L'agghiacciante disegno di legge iracheno colpisce Israele (e il suo stesso popolo)
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Quasi 20 anni dopo il rovesciamento del regime di Saddam Hussein grazie ad un'invasione guidata dagli Stati Uniti, l'Iraq permane in guerra con Israele, dato che ancora oggi vige la stessa situazione che perdura fin dalla fondazione dello Stato ebraico nel 1948. Tuttavia continua a sussistere la domanda: l'Iraq rimarrà sempre in guerra con Israele? Poni questa domanda al parlamento iracheno e riceverai una risposta affermativa. Giovedì scorso, i legislatori iracheni hanno votato a stragrande maggioranza a favore di una nuova legge dal titolo minaccioso: “Criminalizzare la normalizzazione dei legami e lo stabilire relazioni, compresi i rapporti d'affari, con l’Entità Sionista.” D'ora in poi, qualsiasi cittadino iracheno che entra in contatto con qualcuno o con qualsiasi cosa proveniente da Israele potrebbe rischiare l'ergastolo o addirittura la pena di morte. In una dichiarazione rilasciata a seguito dell'approvazione del disegno di legge, il parlamento iracheno ha dichiarato che la normativa “rappresenta un vero riflesso della volontà del popolo, una coraggiosa decisione nazionale e una posizione che è la prima del suo genere al mondo in termini di criminalizzazione del rapporto con l'Entità Sionista.”
Ha invitato i parlamenti di altre parti del mondo arabo e islamico a seguire la guida irachena approvando una legislazione simile che “soddisfa le aspirazioni del nostro popolo.” Data la storia di corruzione, di dittature, di abusi dei diritti umani e di elezioni truccate in Medio Oriente, ci resta un sorriso amaro nell’apprendere che le aspirazioni dei suoi elettori sono considerate sacre quando si tratta di affrontare Israele. Ma questa aspirazione esiste davvero, o è qualcosa che viene fabbricato dall'alto? Incolpare Israele per i problemi interni è stata a lungo una tattica dei regimi mediorientali per distogliere l'attenzione dalla loro incapacità a far uscire le loro nazioni dalla povertà, di fornire lavoro e istruzione e a modernizzare le loro società. È una tattica apprezzata da gran parte della sinistra occidentale, che crede anche che la presenza di Israele sia l'unico ostacolo alla pace e alla giustizia per la regione. Eppure questo non è un punto di vista condiviso dai manifestanti che sono scesi ancora una volta nelle strade dell'Iran, irritati dall'impennata dei prezzi dei beni di prima necessità ma che si è trasformato, come è successo anche in passato, in protesta politica.
Uno dei loro canti, ascoltato per la prima volta durante le storiche proteste del 2009, dice: “Non per Gaza! Non per il Libano! La mia vita per l'Iran!” , uno slogan che mostra in modo penoso come le richieste ufficiali di solidarietà con i palestinesi siano solo una maschera per nascondere le sofferenze della vita all’interno del Paese. La legislazione irachena va volutamente contro la tendenza della maggior parte della regione per accordi di pace con Israele. Egitto, Giordania e Autorità Palestinese avevano tutti firmato accordi con Israele verso la fine del 20° secolo; Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan hanno tutti firmato trattati di pace nella prima parte del 21°, con la prospettiva che altri Paesi arabi, tra cui l'Arabia Saudita, entreranno anche nel gruppo. L'Iran e i suoi alleati in Siria, Libano e Iraq a questo riguardo sono da sempre delle eccezioni, in quanto non solo evitano le relazioni con Israele, ma cercano anche di affrontarlo sia nella propaganda ufficiale che attraverso atti terroristici e la guerra. In ogni occasione il messaggio è lo stesso: la distruzione di Israele è l'espressione della volontà del popolo. Ma come mi ha fatto notare un analista mediorientale, c'è un paradosso nel fatto che il parlamento iracheno si appelli alla "volontà popolare" su un argomento come Israele, un argomento del tutto irrilevante per il trantran quotidiano di vite che saranno sempre più governate dall'aumento dei prezzi dei generi alimentari e da mancanza dell’essenziale, quando non è riuscito a formare un governo ben nove mesi dopo lo svolgimento delle elezioni. Sarebbe sbagliato considerare la legislazione irachena come puramente simbolica. Oltre ad essere diretta ai paesi vicini che nutrono l'idea di pace con Israele, è rivolta ancora di più a coloro che all'interno dell'Iraq hanno sostenuto lo stesso obiettivo.
