Riprendiamo dall'OPINIONE con il titolo "Nirenstein: 'Usano Israele come arma di distrazione di massa' " l'intervista di Dimitri Buffa a Fiamma Nirenstein.
Dimitri Buffa
Fiamma Nirenstein
“Ne abbiamo viste in questi ultimi venti e passa anni di bugie scandalose e infami sullo Stato di Israele. Dalla leggenda Onu sul massacro di Jenin nell’aprile 2002 durante l’operazione “Scudo difensivo”, undici giorni di battaglia tra terroristi ed esercito israeliano con bilancio finale di 25 morti nostri e 47 tra gli uomini di Hamas, alla vicenda del piccolo Mohammed al Dura, “ucciso” secondo la vulgata tra le braccia del padre per colpa di un cattivo soldato delle Idf, mentre pare che questo ragazzo possa essere ancora vivo, ai finti funerali di palestinesi che cadono dalle bare portate a spalla dai loro commilitoni e poi ci risalgono sopra. Come stupirsi, allora, che in un momento in cui il mondo si accorge del danno e delle guerre che portano i dittatori e gli autocrati come Vladimir Putin, si usi la triste storia della morte di una giornalista palestinese ancora una volta per dare la colpa a Israele e usare la cosa come arma di distrazione di massa?”. È un fiume in piena nelle proprie riflessioni Fiamma Nirenstein mentre accetta di condividerle con “L’Opinione”. E ricorda di essere sempre stata in prima linea, da Jenin a oggi, nel testimoniare da giornalista indipendente quanto accadeva sul campo di battaglia: “Come quella volta che andando a caccia di notizie per le strade e le case di Jenin, nei primi giorni di aprile del 2002, mentre erano ancora piene di trappole esplosive, fui salvata per miracolo dal braccio di un soldato che mi afferrò mentre stavo per mettere il piede su una mina”.
E della morte della giornalista di Al Jazeera, Shireen Abu Kaleh, che racconta Fiamma Nirenstein? È sempre tragico quando una giornalista muore sulla linea del fuoco. Ed è un fatto che chiunque ci sia stato, come è capitato a me, mette nel conto. Quello che mi dispiace è che abbiano usato la sua tragica morte, di cui non sono affatto chiare le modalità, salvo il fatto che si è trovata al momento sbagliato nel posto sbagliato, ancora una volta per spargere menzogne e infamie sul Governo e sui cittadini israeliani. Mentre al momento non ci sono prove e/o testimonianze che possano indirizzare eventuali indagini in un senso o nell’altro.
Naturalmente, però, c’è chi giura che sia stato un soldato israeliano a spararle a sangue freddo… Ma figuriamoci. Se ci fosse stato un sospetto del genere in Israele, uno che si macchiasse di un siffatto crimine finirebbe in carcere per 30 anni. È vero, invece, che i palestinesi non fanno esaminare le prove balistiche né hanno permesso una autopsia. L’hanno subito trasformata in martire della causa, cosa che non depone a favore delle loro tesi, perché se le pallottole che hanno ucciso la giornalista fossero state israeliane, le avrebbero subito date in pasto a un’opinione pubblica mondiale che sembra non attendere altro per rivolgere le proprie attenzioni contro lo Stato ebraico.
Quindi si potrebbe dire che questa disgrazia possa essere uno dei tanti esempi di disinformazione antisemita, come quelle elencate nel tuo libro “Jewish lives matter”? Eh sì, dici bene. Quando l’ho iniziato a scrivere, mi sono subita resa conto che a ogni eventuale ristampa avrei dovuto aggiungere uno o più capitoli nuovi. Questa, purtroppo, è stata la prova del nove che avevo ragione.
Conclusione? Anche fare di questa morte un totem come quella di Mohammed al Dura, cui seguì una intifada da quasi duemila morti israeliani – cioè ebrei – fa parte di un disegno più ampio, che serve a delegittimare lo Stato di Israele in quanto tale, come Stato libero e democratico, affibbiandogli ad esempio l’accusa di apartheid per tentare poi di distruggerlo, come avvenne alla fine per il Sud Africa. Con la non piccola differenza che il Sud Africa era uno Stato in cui l’apartheid c’era per davvero, mentre parlarne per la società israeliana è una cosa ridicola e assurda. Come tutti sanno. Visto che se c’è in Medio Oriente, in particolare, e nel resto del mondo, in generale, un Paese dove tutte le rappresentanze minoritarie, religiose, etniche e sessuali sono egualmente rispettate e amalgamate, quello è proprio lo Stato di Israele”.
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