Riprendiamo dal FOGLIO del 28/05/2022, a pag. 9, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo "La grande purga".
Giulio Meotti
Quando all’Evergreen College un gruppo di studenti ha organizzato una “Giornata di esclusione dei bianchi”, per sostenere i compagni di colore, un professore di biologia si è rifiutato di infilare la testa nella sabbia e ha denunciato pubblicamente l’evento come “razzista e segregazionista”. Bret Weinstein ha finito per dimettersi, pagando il prezzo più alto, insultato dagli studenti che ne hanno chiesto il licenziamento, accusato di sfruttare la sua fede ebraica per nascondere l’odio “anti-nero”. Hanno pensato persino di rapirlo. Le manifestazioni contro Weinstein dureranno mesi. Cinquanta studenti sediziosi irrompono persino nella sua aula urlando “sacco di merda!” e “razzista”. Weinstein deve andarsene. “La polizia mi ha detto che non ero al sicuro”, racconta Weinsten a Valeurs Actuelles. “Il movimento ‘Equità e inclusione’, avvolto in parole che suonano onorevoli e benevole, è un manganello”.
Aggiungendo l’umiliazione all’infamia, 58 dei suoi colleghi, un quarto del totale, chiedono “un’indagine disciplinare” contro Weinstein per aver “messo in pericolo i professori, il personale e gli studenti”. “Mia moglie ed io abbiamo attraversato questo tornado personale prima che si diffondesse in tutto il paese. Abbiamo avuto un’anteprima del caos in corso”. Da allora, il caos è divampato nei campus. Roland G. Fryer è un famoso economista, il più giovane professore di colore nella storia di Harvard, ha ricevuto numerosi premi (tra cui una borsa di studio MacArthur) per il suo lavoro sul “divario di risultati” nelle scuole elementari e ha studiato con il premio Nobel Gary Becker. I suoi risultati contraddicono la visione mainstream secondo cui i bambini neri sono predestinati all’ultimo posto scolastico prima ancora di raggiungere la scuola. Questa è una buona notizia, in quanto significa che il problema non è così intrattabile come sembrava. Ma è stata una notizia terribile per gli attivisti coinvolti a propagandare l’idea che il “razzismo sistemico” spieghi tutto. Fryer ha scoperto che la posizione socioeconomica, dopo tutto, può essere migliorata. E quando si trattava di sparatorie, il professore non riusciva a trovare nessuna differenza razziale, contraddicendo l’affermazione di Black Lives Matter accolta acriticamente dall’accademia, dalla stampa e dai politici secondo cui la polizia ricorre alla violenza mortale con i neri. L’articolo di Fryer, “An Empirical Analysis of Racial Differences in Police Use of Force”, è stato scritto e pubblicato nel 2019 sul Journal of Political Economy, un anno prima che la morte di George Floyd accendesse rivolte e proteste in tutto il paese. Dal momento che il professor Fryer è nero, c’era da aspettarsi che la linea di attacco sarebbe riguardata il sesso. Così è stato accusato di aver flirtato con una studentessa anni prima e una donna lo ha accusato di “linguaggio sessista” nelle sue classi. Come professore di ruolo di Harvard, Fryer non poteva essere licenziato facilmente. Ma ci sono tanti altri modi per rovinare un membro della facoltà. Hanno sospeso Fryer per due anni, durante i quali gli è stato impedito di insegnare o di utilizzare le risorse universitarie. E hanno chiuso definitivamente il suo laboratorio, l’Education Innovation Laboratory. Pochi altri membri della facoltà della Brock University, in Canada, hanno portato all’università più premi, più dollari per la ricerca, più citazioni scientifiche e più prestigio reputazionale del professore di chimica Tomáš Hudlický. Fino a quando la prestigiosa rivista scientifica tedesca Angewandte Chemie ha pubblicato uno scritto di Hudlický.
