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Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/05/2022, a pag.34, con il titolo "Torino, praticamente Ucraina", la cronaca di Alessia Rastelli.
«Credeteci! Confidate anche voi nella nostra vittoria» esorta accorato lo scrittore Jurij Andruchovych, collegato da Ivano-Frankivsk, nell’Ucraina occidentale, con il pubblico del Salone di Torino. In contemporanea, nel padiglione adiacente, sta parlando Mikhail Shishkin, autore russo dissidente che vive in Svizzera: «In questo momento è difficile essere russi. Vladimir Putin ha reso la nostra lingua quella degli assassini. Mi auguro la vittoria dell’Ucraina». In un sabato già estivo di un’edizione che punta a battere ogni record, i corridoi del Lingotto sono pienissimi fin dal mattino. C’è chi arriva in cerca di un weekend sereno, festoso, ma anche chi vuole capire, confrontarsi, trovare chiavi di lettura su quanto ci circonda, a partire da un evento drammatico come l’attuale conflitto in Ucraina. Il Salone ha predisposto un apposito spazio, la Casa della Pace, dedicato sia al dibattito sia a iniziative di solidarietà. Lì ieri Giovanni Catelli, scrittore ed esperto di Ucraina, è riuscito a organizzare un incontro con tre scrittori ucraini: oltre ad Andruchovych, sono coinvolti Andrei Kurkov e Serhij Zhadan, tutti autori molto noti nel loro Paese e tradotti in italiano. Con loro anche Giovanna Brogi, traduttrice e già docente di Letteratura ucraina all’Università di Milano.
«Tre mesi fa — inizia a raccontare Andruchovych, pubblicato in Italia da Del Vecchio, Besa e Salento Books — stavo lavorando a un nuovo libro. Avevo deciso di ambientarlo negli anni Settanta, ma sono arrivato solo al terzo capitolo. Dal 24 febbraio, quando è scoppiata la guerra, mi sono fermato. Sia per il mio stato d’animo scioccato sia perché giornalisti, artisti, altri autori hanno iniziato a chiamarmi per parlare della guerra. Ho capito che ora è quello che devo fare». Anche Zhadan ha bloccato la scrittura per un impegno più attivo, ma comunque attraverso l’arte e la cultura. Narratore, poeta e saggista, nella nostra lingua è pubblicato da Voland (tra i titoli, il romanzo del 2012 La strada del Donbas). Ma è pure compositore e cantautore. Al Salone invia una testimonianza da Kharkiv. «Con il mio gruppo musicale — ricostruisce — mi trovavo in Ucraina occidentale quando la Russia ci ha invaso. Abbiamo subito deciso di tornare a Kharkiv. Qui abbiamo distribuito cibo e generi alimentari, ma anche tenuto concerti nelle metropolitane e nei rifugi per tenere alto il morale». Adesso la situazione «è relativamente più calma — prosegue — ma nelle vicinanze ci sono ancora bombardamenti. Ieri abbiamo riaperto la prima libreria. È fondamentale far vedere che la vita intellettuale continua, che Kharkiv non è solo una città di guerra ma anche di cultura: così ci si sente vivi. Alle nostre attività non partecipa tutta la popolazione, ma tra noi, altri civili che ci sostengono e i soldati ci aiutiamo e il morale è assai alto». Kurkov invece vive a Kiev. In italiano è uscito lo scorso 30 marzo con Jimi Hendrix a Leopoli, pubblicato da Keller, suo editore dal 2014 dopo i primi titoli per Garzanti. Ucraino russofono e scrittore prolifico, è tradotto in oltre 25 lingue e ora ha deciso di viaggiare fuori dall’Ucraina per parlare di quanto sta accadendo. Al Salone invia un video dalla Francia, dove è arrivato dopo essere stato negli Stati Uniti. «Ho scritto in russo — dice — più di venti romanzi e parecchi libri per bambini. Vivo da sempre in Ucraina e non ho mai avuto problemi con la pubblicazione, mentre i miei titoli non escono in Russia». Inoltre, tiene a precisare: «Non ho chiesto a nessun Putin di difendermi, e come me gli altri russofoni, specie gli scrittori. Questa guerra è anche contro la cultura ucraina e la nostra identità, basate su una differente mentalità: nel nostro Paese siamo individualisti, non rispettiamo per forza i nostri leader e possiamo criticarli, abbiamo le nostre opinioni. È anche per questo che combattiamo per restare ucraini e non diventare russi». «Non si vuole che l’Ucraina esista più», conferma Andruchovych. I russi «hanno in mano liste di autori e volumi ucraini da cancellare, distruggono le librerie e la nostra architettura. È colpa di Putin, per il quale tutto è Russia. Come resistere è un nostro problema, ma anche di tutto il mondo civilizzato». Molte considerazioni degli autori ucraini coincidono con quanto, negli stessi istanti, sta dicendo Shishkin, tra i finalisti al Premio Strega Europeo con Punto di fuga (21lettere): un libro del 2010 di recente arrivato in italiano «nel quale, attraverso una metafora, anticipavo la guerra che sarebbe iniziata nel 2014 per la Crimea».