La legge si applicherà a tutto l'Iraq, compresa la regione autonoma curda del nord, che da tempo ha relazioni con Israele. Dopo che la candidatura curda all'indipendenza è stata repressa nel 2017 dai paramilitari sostenuti dall'Iran, il parlamento iracheno ha approvato una legge che vieta l'esposizione di “simboli sionisti” in una rabbiosa risposta ai molti curdi che hanno brandito bandiere israeliane alle manifestazioni a favore dell'indipendenza. Ma resta il desiderio di avere rapporti con Israele; lo scorso settembre si è tenuto ad Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, uno storico raduno in cui leader sunniti e sciiti hanno sollecitato la pace con Israele. Il pubblico di Erbil ha ascoltato uno straordinario discorso dello sceicco Wissam al-Hardan, leader del movimento sunnita Sons of Iraq. “Vediamo un barlume di speranza nella capacità di alcuni ebrei iracheni di riabilitare le loro vite e di preservare le loro tradizioni attraverso le generazioni”, ha affermato. “La maggior parte di loro ci è ancora vicina e li consideriamo, come vicini, in Israele. … Chiediamo di istaurare un sistema federale in Iraq; e sul fronte globale, chiediamo di aderire agli Accordi di Abramo e, nei termini di quegli accordi, di stabilire relazioni diplomatiche piene tra i firmatari e Israele.” Non sorprende che i partiti islamisti iracheni fossero furiosi quando hanno visto la conferenza a Erbil . Com’è altrettanto prevedibile, al-Hardan è stato rapidamente cacciato dal movimento Sons of Iraq, nonostante avesse rilasciato quelle che si leggevano come scuse forzate: “Ho letto la dichiarazione che è stata scritta per me senza conoscerne il contenuto. Denuncio il contenuto della dichiarazione finale e quanto in essa è stato affermato.”
Meno di un anno dopo, lo scopo del disegno di legge che criminalizza i contatti con Israele è quella di porre fine agli sforzi di riconciliazione sotto la minaccia della pena di morte. Gli ebrei dell'Iraq menzionati nel discorso di al-Hardan conoscevano meglio di chiunque altro la realtà che sta dietro la minaccia di esecuzioni. Nel gennaio 1969, nove ebrei erano tra le 14 presunte spie israeliane che furono impiccate in un'esecuzione pubblica in piazza Tahrir ("Liberazione") a Baghdad. Quasi 500.000 persone vennero ad assistere a questo spettacolo grottesco, esortate dalla radio irachena a "venire a godersi la festa". Nell'agosto dello stesso anno, altri tre ebrei furono giustiziati per lo stesso reato inventato. Riflettendo su come il resto della comunità ebraica irachena, un tempo orgogliosa di esserlo, fosse perseguitata dal regime Ba'ath, lo scrittore iracheno Kanan Makiya ha osservato che il significato della loro difficile situazione stava nel fatto che “la persecuzione di ogni iracheno sotto il regime Ba'ath cominciò nei confronti di quelli che erano più indifesi tra loro.” Il Ba'ath non è più al potere, ma la tendenza individuata da Makiya è molto viva. E, come sempre, coloro che pagheranno il prezzo più alto per questi orribili appelli all'eliminazione di Israele sono proprio quelli in nome dei quali viene condotta questa vergognosa guerra.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate