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Giugno 1967: Gerusalemme liberata dai suoi invasori
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
All'inizio di giugno del 1967 – 55 anni fa – gli abitanti di Gerusalemme stavano uscendo da una settimana terribile. Nasser aveva ordinato alle forze dell'Onu di andarsene dal Sinai dove esse si trovavano fin dal 1956 (con la crisi del Canale) dopo l’intervento per la crisi di Suez; aveva anche chiuso lo Stretto di Tiran alla navigazione israeliana, tagliando lo Stato ebraico fuori dal suo sbocco verso l'Africa e l'Asia, il che costituiva un casus belli in materia di diritto internazionale. Israele, che stava preparando la sua reazione, aveva fornito alla Giordania le sue rassicurazioni: questo nuovo conflitto avrebbe riguardato solo l'Egitto. In segno di buona fede, a Gerusalemme non era stata fatta alcuna preparazione particolare. Ciò non impedì al re di Giordania, esortato da Nasser ad attaccare Israele “per incontrare a metà strada l'esercito egiziano vittorioso”, di scatenare sulla città, lunedì 5 giugno, un fuoco di artiglieria di intensità senza precedenti, cogliendo completamente di sorpresa i residenti che stavano svolgendo il loro lavoro come al solito e costringendoli a correre in cerca di rifugio. Si trattava soprattutto di anziani, di donne e di bambini, poiché gli uomini validi erano stati mobilitati nei giorni precedenti. Per lunghe, lunghissime ore, tutta questa popolazione rimase rinchiusa e isolata in rifugi improvvisati, tremante al suono dei cannoni che echeggiavano di collina in collina. Ognuno di loro si ricordava bene le immagini della folla egiziana in delirio che gridava “uccidiamo gli ebrei” solo qualche giorno prima.
Quando in quel fatidico giorno di mercoledì 7 giugno 1967, le Forze di Difesa Israeliane finalmente arrivano a Gerusalemme, non hanno quindi alcun obiettivo di conquista, ma quello di venire in aiuto della città bombardata senza pietà dai soldati giordani. Quei soldati giordani che erano già lì, loro, fin dal 1948, in violazione di ogni diritto internazionale, la legione araba dell'emiro Abdallah di Transgiordania, che aveva invaso e poi annesso Giudea, Samaria e Gerusalemme Est. L'annessione non era stata riconosciuta dalla comunità internazionale ma l'emiro si era proclamato re di Giordania, la nuova entità così creata dall’unione tra Transgiordania e Cisgiordania. I 26.000 abitanti del quartiere ebraico della Città Vecchia di Gerusalemme dovettero fuggire; le antiche sinagoghe distrutte, il cimitero ebraico più antico del mondo, quello del Monte degli Ulivi devastato, lapidi divelte e profanate. Nulla di tutto ciò aveva commosso la coscienza del mondo e nessuno parlava di conquista e di occupazione. Non avevamo ancora scoperto la causa palestinese e inoltre quando, nel 1964, venne creata al Cairo l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, non si trattava di liberare i territori che secondo la risoluzione di spartizione sarebbero tornati ad uno Stato arabo, ossia la Cisgiordania allora occupata dalla Giordania, ma di Haifa e di Tel Aviv e dall'intero Stato ebraico. Sfortunatamente, il mondo ha una memoria corta, se non selettiva. I libri di storia si guardano bene da evocare una verità che invece è indiscutibile.
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