Vi si criticava l’imposizione della “diversità” sul posto di lavoro attraverso l’assunzione preferenziale, tra le altre cose, perché avrebbe avuto un effetto negativo sulla disciplina scientifica. In poche ore, Angewandte Chemie ha ritirato l’articolo, la rivista ha sospeso due editor, indagato su due revisori e sedici membri del comitato consultivo internazionale, che includeva diversi premi Nobel, si sono dimessi. Il caporedattore di Angewandte, Neville Compton, ha immediatamente rilasciato una dichiarazione in cui affermava: “Sebbene la diversità di opinioni e pensieri possa stimolare il cambiamento e il dibattito, questo saggio non avrebbe dovuto essere pubblicato”. Hudlický ha subito un immenso danno reputazionale ed è stato inserito nella lista nera come persona non grata all’interno della comunità scientifica. Il professore è morto lo scorso 10 maggio mentre si trovava a Praga, nella Repubblica Ceca, dove è nato e cresciuto sotto il “socialismo reale”. Se ne è andato senza neanche riscattare il suo buon nome. Il professor Joshua Katz era uno dei più famosi grecisti di Princeton, la più blasonata università americana. A fronte di richieste assurde da parte della sua università di omaggiare la nuova rivoluzione culturale targata Black Lives Matter, Katz aveva scritto una “ Dichiarazione di Indipendenza” rivolta alla facoltà, criticando l’ortodossia progressista. “Non riesco a spiegarmi come qualcuno – persone straordinariamente privilegiate, vorrei sottolineare, professori di Princeton – diano vantaggi extra solo in ragione del colore della pelle. Fantasticare che si possa fare a meno della polizia è l’apice del privilegio. Negli Stati Uniti, grazie al cielo, la libertà di pensare è ancora un diritto, non un privilegio”. Il suo dipartimento lo accusa di “incitare alla violenza razziale” e il rettore, Christopher Eisgruber, attacca lo studioso di Virgilio: “Abbiamo l’obbligo di esercitare il diritto alla libertà di parola in modo responsabile. Katz non lo ha fatto”. Commenta il Wall Street Journal in un editoriale che “Katz ha un incarico, ma la cancel culture non ha bisogno di farlo licenziare per avere successo. Può emarginarlo nella sua stessa università e intimidire gli altri che nel campus potrebbero essere d’accordo”. Un classicista collega di facoltà, Dan-el Padilla Peralta, famoso per aver detto di voler distruggere i classici se non possono essere purgati del “suprematismo bianco” (“spero che la materia muoia, e il prima possibile”), accusa Katz di “flagrante razzismo”. C’è anche la dichiarazione ufficiale del Dipartimento di studi classici di Princeton: “Katz ha messo a rischio colleghi e studenti di colore. Incompatibile con la nostra missione e i nostri valori”. Katz sembra averla scampata e sul Wall Street Journal racconta di essere “sopravvissuto alla cancellazione”. Katz ha perso la sua battaglia e Princeton ha annunciato che non sarà più obbligatorio studiare latino e greco per favorire l’“uguaglianza razziale”.
Si è poi passati a cambiare i nomi delle facoltà, come quella intitolata al presidente Woodrow Wilson (democratico sostenitore della segregazione). Ma i conti con il professor Katz non erano chiusi. Se critichi l’ortodossia progressista alla fine ti distruggo, in un modo o nell’altro. Se non lo posso fare sul piano intellettuale, schiaccerò il tuo buon nome sul piano morale, costruendo ad arte accuse di “cattiva condotta sessuale”. Il rettore di Princeton, che aveva accusato Katz di razzismo, ha chiesto al consiglio di amministrazione di licenziare Katz, accusandolo niente meno che di “cattiva condotta sessuale”. E così è stato questa settimana. Avrebbe avuto una relazione con una studentessa (consenziente e maggiorenne) quindici anni fa. “Se esprimere un’opinione impopolare è un invito a dare una svolta alla tua vita personale alla ricerca di prove dannose, quante persone saranno disposte a parlare apertamente?”, commenta l’avvocato di Katz. “Con il licenziamento del professor Katz, Princeton avrà inviato un messaggio”, dice Edward Yingling, co-fondatore di Princetonians for Free Speech, un gruppo composto da ex alunni di Princeton formato nel novembre 2020 per promuovere la libertà di parola e accademica. “Se un membro della facoltà o uno studente dice qualcosa che contraddice la nostra ortodossia, ti prenderemo, se non per quello che hai detto, allora distorcendo quel che dici, usando le vaste risorse dell’università per farti vergognare davanti al corpo studentesco, indagando sulla tua vita personale negli anni passati”. Il ceo del Pen America (organizzazione in difesa della libertà di parola), Suzanne Nossel, ha affermato che il licenziamento di Katz “solleva seri interrogativi sulla libertà di espressione”. La moglie di Katz, Solveig Gold, anche lei docente a Princeton, al New York Times racconta che il marito ha perso tutti gli amici a causa della controversia. “Nessuno vuole essere visto in sua presenza, in sua compagnia, essere suo amico”. Poi, in un articolo questa settimana per la newsletter di Bari Weiss, Gold spiega: “Il messaggio agghiacciante che Princeton ha inviato ai colleghi di Joshua e agli accademici di tutto il mondo: esci dalle righe politicamente e troveremo un modo per abbatterti. Mostraci l’uomo e ti diremo il crimine. La Torre d’Avorio è un castello di carte. E per la prima volta nella mia vita, mi dispiace dirlo, sarò felice di vederlo cadere”.
