radicale, che si spinge ben più in là di quella cristiana. L’ebraismo, però, risultando meno interno, non coincise con l’ossessione principale dell’islàm, che comunque, a differenza del cristianesimo, aveva due bersagli polemici (ebrei e cristiani), e non uno solo (l’ebraismo). Gli ebrei, dopo il dominio romano-pagano e bizantino-cristiano, fecero ritorno a Gerusalemme con gli arabi che la conquistarono. In quell’occasione, il patriarca cristiano scongiurò il nuovo dominatore islamico di non far tornare gli ebrei. Il califfo non volle ascoltarlo e così un po’ di ebrei rientrarono nella città. Alcuni secoli dopo, Solimano il Magnifico e i suoi immediati discendenti – sultani dell’impero ottomano e califfi legittimi dell’islàm sunnita – permisero una migrazione ebraica in Galilea, compresa la salita e l’insediamento di molti a Gerusalemme. Ancora si ebbero reazioni furibonde dalle Chiese cristiane, che lasciarono interdetti i musulmani. Vorrei accennare a tre antichi racconti. Parrebbe che in epoca remota gli ebrei, riammessi dagli arabi a Gerusalemme, provvedessero all’illuminazione e al servizio del santuario islamico sul Monte del Tempio. Se, da un lato, questo attesta uno stato di subalternità all’islàm, è altrettanto vero che così si permetteva agli ebrei di poter pregare sulle rovine del Tempio, presso luoghi di culto che, in quanto islamici, risultavano monoteisti. È di pari interesse che i musulmani avessero scelto ebrei, riconoscendo il carattere monoteista dell’ebraismo, che entrambe le fedi ritengono invece scalfito dal cristianesimo. In altre raccolte si narra che furono alcuni ebrei convertiti all’islàm a indicare il luogo ove erigere gli edifici islamici, in corrispondenza di quella che ritenevano l’area più santa del Monte del Tempio, in aperta polemica con l’ebraismo. Non solo: da altri scritti parrebbe che furono sempre degli ebrei rinnegati ad alimentare, presso gli eruditi esegeti musulmani del Qur‘àn, la tesi secondo cui il figlio di Abramo, legato e da sacrificarsi sull’altare, fosse Ismaele e non Isacco, operando una sostituzione e contribuendo a orientare una differente interpretazione del Qur‘àn che non specifica l’identità del figlio. Se il Monte del Tempio divenne sacro per i musulmani, quindi, lo fu perché lo era -e lo è- per gli ebrei. E il fatto che Gerusalemme, pur con l’alta dignità riconosciutale dalla fede islamica, nei molti secoli di dominio musulmano, fosse sempre stata trattata come una secondaria città di provincia, avvenne perché è Mecca il fulcro della devozione islamica (e ciò che sostituisce non può avere pari valore di ciò che è sostituito). L’attuale dilagante, pervasiva, ossessionata e violenta ideologia teologico-politica islamista su Gerusalemme, che infetta i cuori e le menti, il discorso pubblico e la diplomazia è un prodotto recente, degli ultimi 100 anni, ricco di prestiti esterni, confezionato dal Muftì nazifascista, dai suoi pessimi sodali e dai Fratelli Musulmani. Oltre ai dati storici, anche studi recenti stanno dimostrando, fonti islamiche alla mano, di quanto si tratti di un’operazione simbolica recente… certamente antisemita e a detrimento dell’onorabilità e della fede di tantissimi musulmani contemporanei.
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