Il partito putiniano d'Italia Analisi di Angelo Panebianco
Testata: Corriere della Sera Data: 24 maggio 2022 Pagina: 1 Autore: Angelo Panebianco Titolo: «Il partito putiniano d'Italia»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/05/2022, a pag.1 con il titolo "Il partito putiniano d'Italia" l'editoriale di Angelo Panebianco.
Angelo Panebianco
Vladimir Putin con Xi Jinping
Ci fu un momento nella Firenze del tardo Duecento in cui il legato pontificio riuscì a costringere guelfi e ghibellini a governare insieme la città. Un po’ per celia e un po’ sul serio ci si può chiedere se dalle parti della curia romana ci sarà qualcuno così autorevole da convincere i due partiti che saranno probabilmente più votati alle prossime elezioni, Pd e Fratelli d’Italia, a governare insieme. Dal momento che, grazie all’intelligenza e al coraggio dei loro leader, essi si sono schierati — senza riserve mentali — dalla stessa parte (quella occidentale) in questa guerra. Al di là dei paradossi, resta che entrambi quei partiti, in caso di vittoria elettorale, sarebbero costretti a porsi una domanda: come fare a mandare all’opposizione, o comunque mettere in condizione di non nuocere, il vasto e variegato partito putiniano italiano? Sembra davvero che pochi riescano a trarre qualche utile lezione dalla storia. Per esempio, tanti faticano a comprendere il fatto che siano i conflitti internazionali a decidere delle sorti dei regimi politici. Stabilizzandoli o mandandoli a gambe all’aria. E questo vale anche per le Repubbliche. Compresa la nostra. Sfugge l’essenziale a chi crede che non ci sia alcun collegamento fra gli eventi internazionali, e le scelte dei Paesi in relazione ad essi, e ciò che accade all’interno di quei Paesi. I gruppi dirigenti dei due partiti (secondo i sondaggi) più forti, dovrebbero riflettere — e riflettere in fretta poiché il tempo a disposizione non è molto — su quanto segue. Il quadro internazionale è assai cupo. Una guerra che sembra destinata a durare a lungo e una recessione mondiale alle porte assomigliano a una tempesta perfetta. Si aggiungano le difficoltà dell’Amministrazione americana dopo una probabile sconfitta nelle elezioni di midterm di novembre, la possibilità che Macron non disponga di una solida maggioranza dopo le elezioni parlamentari di giugno, le perduranti incertezze e oscillazioni di una Germania manifestamente priva di una guida forte e autorevole. Con il fiato di Putin sul collo di tutti quanti. E i cinesi in beata attesa di comprare a prezzi di saldo tutto ciò che sarà possibile comprare in questa parte del continente euroasiatico. Si osservi poi la situazione italiana. Logorare il governo Draghi è ormai l’attività a tempo pieno di 5 Stelle e Lega. Se fallisce(e le probabilità di fallimento sono a questo punto assai elevate) l’azione del governo in materia di impiego dei fondi Recovery nel rispetto dei patti concordati con Bruxelles, ci saranno due conseguenze: l’impossibilità di contrastare gli effetti più drammatici della recessione e un danno reputazionale che si ripercuoterà sul lungo termine. l’Italia si sarà definitivamente dimostrata totalmente inaffidabile agli occhi degli altri europei. Diventeremo i paria d’Europa. Domanda per Pd e Fratelli d’Italia: ha senso vincere le elezioni e poi trovarsi a governare su un cumulo di macerie? La domanda chiama anche in causa il problema rappresentato dalle nostre debolissime istituzioni. Si sta facendo strada l’idea che occorra tornare alla proporzionale. E, in effetti, sembra al momento l’unica strada percorribile.
Sorvolo sul fatto che, come forse si può capire, questa è un’ammissione sofferta per chi, come chi scrive, ha difeso per trent’anni l’idea di una democrazia maggioritaria. Ma ciò che oggi più conta è che con la legge attuale, dopo le elezioni, si formerebbe sicuramente un governo, vinca la destra o vinca la sinistra, disunito su quasi tutto e, soprattutto, disunito sull’essenziale: la posizione internazionale del Paese. La proporzionale non ci garantisce contro questo rischio ma, almeno, lascia aperta la possibilità che, per via parlamentare, si formi una coalizione con una qualche unità di intenti sulla politica estera. Per lo meno, se la forza del partito putiniano (il potenziale «grande centro» — 5 Stelle, Lega , Berlusconi — di cui ha scritto Paolo Mieli sul Corriere del 23 maggio), oggi maggioritario in Parlamento, verrà seriamente ridimensionato dalle scelte degli elettori. Forse bisogna scommettere sul fatto che, quando cambiano i sistemi elettorali, cambiano anche, almeno in parte, l’offerta politica e, per conseguenza, le possibilità di scelta degli elettori. In ogni caso, chi crede che basterebbe il ritorno alla proporzionale per mettere in sicurezza la Repubblica, si sbaglia di grosso. Tanto per fare un solo esempio: basterebbe la proporzionale o bisognerebbe introdurre altri correttivi per ridare funzionalità al Parlamento dopo la scriteriata (perché fatta in quel modo) riduzione dei parlamentari? Pd e Fratelli d’Italia dovrebbero smetterla di piantare, in materia costituzionale, solo bandierine identitarie. Il Pd, con la sua tradizionale ossessione per la difesa della Costituzione così com’è, «nata dalla Resistenza eccetera eccetera», difende di fatto una democrazia assembleare con governi deboli continuamente in balia di qualunque fazione e fazioncina parlamentare. Fratelli d’Italia non sa fare di meglio: si limita ad agitare, per ragioni identitarie, il vessillo presidenziale ben sapendo quanto ciò sia, costituzionalmente parlando, irrilevante. Oltre a tutto: che significa presidenzialismo? L’America latina è la patria del presidenzialismo in pessime versioni. E il semi-presidenzialismo francese non ha funzionato solo grazie alla elezione diretta del presidente e al sistema maggioritario a doppio turno. Ha funzionato anche perché poteva disporre di un’alta dirigenza amministrativa di qualità, cosa che non c’è da noi. Dismettete entrambi, Pd e Fratelli d’Italia, le bandierine, fate un bel disarmo simmetrico e bilanciato, e cominciate sul serio a discutere su come rafforzare le istituzioni di governo. Ne avete entrambi interesse. Partiti deboli e istituzioni di governo deboli: è la peggiore combinazione possibile per la Repubblica in questa nuova e pericolosissima fase della storia del mondo. Ci sono sicuramente dirigenti politici che lo hanno capito. Ma non c’è alcuna necessaria relazione fra capire le cose e fare qualcosa.
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