Kiev come Dunkerque: la grande fuga dei civili Cronaca di Paolo Brera
Testata: La Repubblica Data: 14 maggio 2022 Pagina: 7 Autore: Paolo Brera Titolo: «Kiev come Dunkerque, donne e bimbi salvati dai pescatori del Dnepr»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/05/2022, a pag. 7, con il titolo "Kiev come Dunkerque, donne e bimbi salvati dai pescatori del Dnepr", l'analisi di Paolo Brera.
C’è questa piccola Dunkerque tra canneti e isolotti, tra nidi di cicogna e marcite sulle sponde del Mar di Kiev: nel dramma della guerra, ci è fiorita una storia tenera di salvezza e di coraggio, di pescatori con il cuore grande e di duemila vite in pericolo traghettate in salvo varcando il lago ghiacciato. Rischiando la vita in viaggi infernali tra i droni e la paura d’affondare, li hanno portati sull’altra sponda del lago artificiale sul Dnepr che dalla diga a Kiev arriva al confine bielorusso, lontano da bombe e orrori. Di qua i russi, bloccati e infuriati; sull’altra riva la via per Kiev, per sopravvivere e scampare alla follia della guerra. Così i pescatori hanno messo su una piccola Operazione Dynamo «per mamme incinte e anziani, bimbi impauriti e malati senza cibo e medicine». Come 82 anni fa i pescatori di Dover sulle coste francesi a Dunkerque, a marzo Olena e Anatolij e tutti gli altri della coop pescatori di Strakholissya — questo paesino di 600 anime a 120 chilometri da Kiev — hanno salvato i poveracci di dieci paesi tagliati fuori dal mondo, affamati e minacciati dai russi: «Più di duemila persone», raccontano fieri. Qui dove i russi sono arrivati già il 24 febbraio con una scia di arroganza e terrore, il mare di Kiev era ancora ostile, ricoperto da una coltre di ghiaccio. Ma a Strakholissya, il paesino di pescatori dal significato inquietante di “Foresta della paura”, non hanno messo piede. È in una piccola penisola, non ne valeva la pena. «Ci viviamo in 600, ma con l’invasione eravamo 800 — racconta Olena Aguzarova, 45 anni, ex sindaco e coordinatrice della coop pescatori — tanti erano venuti pensando fosse più sicuro». A Strakholissya, circondata dai russi nella piana alluvionale che in primavera esplode di grazia e vita, il nemico era l’isolamento e la fame. «Avevamo le patate in cantina insieme alle conserve», le zucchine salate e i sottaceti, peperoni e cetrioli, le verdure tritate e condite con sale e aceto, aneto e prezzemolo. In campagna si sopravvive sempre. Ma «c’era Tanya che doveva partorire: una gravidanza difficile, aveva prenotato il cesareo e i russi non facevano passare nessuno», dice Olena Olijseva, un’altra delle pescatrici di Strakholissya. «Normalmente non si esce in barca a marzo con il lago ghiacciato. Ma bisognava fare qualcosa», dice Olena Aguzarova. «Abbiamo aspettato le condizioni favorevoli — spiega Anatolij Melnik, pescatore 49enne — quando il vento è buono il ghiaccio si assottiglia e si può provare».
Caricano Tanya Bilash e via su questa barchetta di acque chete, che non ha certo l’aspetto da rompighiacci. «Siamo partiti il 12 marzo, con meno 11 gradi. Alzando la barca a prua — spiega Anatolij — se il ghiaccio è sottile e c’è l’onda giusta la prua si appoggia e lo rompe». La traversata «di solito dura 40 minuti, ci sono volute due ore», racconta Anatolij. Per Tanya c’è un materassino da panca e coperte calde, «tremava di gelo e paura» ma era «sempre meglio dei russi». Tanya oggi ha un bel bimbo che si chiama Andreij come il suo Caronte verso la vita. Di bocca in bocca, di campagna in paese, la voce èarrivata agli altri dispersi oltre la foresta delle paure, tra betulle e stagni. «Venivano qui affamati, impauriti ». Aspettando il buon vento «li ospitavamo con quello che potevamo. Qualcuno piangeva e ringraziava per pane e patate — dice Olena Alijeva — altri si lamentavano: perché così poco? Ma la gioia, oggi, sono centinaia di donne salvate con i bimbi in Italia, in Spagna o in Polonia». «Facevamo tre viaggi al giorno — continua Alijeva — con due barche per volta. Dovevamo ottimizzare tutto ». Collette per la benzina, pieno carico e ritorno con cibo e medicine. Dall’altra parte li aspettavano i pescatori di Rovzhy, punto di approdo. «I droni ci sorvolavano ma non ci hanno spa rato. Un giorno lo hanno fatto gli ucraini, non sapendo chi fossimo. Beh, valeva la pena rischiare no?».
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