Se Orban tiene in ostaggio l'Europa Cronaca di Marco Bresolin
Testata: La Stampa Data: 31 maggio 2022 Pagina: 6 Autore: Marco Bresolin Titolo: «Orban tiene in ostaggio, l'Ue deroga all'Ungheria sul petrolio»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 31/05/2022, a pag.6 con il titolo "Orban tiene in ostaggio, l'Ue deroga all'Ungheria sul petrolio" il commento di Marco Bresolin.
Marco Bresolin
«Da quando avete approvato il quinto pacchetto di sanzioni a oggi, in Ucraina sono morti 74 bambini. Dovete adottare al più presto il sesto e rimanere uniti perché la Russia capisce soltanto il linguaggio della forza». Intervenendo in un collegamento video al Consiglio europeo, Volodymyr Zelensky ha fatto un discorso ampio, per nulla polemico, ma molto diretto per spronare i colleghi Ue a trovare un accordo sull'embargo petrolifero. Questa volta ha evitato di citare uno a uno i leader europei. Ma tutti gli sguardi erano puntati all'indirizzo di Viktor Orban, l'uomo che – ancora una volta – ha costretto i colleghi a fare gli straordinari fino a tarda sera per inseguire l'accordo sull'embargo petrolifero, siglato poco prima di mezzanotte con una formula che ridimensiona il piano iniziale proprio per andare incontro alle richieste del premier ungherese. La soluzione prevede uno "spacchettamento" dell'embargo in due fasi. La prima, da approvare già nel giro di un paio di giorni, farà scattare lo stop degli acquisti del «greggio e dei prodotti raffinati» russi alla fine di quest'anno, ma limitatamente al petrolio che arriva via mare. Ci sarà infatti «un'esenzione temporanea per il greggio distribuito tramite oleodotti», vale a dire quello che scorre lungo la conduttura "Druzhba". Esattamente ciò che Orban chiedeva già due-tre settimane fa. Eppure il premier ungherese, sin dal suo arrivo all'Europa Building, aveva preso le distanze dall'accordo, chiedendo «garanzie» in caso di interruzione delle forniture. Secondo lo schema discusso dai leader, i termini dell'esenzione per l'oleodotto andranno definiti «al più presto», anche se non è stata fissata una data. Nel frattempo, però, l'Ue potrebbe adottare definitivamente l'embargo del petrolio che arriva via mare, che vale circa 1,5 milioni di barili al giorno, più o meno due terzi del totale. Secondo fonti diplomatiche, l'approvazione della seconda fase potrebbe avvenire nel giro di due-tre settimane. Ma si tratta di una stima ottimistica perché i nodi da sciogliere sono parecchi. Innanzitutto bisogna definire la durata della deroga. Poi bisogna stabilire con esattezza quali Paesi potranno beneficiarne: l'oleodotto "Druzhba" si divide in due rami, uno settentrionale che va in Polonia e Germania, e uno meridionale che scorre in Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca, ma che serve anche l'Austria e la Croazia. Berlino e Varsavia hanno fatto mettere a verbale che rinunceranno in ogni caso al greggio di Mosca entro la fine dell'anno, portando la quota di petrolio "embargato" al 93% del totale. Si tratta però di un impegno politico, non giuridicamente vincolante: «Se all'inizio del prossimo anno dovessero esserci problemi di fornitura – fa notare una fonte diplomatica – la Germania avrebbe comunque a disposizione questa soluzione, visto che la conduttura settentrionale sarà esclusa dalle sanzioni». Il terzo problema da risolvere riguarda la disparità di condizioni che si creerà da gennaio, quando probabilmente ventiquattro Paesi smetteranno di comprare il petrolio russo (che è più economico) e almeno tre (Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) continueranno invece a farlo. Le loro raffinerie avranno a disposizione un greggio a costi inferiori e dunque godranno di un vantaggio competitivo. «Noi siamo d'accordo – ha sottolineato Mario Draghi nel suo intervento – purché non ci siano squilibri tra gli Stati membri». Per questo il Consiglio europeo ha incaricato la Commissione di «assicurare una concorrenza leale e la parità di condizioni all'interno del mercato unico europeo», attraverso «un regolare monitoraggio». A queste condizioni la stragrande maggioranza dei leader si è detta disposta a dare il via libera, anche se il premier bulgaro Kiril Petkov (il cui Paese importa il petrolio russo via nave) ha insistito per ottenere una deroga fino al 2024. Ma Viktor Orban, in parte sostenuto dal collega ceco e da quello slovacco, si è messo di traverso e ha chiesto garanzie per far fronte a un'eventuale stop delle forniture: «Dobbiamo avere la certezza di poter ottenere il petrolio russo qualora ci fossero problemi all'oleodotto». Per questo i leader, per convincerlo, hanno promesso «solidarietà tra gli Stati in caso di interruzione improvvisa delle forniture». E da oggi Gazprom interromperà le forniture di gas ai Paesi Bassi, dopo che la società GasTerra si è rifiutata di pagare in rubli. Lo stesso destino toccherà alla danese Orsted. Un atteggiamento che rende ancor più evidente la frattura interna all'Ue tra quegli Stati – come loro, la Finlandia, la Polonia e la Bulgaria – che hanno rifiutato di piegarsi al ricatto di Vladimir Putin e quelli che – come l'Italia e la Germania – hanno preferito assicurarsi il gas.
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