Testata: Il Foglio Data: 24 maggio 2022 Pagina: 1 Autore: Giulia Pompili Titolo: «Chiarezza strategica»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 24/05/2022 a pag.1, con il titolo "Chiarezza strategica" l'analisi di Giulia Pompili.
Giulia Pompili
Roma. “Presidente, l’America non è stata coinvolta militarmente nel conflitto in Ucraina per ovvi motivi. Ma sarebbe disposto a farsi coinvolgere militarmente per difendere Taiwan?”. “Sì”. “Lo è davvero?”. “E’ l’impegno che abbiamo preso”. Questo breve scambio tra una giornalista e il presidente americano Joe Biden, ieri durante una conferenza stampa con il primo ministro giapponese Fumio Kishida a Tokyo, cambia di molto la politica americana nel Pacifico. Perché è già la terza volta che Biden usa delle espressioni che si allontanano dalla politica di “ambiguità strategica” nei confronti dell’isola de facto indipendente ma rivendicata dalla Cina. La prima volta, dopo il ritiro americano in Afghanistan, disse che gli Stati Uniti avrebbero risposto a qualunque attacco contro un membro Nato oppure “contro il Giappone, la Corea del sud o Taiwan”. Due mesi dopo, Biden aveva sottolineato lo stesso “impegno” ad Anderson Cooper sulla Cnn. In entrambi i casi, dopo le dichiarazioni di Biden, lo staff della Casa Bianca aveva aggiustato il tiro, facendo pensare che quella del presidente fosse una specie di gaffe su una questione delicatissima, che ha mantenuto una sua coerenza grazie a una sofisticata elaborazione linguistica non provocatoria per Pechino. Questa volta però è stato lo stesso presidente a chiarire il suo “Sì”: “Ci impegniamo a sostenere la pace e la stabilità e a garantire che non ci siano modifiche unilaterali dello status quo. L’America si è impegnata e persegue la politica di un’unica Cina, ma ciò non significa che la Cina abbia la giurisdizione per usare la forza per conquistare Taiwan”.
E’ la fine della cosiddetta ambiguità nella questione di Taiwan: sin dal 1979, quando l’America ha deciso di riconoscere formalmente la Repubblica popolare cinese chiudendo la sua ambasciata nella Repubblica di Cina (cioè Taiwan), le relazioni tra Washington e il governo di Taipei sono guidate dal Taiwan Relations Act, una legge che, tra le altre cose, dice che l’America deve fornire a Taiwan armi difensive per aiutarla a difendersi, ma è poco chiara su cosa dovrà fare Washington in caso di guerra. L’ambiguità strategica è servita finora come arma di deterrenza, ma la guerra in Ucraina ha accelerato un cambiamento già in atto. Non c’è più tempo per le ambiguità, perché dopo l’invasione russa la destabilizzazione globale da parte delle autocrazie è già in atto, e un occidente sempre più coeso ha bisogno di mostrarsi protettivo nei confronti dei suoi partner, a cominciare da Taiwan. Ieri il ministero degli Esteri taiwanese, guidato da Joseph Wu, ha ringraziato l’America per il sostegno. Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha detto che “c’è solo una Cina nel mondo”, che “Taiwan è una questione puramente interna alla Cina” e che Pechino “non tollererà interferenze straniere su questo. Non c’è spazio per compromessi”. I sostenitori dell’ambiguità strategica americana dicono che questo cambiamento potrebbe accelerare la decisione di Pechino di invadere. Allo stesso tempo però l’intelligence americana – che negli ultimi mesi ne ha sbagliate poche – ritiene che la Repubblica popolare cinese stia lavorando “per mettersi effettivamente nelle condizioni di poter prendere Taiwan militarmente”, ha detto la direttrice dell’Intelligence Avril Haines al Congresso, “entro il 2030”. Non è un caso se l’inizio di una nuova politica di “chiarezza strategica” da parte americana arrivi proprio durante la prima missione asiatica di Joe Biden. E in particolare in Giappone, il paese che con il governo guidato da Fumio Kishida si è più speso per mostrare una certa corrispondenza tra l’invasione russa e le attività cinesi, per esempio nel Mar cinese meridionale. Ieri a Tokyo il presidente americano e il primo ministro giapponese hanno inaugurato l’Indo-Pacific Economic Framework (Ipef), una piattaforma il cui obiettivo è contrastare la potenza della Via della Seta cinese e portare più presenza americana nel Pacifico. Non molti osservatori si aspettavano l’adesione di ben tredici paesi all’Ipef (America, Giappone, India, Corea del sud, Australia, Indonesia, Thailandia, Singapore, Malesia, Filippine, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei), e Biden ha commentato l’accordo dicendo: “Stiamo scrivendo delle nuove regole. La chiave del nostro successo è l’inclusività e gli alti standard”. Ma non c’è solo una via commerciale preferenziale da costruire. Una delle priorità di Washington e Tokyo – e in parte anche di Seul, per via della questione nordcoreana – è mandare un messaggio tutt’altro che implicito a Pechino. L’America ha accordato sia al Giappone sia alla Corea del sud una estensione delle esercitazioni militari congiunte, e la parola chiave ancora una volta è deterrenza. Per il Giappone la questione taiwanese è di cruciale importanza: l’opinione pubblica giapponese è molto coinvolta nelle vicende che riguardano l’ex colonia prediletta dell’Impero, e le relazioni bilaterali fra Tokyo e Taipei sono granitiche. Soprattutto dal 2015 quando, durante l’Amministrazione di Shinzo Abe, è stata approvata la legge sulla Sicurezza. Secondo la Costituzione giapponese scritta nel Dopoguerra, Tokyo non può avere un esercito regolare ma solo delle Forze di autodifesa che teoricamente potrebbero rispondere esclusivamente in caso di attacco diretto sul proprio territorio. La legge sulla Sicurezza ha cambiato questo dettaglio, e attualmente le Forze armate nipponiche potrebbero intervenire nel caso in cui “si verifichi un attacco contro il Giappone o contro un paese straniero che ha una stretta relazione con il Giappone” e se “rappresenta un chiaro pericolo di cambiare il diritto delle persone alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità”. Se la Cina dovesse tentare un attacco armato contro l’isola di Taiwan, il Giappone avrebbe anche una cornice legale per intervenire in suo sostegno. Pechino dovrebbe dover affrontare sia l’America sia il Giappone, contemporaneamente. La strategia della deterrenza funziona anche così.
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