Alta tensione in Israele, tra attentati e la morte della giornalista di Al Jazeera Commento di Francesca Caferri
Testata: La Repubblica Data: 15 maggio 2022 Pagina: 16 Autore: Francesca Caferri Titolo: «Da Gerusalemme al campo di Jenin il filo rosso di violenza fra Israele e palestinesi»
Riprendiamo daREPUBBLICAdi oggi, 15/05/2022, a pag.16 con il titolo "Da Gerusalemme al campo di Jenin il filo rosso di violenza fra Israele e palestinesi", l'analisi di Francesca Caferri.
In questo video, a cura di Giorgio Pavoncello, viene denunciata la cultura della menzogna e le false accuse arabe palestinesi contro Israele sul caso della giornalista uccisa:
Da Gerusalemme a Jenin. E da Jenin, di nuovo a Gerusalemme. Il filo rosso che la morte della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh ha portato davanti agli occhi del mondo è vecchio di anni. Si dipana attraverso quelli che recentemente sono stati due fra i punti più caldi degli scontri tra Israele e palestinesi: fra mercoledì (quando la reporter è stata uccisa) e venerdì (quando c’è stato il funerale) li ha uniti, portando all’attenzione il fuoco che da settimane (per parlare solo degli ultimi capitoli di questa storia infinita) cova sotto la cenere in Israele. Negli ultimi due mesi lo Stato ebraico è stato teatro di una scia di attentati che non si vedeva da tempo: 19 persone sono state uccise in diversi attacchi, portati a compimento da terroristi solitari. Trenta palestrinesi sono stati uccisi nello stesso periodo. Alcuni di loro erano terroristi in azione o colpiti mentre erano in fuga: altri civili come Abu Akleh e Hanan Khadour, una studentessa uccisa un mese fa nella stessa Jenin sul pullman in cui tornava da scuola.
La vignetta di Dry Bones: "Il 15 maggio 1948 l'Onu ha riconosciuto Israele e chiesto agli arabi di fondare il loro Stato. Ogni anno per gli arabi il 15 maggio è il 'Giorno del disastro'... rimproverano ancora ai loro nonni di non aver fondato un proprio Stato nel 1948?" "No, rimproverano i nostri nonni per aver fondato il nostro!"
Gerusalemme
È, da sempre, il luogo dello scontro. Limitandosi agli ultimi ventiquattro mesi l’epicentro ha un nome chiaro e ben definito. Si chiama Sheik Jarrah ed è il punto di Gerusalemme Est dove venerdì stava passando il corteo funebre di Abu Akleh quando è stato aggredito dalla poliziaisraeliana. Sheikh Jarrah è, come l’intera Gerusalemme Est, un luogo conteso: ma lo è più di altri. Qui alcune famiglie palestinesi vivono dagli anni ’50 in case assegnate loro dalle autorità giordane (che hanno controllato Gerusalemme Est fra il 1948 e il 1967) come ricompensa per le case perdute in altre zone a favore di cittadini ebrei: ma non hanno titolidi proprietà e il possesso della terra è rivendicato da un gruppo di ebrei ultraortodossi. La minaccia di espulsione di quattro famiglie provocò un anno fa scontri e tensioni, con morti e feriti, a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e in Israele. E innescò un nuovo attacco israeliano contro Gaza dopo il lancio di razzi da parte di Hamas. Qualche settimana fa glisgombri sono stati sospesi dall’Alta corte israeliana. Ma l’atmosfera nella zona resta tesa: e ogni manifestazione di nazionalismo palestinese è mal tollerata dagli israeliani. Il funerale della reporter, con le bandiere e i canti che accompagnavano il feretro, ha caricato di ulteriore tensione l’area (che già nelle settimane del Ramadan era stata teatro di scontri). Ieri la polizia israeliana ha ordinato sulle cariche contro il corteo un’inchiesta. Inchiesta che era stata auspicata venerdì sanche dal presidente Usa, Joe Biden (Abu Akleh aveva anche cittadinanza americana).
Jenin
Il campo profughi in Cisgiordania dove Abu Akleh è stata uccisa mercoledì è da sempre uno dei centri della resistenza contro gli israeliani. Si estende per 500 metri quadrati e ospita circa 15mila persone. Da qui sono partiti alcuni degli attentatori che hanno colpito Israele sia negli anni passati che nell’ultima ondata di attacchi. Per questo qui si è concentrata l’azione delle Forze armate dello Stato ebraico nelle ultime settimane: la tattica scelta non è stata quella dell’attacco frontale, come in passato, ma della cattura dei sospetti che Israele considera pericolosi. Esattamente quello che è accaduto quando Abu Akleh è stata uccisa: sulla scena in quel momento, hanno rivelato fonti dell’esercito al Jerusalem Post ,operava la famosa unità di elite sotto copertura Duvdevan: le fonti hanno spiegato che era alla caccia di un membro della Jihad islamica e che si trovava in direzione opposta rispetto alla giornalista uccisa. Ma la sua stessa presenza racconta quello che da settimane accade a Jenin: operazioni militari israeliane, reazioni palestinesi, morti e feriti. A morire venerdì è stato anche un militare israeliano che stava indagando sulla morte della giornalistadi al Jazeera.
Le conseguenze
Il primo ministro Naftali Bennett, in difficoltà con la sua coalizione di governo, ha appunto scelto di rispondere agli attacchi di queste settimane con operazioni mirate e non con una manovra militare completa, come avvenuto in passato: ieriHaaretz si chiedeva quanto la tattica potrà tenere se ci sarà una nuova esplosione di violenza. Esplosione che è potenzialmente all’orizzonte già oggi, giornata in cui i palestinesi commemorano la Nakba, la catastrofe, la cacciata dalle loro terre. Attivisti ultraortodossi hanno invitato i fedeli a recarsi sul Monte del Tempio, la Spianata delle Moschee per i musulmani. Hamas ha annunciato ripercussioni se ciò avverrà.
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