Oggi, riflette l’autore al Salone, «bisogna ridefinire anche che cosa sia la Russia. Ci sono due nazioni diverse: una parte piccola della popolazione, di cui faccio parte, è composta da russi europei, intesi semplicemente come coloro che condividono i valori dell’Europa, responsabili di decidere cosa è bene e male e di schierarsi eventualmente contro il potere. Gli altri russi vivono ancora nell’imperialismo, anzi nel Medioevo: si schierano sempre con il leader, con lo “zar”, indipendentemente da che cosa faccia». A «la Lettura» #546, Shishkin aveva parlato del ruolo della letteratura e di quanto potrà diventare importante per ricucire le ferite dopo la guerra: «Ci sarà un’ondata di libri meravigliosi. Gli ucraini scriveranno di un Paese libero, della difesa della dignità, della vittoria dell’umanesimo. Gli autori russi si chiederanno: come abbiamo potuto?». E al Salone Kurkov aggiunge: «Parlare ora di pratica letteraria o teoria dell’arte e della musica è impossibile, la situazione è ancora troppo incerta e tesa. Però sono sicuro che da questa esperienza verrà fuori per noi una grande fioritura culturale e civile. Ci vorrà molta forza e pazienza, ma le energie si avvertono già». E intanto al pubblico italiano chiede: «Leggete la letteratura ucraina, studiate la nostra storia». Al Lingotto non mancano gli strumenti per farlo. E per capire come siamo arrivati a oggi. Nello stand dell’editrice Viella, ad esempio, si possono vedere poco distanti sul tavolo sia la raccolta di saggi L’età di Kiev e la sua eredità nell’incontro con l’Occidente, a cura di Gabriele De Rosa e Francesca Lomastro , sia il saggio L’eredità difficile. La Russia, la rivoluzione e la memoria (1917-2017) di Maria Ferretti. Torna al passato anche Giovanna Brogi: «Negli anni Trenta del Novecento l’Ucraina fu colpita demograficamente ma anche decapitata della sua classe intellettuale. Fu sorprendente come dagli anni Sessanta ripartì una letteratura di valore, poi esplosa dal 1991 con l’indipendenza del Paese. Una produzione che uscì dagli schemi sovietici, di livello internazionale, firmata anche da molte scrittrici. Quindi sono fiduciosa che la cultura e il senso civile andranno di pari passo, in parallelo a un’identità europea che si sta ancora formando». «Noi vogliamo fare parte della grande famiglia europea», conferma Andruchovych. «La concezione di questa guerra da parte dell’aggressore — prosegue — adesso è cambiata: si sta andando verso un conflitto di lungo periodo. Ma l’Unione Europea, e l’Occidente, possono aiutarci a fermare i piani di Putin. Abbiamo bisogno di aiuti sia militari sia finanziari, le sanzioni non sono abbastanza forti». E mentre alcune signore ucraine si avvicinano allo schermo per salutarlo, al pubblico italiano ripete: «Credete anche voi nella nostra vittoria».
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