Riprendiamo dalla REPUBBLICA, di oggi 18/05/2022, a pag. 35, con il titolo "Ritorno al Binario 21", la cronaca di Zita Dazzi.
Zita Dazzi
«Ormai sono così vecchia, sono stanca. Vorrei tanto fare altro, vorrei dimenticare, non rivedermi più in quella bambina che partiva verso “ignota destinazione”», dice Liliana Segre, il braccio sostenuto dal carabiniere della scorta, mentre cammina vestita di chiaro lungo il binario della sua deportazione. Oggi qui si gira un filmato che racconta la scoperta di questo luogo dell’orrore. A Liliana hanno chiesto di esserne protagonista e quindi di nuovo le toccano questi passi dolorosi, questi ricordi che non la lasciano mai. «Ma non mi chiedete di entrare nei vagoni, non lo farò più».
Liliana Segre
In questo sotterraneo oscuro, nascosto nelle viscere della stazione Centrale di Milano, dove rimbomba sordo il frastuono dei treni in partenza ai piani superiori, la senatrice a vita venne portata la prima volta con suo padre Alberto, quando aveva 13 anni, il 30 gennaio del 1944. Giorno in cui faticò persino a capire che cosa stesse succedendo, fra i latrati dei cani, le urla dei nazisti e i pianti delle persone ammassate come bestie nei vagoni blindati pronti per salire su un elevatore e mettersi in viaggio, fuori dalla vista dei passeggeri della stazione, nell’indifferenza generale. La parola che Segre ha voluto fosse scritta a caratteri cubitali all’ingresso del Memoriale della Shoah, costruito in piazza Safra, uno slargo di via Ferrante Aporti, come un monito per le generazioni future. Per cinquant’anni, Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, diventata donna, moglie e madre, non tornò più da queste parti. Venne però chiamata a dare conferme e prestare i suoi ricordi più tristi, quando l’antro abbandonato oggi noto come “Binario 21” venne scoperto dagli storici del Centro di documentazione ebraica contemporanea, il Cdec, che lo cercavano per capire come partivano gli ebrei italiani deportati ad Auschwitz.
Binario 21
Era il 1994 e venne girato un primo film,Memoria . Pochi giorni fa, un nuovo ciak. Liliana Segre, a 91 anni, ha ripercorso quelle scale e rifatto quei passi angoscianti lungo i binari ricostruiti come erano – con i carri bestiame e i nomi di tutti quelli che non sono mai tornati – per essere protagonista del secondo documentario del regista Ruggero Gabbai. «Siamo venuti qui di nuovo con Liliana per girare altre immagini da montare assieme a parti inedite delle riprese per il primo film, dove c’era lei, davanti a questo stesso montavagoni, che era stato appena scoperto, l’unico rimasto nello stato originale. Per me era importante che ci fosse un legame iconografico che rendesse l’esperienza visiva di oggi coerente con le immagini di trent’anni fa», spiega Gabbai. Il nuovo filmato, infatti, aggiungerà tutti i dettagli emersi negli ultimi decenni su questo luogo intriso di sofferenza, da dopartirono migliaia di ebrei e di prigionieri politici. Il video verrà mostrato il 15 giugno, all’inaugurazione pubblica della nuova sede dell’archivio e della immensa biblioteca del Cdec nello spazio appena ristrutturato all’interno del Memoriale, che diventerà così il più grande Polo della Memoria in Italia, con 45 mila volumi sulla storia delle deportazioni, aule e laboratori destinati a lezioni, convegni e seminari. «Faccio sempre più fatica a parlare di queste cose perché io sono molto diversa da trent’anni fa», spiega Segre, mentre i cameramen aggiustano gli obiettivi e posizionano le luci che la investono nell’oscurità densa di storia di questo binario nascosto sotto le strade di Milano. Ciak, si gira: «Sono vecchissima ormai, ho imparato tanto dagli studenti con cui ho parlato. Ho capito fino in fondo la grande indifferenza, perché probabilmente a nulla è servito tutto questo che ho visto e ho raccontato tante volte. Milioni di morti sono morti invano, la guerra continua, la violenza continua, l’indifferenza continua. E in relazione al numero dei cittadini e dei turisti di questa città, il Memoriale della Shoah è conosciuto pochissimo».
Nel backstage delle riprese, la senatrice viene accolta con calore da Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto, storici del Cdec, autori di tante ricerche e libri su questi temi. Furono loro a scoprire questo posto, interrogando vecchi ferrovieri restii a parlare dei segreti della Stazione, facendosi accompagnare di nascosto nei sotterranei sotto alla galleria delle partenze, dove venivano smistati i sacchi della posta, e poi, con la requisizione dell’area da parte dei nazisti nel ’43, anche gli esseri umani condannati «per la colpa di esser nati», come dice Liliana Segre. La senatrice raggiunge il luogo dove i vagoni venivano caricati di prigionieri, e poi sprangati, per essere infine posizionati sul “carrello traslatore”. Lentamente ripercorre quella banchina, spiega che lei e altri deportati si sporsero dai finestrini per vedere che cosa succedeva fuori. «E guardavamo anche durante il viaggio, perché non sapevamo dove eravamo e dove si andava». Sul muro ci sono foto e nomi di tanti ebrei che fecero quello stesso tragitto verso l’orrore. «Ecco le sorelle Sacerdoti – si ferma a ricordare – Laura è morta lì, Luciana invece si salvò, forse perché sapeva le lingue, forse perché aveva più forza. Dividevamo il giaciglio, ad Auschwitz. Eravamo tutte giovani donne. Le anziane venivano eliminate subito». Si girano immagini davanti all’ascensore montavagoni che trasferiva i convogli completati e chiusi fino ai binari di manovra, all’aria aperta, appena fuori dall’enorme tettoia curva e vetrata della Stazione. “Vietato trasporto persone”, recita beffardamente un cartello. Liliana ha quell’espressione contratta che le viene quando affronta la tragedia dei suoi ricordi. Ma si fa forza, perché trasmettere la Memoria è passare il testimone alle future generazioni. Si mette davanti al montacarichi, in quel cono di luce straziante, perché da lì si arriva ai binari in superficie, da dove il viaggio è cominciato. Gli operatori la inquadrano e il regista Gabbai le chiede con dolcezza qualche altro particolare. «Questi binari che sono stati il collegamento fra l’Italia e Auschwitz-Birkenau, tu che cosa ricordi di quel giorno in cui arrivasti? ».
Liliana stringe gli occhi, quasi sussurra: «È un’ansia, quella di essere prigionieri, che non ti lascia mai, anche dopo tanti anni. Quella mattina mi sono resa conto di che cosa succedeva agli ebrei, cioè che noi eravamo in un antro scuro e misterioso e questo elevatore ci portava su, alla stazione, da dove era partita mille volte questa ragazzina per andare magari in vacanza, una ragazzina che non poteva immaginare quello che poi avrebbe scoperto nella vita. Quello è stato l’inizio delle mie camminate lungo i vagoni. Ogni volta è stato peggio. Non mi sono mai dimenticata di quel vagone e di chi c’era dentro».
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