Quando il #MeToo o il woke razziale ti saltano addosso, sei finito. Ha perso il lavoro come direttore della New York Review of Books persino il liberal anglo-olandese Ian Buruma, reo di aver pubblicato un articolo critico degli effetti del #MeToo. Per fortuna Katz ancora qualche sostenitore sulla stampa ce l’ha. “Princeton si prepara a licenziare il professore che si è opposto agli attivisti di estrema sinistra”, titola la National Review. Bari Weiss commenta: “Spero che Joshua Katz faccia causa a Princeton”. Rod Dreher scrive che Princeton si trasforma in una “madrassa woke”. “L’università dove ho insegnato per quasi un quarto di secolo e che nel 2006 mi ha promosso alla cattedra, me l’ha revocata e mi ha licenziato”, scrive Katz sul Wall Street Journal. “Chiunque tu sia e qualunque sia la tua convinzione, questo dovrebbe terrorizzarti. Ho avuto una relazione consensuale con una studentessa di 21 anni, per il quale ero già stato sospeso per un anno senza stipendio ben oltre un decennio dopo il mio ‘reato’. Si trattava, sottolineo, di una violazione di una norma interna all’università, non di materia da Titolo IX o di qualsiasi altro reato”. Due giornalisti del Daily Princetonian avevano iniziato a scavare nel suo passato nel tentativo di distruggerlo. Come ha affermato il giornalista legale di lunga data del New York Times Stuart Taylor Jr., “l’indagine del Daily Princetonian (...) non sarebbe stata stampata da nessun giornale credibile con un numero così grande di fonti anonime, pieno di congetture e allusioni”. Ma non importa. Il punto era fomentare la folla. A ottobre, John McWhorter ha scritto nel suo libro “Woke Racism” che Katz non avrebbe neanche “venduto matite per strada”. E dopo Harvard e Princeton, perché farsi mancare Yale, in modo da comporre la sacra trinità accademica americana? Erika Christakis, docente a Yale di Psicologia infantile, aveva osato lamentarsi che l’università era diventata “un luogo di censura e di divieto” dopo la richiesta degli studenti di bandire i costumi “offensivi” di Halloween.
Da allora, sia Erika Christakis sia suo marito, Nicholas Christakis, anche lui docente a Yale, sono stati il bersaglio di una folla rabbiosa di studenti-cacciatori di streghe. Fino a un filmato in cui circondano Nicholas, gli urlano insulti e ne chiedono le dimissioni, come le tricoteuses sotto la ghigliottina, che sferruzzavano per i loro bimbi mentre cadevano le teste sul patibolo. “Non devi dormire la notte”, “fai schifo”, gli urlano in faccia. I Christakis ricevono email minacciose, studenti rifiutano la laurea dalle loro mani, pochissimi colleghi firmano la lettera di solidarietà, tanto che quando il fisico Douglas Stone appone la sua viene messo in guardia per non aver tessuto l’elogio della forca: “Sarai il prossimo”. Risultato: Erika e Nicholas si sono dimessi. Un’accademica alla canadese Mount Royal University, per aver criticato Black Lives Matter, è stata appena licenziata. Frances Widdowson, professoressa nel Dipartimento di economia studi politici a Calgary, è stata messa alla porta. Widdowson ha affermato di non essere sorpresa del provvedimento, ma è rimasta scioccata “da quanto l’università si sia deteriorata nell’ultimo anno e mezzo.” La professoressa, che insegnava all’università dal 2008, è stata presa di mira quando ha affermato che il movimento Black Lives Matter “ha distrutto l’università.” Una petizione che chiedeva il suo licenziamento conta più di seimila firme. In una intervista, Widdowson aveva spiegato che oggi a criticare il movimento Lgbt e il nuovo antirazzismo ci si ritrova immediatamente in una “zona proibita” del pensiero. Il direttore di una delle principali pubblicazioni accademiche americane, Harald Uhlig dell’Università di Chicago, il più noto economista tedesco negli Stati Uniti, per aver criticato Black Lives Matter, paragonando l’organizzazione ai terrapiattisti per via della campagna a favore dello scioglimento dei dipartimenti di polizia, è stato estromesso dal Journal of Political Economy. E come lui tanti altri. L’archivio della grande purga in nome dell’“inclusione” si arricchisce ogni settimana di una nuova testa che rotola nel cesto senza fondo del “progresso”.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante