Libano: alle urne vince la protesta anti-Hezbollah Commento di Enrico Franceschini
Testata: La Repubblica Data: 17 maggio 2022 Pagina: 34 Autore: Enrico Franceschini Titolo: «A Beirut un lume si è acceso»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/05/2022, a pag. 34, il commento di Enrico Franceschini dal titolo "A Beirut un lume si è acceso".
Enrico Franceschini
Il Libano rappresenta un’anomalia in Medio Oriente. È l’unico Paese arabo in cui l’Islam non è la religione dominante: la popolazione è composta da un 28,7 per cento di musulmani sunniti, un 28,4 per cento di musulmani sciiti e un 41 per cento di cristiani, suddivisi tra maroniti, greco-ortodossi, armeni e altre denominazioni, più un 5,2 per cento di drusi, che pur essendo di derivazione sciita non si identificano come musulmani, e altre minoranze. Dopo la fine del colonialismo francese, con l’indipendenza raggiunta nella Seconda guerra mondiale, la varietà di fedi e la posizione geografica hanno contribuito a farne una nazione vivace, cosmopolita e dinamica, soprannominata “la Svizzera del Medio Oriente”, celebre per la gioia di vivere che faceva chiamare Beirut “la Parigi mediorientale”. Era anche una democrazia, altra caratteristica anomala in una regione di rais autocratici. I verbi sono al passato, tuttavia, perché da mezzo secolo il Paese dei Cedri è teatro di guerre civili, assassini politici e terrorismo, a cui aggiungere dinastie di politici corrotti: è stato prima il quartiere generale in esilio dell’Olp palestinese di Yasser Arafat, quindi un protettorato della Siria, ora è l’Iran che cerca di controllarlo, sobillando i conflitti delle milizie sciite di Hezbollah contro Israele, in uno dei quali, nel 2006, morì l’ultimo giorno di guerra durante il servizio di leva il figlio del grande scrittore israeliano David Grossman.
L’esplosione del 2020 nel porto della capitale, provocata da un enorme quantitativo di nitrato di ammonio abbandonato per fini mai stabiliti con certezza, causa di 214 morti e più di 7 mila feriti, ha innescato una crisi economica che da allora ha visto l’80 per cento dei libanesi precipitare sotto la soglia della povertà, la moneta perdere il 40 per cento del valore el’emigrazione aumentare del 440 per cento. Quel botto spaventoso, che ha lasciato centinaia di migliaia di persone senza casa, è sembrato il segnale che per il Libano non c’è niente da fare: e l’ultimo spenga la luce. Adesso a Beirut si è riaccesa una luce. È soltanto un fragile lume, beninteso, nelle tenebre della precarietà e del caos, ma proprio per questo degno di venire sottolineato. Nelle elezioni che si sono tenute domenica, i cui risultati non sono ancora definitivi, il partito di Hezbollah che aveva finora la maggioranza sembra avere tenuto senza aumentare il bacino di consensi, ma hanno perso terreno i suoi alleati cristiani fedeli al presidente della repubblica Michel Aoun e l’alleato druso del presidente, anch’essi legati a Teheran. Ha invece guadagnato seggi il partito cristiano Forza Libanese, appoggiato dall’Arabia Saudita. Un esito che da un lato ripropone nel microcosmo del Libano (6 milioni di abitanti) lo scontro per procura tra Iran e sauditi, tra sciiti e sunniti; dall’altro lascia trapelare lo scontento dei cristiani più in miseria, quelli che vivevano nella zona portuale distrutta dalla deflagrazione. Balza agli occhi anche un terzo elemento: la fortissima astensione. Solo il 41 per cento degli elettori è andato alle urne, contro il 55 per cento della votazione precedente: alla vigilia delle elezioni l’ex primo ministro Saad Hariri, leader della comunità musulmana sunnita, aveva esortato a un boicottaggio, per cui anche il non-voto appare come una protesta contro l’ establishment identificato soprattutto con Hezbollah, i musulmani sciiti e i loro manovratori iraniani. È presto per immaginare che il Libano possa risorgere dalle ceneri. La tenue fiamma accesa dal voto di domenica, tuttavia, permette almeno di sperare.
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