Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/05/2022, a pag. 1, con il titolo "L’Italia contesa fra Putin e l’Occidente", l'analisi del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Volodymyr Zelensky
A quasi tre mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, l’Italia è diventata il palcoscenico di un evidente contrasto che richiama l’attenzione internazionale: esprime il governo Ue più impegnato a cementare il fronte euroatlantico ed al tempo stesso registra la presenza del più folto schieramento di leader politici in sintonia con le posizioni del Cremlino. L’impegno del governo Draghi a consolidare l’intesa Ue-Usa davanti all’aggressione militare russa è evidenziato da tre decisioni strategiche. Primo: sostenere le forniture di armi alla resistenza ucraina, senza le quali Kiev avrebbe già capitolato, non in maniera occasionale o superficiale ma perché è questo il cuore politico dell’intesa fra Europa e Stati Uniti, a difesa di una giovane democrazia aggredita da un potente vicino determinato a cancellarla dalla carta geografica. Secondo: favorire l’inizio di un negoziato fra Russia ed Ucraina al fine di portare ad un immediato cessate il fuoco, per consentire di porre termine alle operazioni militari, alle sofferenze dei civili ed all’emergenza alimentare globale innescata dal conflitto. Terzo: porre le basi di una nuova architettura di sicurezza europea capace di scongiurare nuovi conflitti e di includere una maggiore indipendenza energetica Ue da Paesi ad alto rischio di instabilità.
Questa direzione di marcia del premier Draghi, sostenuta dall’esecutivo, ha trovato il consenso della vasta maggioranza dell’aula in occasione del suo recente intervento a Montecitorio e garantisce al nostro Paese un ruolo politico crescente con tutti i protagonistidella grave crisi in atto. Come conferma la prossima visita del premier in Turchia dove in cima all’agenda ci sarà un possibile riassetto del mercato del gas naturale nel Mediterraneo. Ma al contempo l’Italia è anche il terreno dove tre leader della stessa maggioranza Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi - si esprimono per limitare, ridurre o addirittura fermare le forniture di armi alla resistenza ucraina. Se linguaggi e motivazioni dei tre leader hanno delle differenze, è evidente che la loro sintonia di fondo sull’ostilità all’invio di armamenti al presidente Volodymyr Zelensky contiene una reale convergenza con le posizioni della Russia, che resta intenzionata a prevalere militarmente nel conflitto e dunque vede nelle armi occidentali a Kiev il maggior ostacolo da neutralizzare. È impossibile sapere con precisione quanto tali idee di Conte, Salvini e Berlusconi riflettano le opinioni presenti nelle rispettive forze politiche ma le posizioni euroatlantiche di Di Maio fra i grillini, di Fedriga e Zaia fra i leghisti, di Brunetta, Carfagna, Cirio e Gelmini fra i forzisti, lasciano supporre che non ci siano schiaccianti convergenze sulla scelta di opporsi alla fornitura di armi a Zelensky. Da qui lo scenario di un conflitto ucraino destinato a ridisegnare gli equilibri interni a più forze politiche e forse anche a generare nuovi schieramenti nel panorama italiano, dove il fronte euroatlantico ha nel Pd di Enrico Letta il protagonista più articolato. Un simile riassetto, a ben vedere, avvenne anche all’inizio della Guerra Fredda. Se dunque il negoziato Usa-Russia andrà in porto, l’Europa andrà incontro ad un nuovo equilibrio di sicurezza, con la frontiera fral’Ucraina indipendente e quella filorussa destinata a diventare la separazione fra l’area euroatlantica e quella sotto la diretta influenza dell’autarchia russa. Vi saranno dunque in Occidente - e quindi in Italia forze politiche che si identificheranno con la comunità euroatlantica ma anche che faranno la scelta opposta. E non è difficile individuare nel variegato fronte della protesta populista e sovranista in più Paesi, con molteplici diramazioni che includono anche la galassia No Vax, gli interlocutori naturali delle autarchie. Perché il punto di convergenza fra populisti e autarchie lo ha espresso con chiarezza Vladimir Putin nell’intervista alFinancial Times del giugno 2017, quando parlò di “democrazia liberale destinata a diventare obsoleta”.
Dunque, chi non crede nella democrazia liberale sta con Putin mentre chi la vuole difendere, migliorare e magari rigenerare gli si oppone con fermezza. Ecco perché bisogna prendere sul serio il leader del Cremlino quando afferma, nel discorso del 21 febbraio, che intende riconsegnare alla Russia il proprio legittimo posto in Europa, andando dunque ben oltre Donbass e Crimea. Nella sfera di influenza che Putin ha l’ambizione di costruire non ci sono dunque solo i Paesi confinanti che ha invaso - Georgia, Ucraina e Transnistria - o che minaccia ma anche quei movimenti, partiti e leader sovranisti-populisti euroamericani che intende legare a sé per “portare scompiglio in Occidente”, proprio come previsto dalla teoria della guerra ibrida del generale Valery Gerasimov. A cui la campagna italiana sta andando, a conti fatti, assai meglio del conflitto ucraino.