Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi 28/05/2022, con il titolo "Documenta, quando l’arte è antisemita" il commento di Roberto Giardina.
Roberto Giardina
Sullo scaffale innanzi alla mia scrivania ho un portapenne in ceramica, con una D nera sovrapposta da una X in rosso, come a cancellarla. E´ il simbolo della decima edizione di Documenta, la grande esposizione di arte contemporanea che si tiene a Kassel ogni cinque anni. Di solito non compro souvenir ma quell´oggetto mi piacque. Era il 1997, e forse sarebbe stato meglio cancellare sul serio Documenta, ho pensato in seguito. Di quella edizione mi è rimasta impressa un´opera, la più vista, i visitatori portavano i bambini per ammirarla: una scrofa con sei maialini. Era firmata, se mai fosse possibile, da Carsten Höller e Rosemarie Trockel, che chiedevano a me e altre migliaia di visitatori perché mangiamo animali e non altri esseri umani. L´opera rimase esposta per i cento giorni di Documenta, i Ferkel, maialini in tedesco, crebbero e dopo la chiusura finirono arrosto. Le opere di Documenta vengono esposte in tutta la città, è una gran fatica cercare di vederle, nell´estate del ´97 mi trascinai fino a una stazione fuori servizio: su un binario morto era stata montata un´opera dedicata all´emigrazione, tra le traversine erano piantate erbe selvatiche giunte da ogni continente.
Un simbolo evidente. Oscar Wilde diceva che se vuoi vedere un simbolo in un´opera lo fai a tuo rischio. Gli artisti non dovrebbero schiaffarti i simboli in faccia. Mentre attendevo mia moglie in visita altrove, rimasi affascinato innanzi a un televisore che mostrava un reportage sugli eschimesi, di tre ore e mezzo. Ne vidi una quarantina di minuti, ben fatto, ma perché inviarlo a Kassel e non al Festival di Venezia? Non sono un retrogrado, i video sono opere d´arte, come quelli di Bill Viola, ti danno un´emozione che non dimentichi. Un documentario è un´altra cosa. A Documenta X non era esposta neppure una scultura, un disegno, un olio su tela. Tornai alle edizioni del 2002, del 2007, e del 2012, che fu splendida, affidata a Carolyn Christof Bakargiev, americana e italiana, oggi curatrice al Castello di Rivoli. Erano esposte opere contemporanee, e anche una rassegna dell´arte del XX secolo. Non andai all´ultima, del 2017. Il curatore, il polacco Adam Szymczyk scelse lo slogan “Von Athen lernen”, imparare da Atene, e per la metà l´allestì in Grecia, simbolo dell´emigrazione e del neocolonialismo. Perché dover prendere un aereo fino ad Atene? Fu un flop anche economico. L´edizione si chiuse con un buco di 7,6 milioni di euro. A ogni edizione viene scelto un unico curatore, la responsabilità della scelta è solo sua. Un metodo che sarà antidemocratico, ma è stimolante. Per l´ultima edizione, seguendo la moda, hanno affidato Documenta 15, dal 18 giugno fino al 25 settembre, a un gruppo bengalese, il Ruangruopa, formato da dieci elementi. Scelto per aver organizzato la mostra di scultura a Arnheim in Olanda nel 2016, dove misero in mostra un kindergarten portato dalla loro Giakarta. I curatori spiegano che Documenta è un pretesto, l´arte serve a migliorare il mondo, anche a questo certamente, dipende da che si intende per arte. La squadra bengalese ha invitato il gruppo El Warcha, che a Tunisi si occupa di giochi per bambini, aiuole e panchine, e la Trampoline House danese che si occupa di profughi e impartisce consigli sull´integrazione.
Esporranno anche Herr Gendrk Pulju, 31 anni, che pur essendo di Kassel non ha mai visto uns Documenta: è lui l´opera d´arte in quanto apicoltore, le api sono la spia che denuncia l´inquinamento. Ma si sono rifiutati di invitare artisti israeliani, in nome del Bds, cioè boycott, disinvestment, sanctions, il movimento che boicotta i prodotti israeliani che provengono dai territori occupati. Ma il Bds è stato già condannato dal Bundestag, il parlamento, come antisemita, e Documenta viene allestito anche con soldi pubblici. I dieci di Giakarta si sono rifiutati di rispondere. Politicamente corretti secondo la moda, ma molto attenti: non hanno invitato neanche un artista da Papua, la provincia orientale del Bengala, colpevoli di avere la caranagione scura, poco graditi alle autorità di Giakarta. Antisemiti ma con prudenza. Non andrò a vedere le api a Kassel.
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