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Il Foglio Rassegna Stampa
21.05.2022 Il legame Draghi-Biden
Analisi di David Carretta

Testata: Il Foglio
Data: 21 maggio 2022
Pagina: 1
Autore: David Carretta
Titolo: «Il legame Draghi-Biden»

Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 21/05/2022, a pag. 1, con il titolo "Il legame Draghi-Biden", il commento di David Carretta.

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Joe Biden con Mario Draghi

Bruxelles. La guerra in Ucraina sta facendo apparire Emmanuel Macron e Olaf Scholz, due progressisti relativamente giovani, alla guida dei due paesi “motore dell’Unione europea”, come due leader vecchi e conservatori, diventati un freno per una risposta decisa all’aggressione di Vladimir Putin. Nell’Europa post 24 febbraio l’asse franco-tedesco non solo ha perso tono e vigore, ma anche la sua centralità negli equilibri di potere interni all’Ue. I principali beneficiari sono i paesi dell’est e del nord, che hanno offerto un sostegno indefesso all’Ucraina e compiuto scelte interne coraggiose. Con il loro esempio, stanno imponendo l’agenda all’Ue. Francia e Germania sono sulla difensiva, i Paesi Bassi sono meno importanti e il sud sta diventando irrilevante. Con un’eccezione: Mario Draghi, grazie al suo rapporto speciale con Joe Biden e Janet Yellen, dà all’Italia un protagonismo inedito. Il 15 marzo i premier di Polonia, Repubblica ceca e Slovenia sono stati i primi leader occidentali ad avere il coraggio di andare a Kyiv e non passa giorno senza che un ministro dell’Europa centrale e orientale compia una visita di solidarietà. L’Estonia e la Lettonia sono gli stati membri che hanno fornito più aiuti militari rispetto al pil (quasi l’1 per cento contro lo 0,1 per cento di Germania e Francia). La Polonia è il paese che accoglie più rifugiati ucraini. La leader estone, Kaja Kallas, ha proposte di dirottare una parte dei pagamenti sul gas su un conto per la ricostruzione dell’Ucraina. La Finlandia con la Svezia ha chiesto l’adesione alla Nato, ponendo fine a decenni di tranquilla neutralità. La stessa Finlandia, con Polonia e Bulgaria, ha preferito farsi tagliare il gas dalla Russia che cedere al ricatto di Putin sul pagamento in rubli. Con l’eccezione dell’Ungheria di Viktor Orbán – il sabotatore dell’embargo europeo sul petrolio russo – i paesi dell’est e del nord si sono tutti espressi a favore dello status di candidato per l’Ucraina.

Il contrasto è totale rispetto alle indecisioni di Francia e Germania. Le telefonate di Macron a Putin e il suo appello a “non umiliare la Russia” sono il riflesso del pensiero strategico pre 24 febbraio. Lo stesso vale per Scholz quando parla al telefono con Putin e chiede il cessate il fuoco, ma non il ritiro delle truppe russe dai territori occupati. O quando annuncia la fornitura di carri armati antiaerei all’Ucraina, ma si dimentica le munizioni. Entrambi sono contrari a concedere a Volodymyr Zelensky lo status di candidato. Macron si è inventato la proposta di “Comunità politica europea” per tenere Kyiv nell’anticamera dell’Ue e ha avvertito che ci vorranno “decenni” prima dell’adesione. Scholz ha detto che non devono esserci “scorciatoie” sull’allargamento. Ma nelle discussioni interne all’Ue, i diplomatici di Macron e Scholz faticano sempre più a spiegare perché si dovrebbe fare come dicono loro. Alla fine, Francia e Germania avevano torto su Putin, la guerra e l’Ucraina. I paesi dell’est avevano ragione e la resistenza ucraina ha confermato che stanno dalla parte giusta della storia. La Commissione si trova nel mezzo tra l’asse franco-tedesco e il protagonismo dei paesi dell’est e del nord. Abituata a farsi dettare la linea da Parigi e soprattutto a Berlino, ora è costretta a tenere conto degli altri. Un esempio è l’ultimo pacchetto sull’energia RepowerEu, che contraddice alcune delle misure ispirate da Francia e Germania nel Green deal. L’Alto rappresentante, Josep Borrell, ha spostato il suo baricentro politico a est. Ha lanciato la Peace facility per finanziare con 2 miliardi di euro le forniture di armi. Ha annunciato (avventatamente) la consegna di aerei. Ha criticato la prudenza franco-tedesca su Putin. Ieri Borrell ha anche lanciato una critica al piano di pace presentato da Luigi Di Maio all’Onu. “Prendiamo nota”, ha detto l’Alto rappresentante: “Noi dell’Ue appoggiamo tutti gli sforzi per cercare di raggiungere la conclusione del conflitto, ma questo passa dall’interruzione immediata dell’aggressione e dal ritiro incondizionato delle truppe russe fuori dall’Ucraina”.

Resta il fatto che l’Italia, grazie a Draghi, ha un ruolo importante nei nuovi equilibri interni all’Ue che stanno emergendo dalla guerra in Ucraina. Il 24 febbraio l’Italia è passata dal campo dei paesi filorussi che frenavano sulle sanzioni a quello più atlantista a sostegno di Zelensky. Draghi è all’origine della decisione di congelare le riserve della Banca centrale russa e propone il tetto al prezzo di gas e petrolio (attraverso dei dazi) che manda su tutte le furie la Germania. In entrambi i casi, ha lavorato più con Washington che con Bruxelles, costruendo una “special relationship” utile per ridurre le divergenze transatlantiche. Invece di tentare come in passato di infilarsi nella coppia franco-tedesca per formare un improbabile trio, l’Italia di Draghi rappresenta un valore aggiunto a sé stante per l’Ue.

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