Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/05/2022 a pag.6 con il titolo "Biden manda a Kiev armi più potenti. Gli Usa si interrogano sui nuovi obiettivi" la cronaca di Paolo Mastrolilli.
Paolo Mastrolilli
Joe Biden
Gli Stati Uniti si preparano a mandare armi ancora più potenti in Ucraina, capaci di colpire in profondità e da lunga distanza i russi che avanzano nel Donbass. E questa notizia anticipata dalla Cnn rilancia anche il dibattito sullo stato della guerra, le valutazioni dell’intelligence occidentale sulla forza reale di Putin, come definire la vittoria e cosa potrebbe mettere fine al conflitto. Parlando ieri ai cadetti dell’Accademia navale di Annapolis, il presidente Joe Biden ha usato toni duri. Ha accusato Putin di voler «spazzare via l’identità e la cultura del popolo ucraino, attaccando scuole, asili, ospedali e musei. Un assalto diretto ai principi fondamentali dell’ordine internazionale basato sulle regole». Ma, aggiunge, ha commesso un errore strategico cruciale, perché «invece di finlandizzare l’Europa e renderla neutrale, la sta Natoizzando», col prossimo ingresso nell’Alleanza di Svezia e Finlandia, nonostante l’ostacolo turco. Proprio nelle stesse ore il segretario di Stato Antony Blinken parlava col collega ucraino Kuleba,per discutere «la continua assistenza per la sicurezza» e la crisi alimentare provocata da Mosca. Secondo laCnn , questo linguaggio si traduce nell’imminente fornitura a Kiev del Multiple Launch Rocket System (MLRS) e il High Mobility Artillery Rocket System (HIMARS), sistemi in grado di lanciare munizioni fino a 300 chilometri di distanza.
Il presidente ucraino Zelensky li chiedeva da tempo, perché consentirebbero alle sue forze di rispondere all’offensiva dell’artiglieria russa colpendo in profondità e da una distanza di sicurezza, visto che i cannoni di Mosca hanno una gittata massima di circa 50 chilometri. Finora Washington aveva frenato, perché temeva che gli ucraini usassero questi missili per colpire il territorio russo, creando il rischio di una guerra diretta con la Nato. Ora però le resistenze sarebbero superate, un po’ per le garanzie offerte da Kiev, e un po’ per la necessità di frenare l’avanzata in corso nel Donbass. L’intelligence occidentale non nega che il Cremlino stia guadagnando terreno, come dimostra l’operazione per accerchiare Severodonetsk. Però nota almeno tre cose: primo, l’avanzata è assai più lenta, faticosa e costosa di quanto si aspettasse Putin; secondo, anche una volta che l’intero Donbass cadesse nelle mani di Mosca, si tratterebbe comunque di un successo molto ridotto rispetto agli obiettivi dichiarati della vigilia, che erano di conquistare l’intera Ucraina e costringere la Nato a ritirarsi lungo i confini del dopo Guerra Fredda; terzo, con buona probabilità si tratta dell’ultima offensiva di queste proporzioni che la Russia potrà permettersi. Il Cremlino è sempre più a corto di mezzi, al punto di dover recuperare i vecchi carri armati in disuso T-62, che hanno oltre mezzo secolo di vita e sono vulnerabili alle moderne armi anticarro. Non ha più molti uomini, tanto da dover richiamare i riservisti e togliere i limiti d’età al reclutamento. Infine le sanzioni iniziano ad avere un impatto sulla vita dei cittadini, creando la prospettiva di carenze di beni essenziali come nell’epoca sovietica, mentre persino il rialzo del rublo, provocato dalle misure di emergenza adottate per contrastare quelle occidentali, si sta rivelando un boomerang per l’economia russa. Peggio ancora poi sarà se la Ue bandirà il petrolio di Mosca.
Secondo questa logica, l’accelerazione delle forniture militari non sarebbe un segno di disperazione da parte di Washington, ma piuttosto della convinzione di poter fermare l’avanzata e favorire la controffensiva ucraina. Se l’analisi è corretta, pone la necessità di capire cosa comporta per lo sviluppo della guerra. Certamente non sembra prospettare la volontà di fare concessioni a Putin, ma su questo esistono valutazioni differenti all’interno dell’alleanza e della stessa amministrazione. Come nota ilNew York Times , i Paesi dell’Europa orientale restano convinti che senza una sconfitta di Putin non ci sarà soluzione stabile, perché nuovi attacchi saranno solo rinviati. Germania, Francia e Italia sono più inclini al compromesso, ma lo stesso Draghi ha ammesso di non aver sentito aperture durante l’ultima chiamata con Putin. Il capo del Pentagono Lloyd Austin ha parlato di «degradare» le forze armate, affinché non possano più lanciare simili invasioni, e l’ambasciatrice alla Nato Julianne Smith ha detto che «vogliamo una sconfitta strategica della Russia». Nell’amministrazione alcuni pensano che sia già avvenuta, perché comunque il Cremlino ha fallito i suoi obiettivi; secondo altri, prima di fare compromessi territoriali bisogna ricacciare indietro i soldati di Mosca. La scelta finale toccherà a Zelensky, o comunque andrà fatta col suo consenso.
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