Quale processo di pace?
Analisi di Michelle Mazel
A destra: la road map verso la pace dei terroristi arabi palestinesi
(traduzione di Yehudit Weisz)
Tralasciando per un momento la situazione in Ucraina, Stati Uniti, Unione Europea e alcuni Paesi arabi esprimono la loro preoccupazione per la decisione israeliana di autorizzare la costruzione di nuove abitazioni in Giudea e Samaria. Infatti per il Segretario di Stato americano, questa decisione potrebbe essere fatale per quello che lui si ostina a chiamare “il processo di pace.” Sarebbe interessante avere maggiori dettagli sull'oggetto della sua sollecitudine. La pace, tutti sanno di cosa si tratta. Ma il processo? Prendendo come riferimento il dizionario Larousse, il processo è una “Sequenza ordinata di fatti o di fenomeni che rispondono ad un certo schema e che portano a qualcosa.” È difficile qualificare come una sequenza ordinata ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo nel contesto di quello che è anche comunemente chiamato il conflitto israelo-palestinese.
Di difficile comprensione è anche l'affermazione di un portavoce del Dipartimento di Stato, che afferma che “l'Amministrazione Biden si oppone fermamente all'espansione degli insediamenti, che acuisce le tensioni e mina la fiducia tra le parti.” Ma che tipo di fiducia c'è tra le parti? E per quanto riguarda le tensioni, è difficile vedere come potrebbero essere ulteriormente esacerbate. Bisogna guardare le cose in faccia. Le cancellerie occidentali sono determinate a portare avanti una soluzione a due Stati: che Israele e “Palestina” vivano in pace e armonia per la più grande felicità di entrambi i popoli. Non si preoccupano però di alcuni piccoli ostacoli su quel percorso. Prendiamo in considerazione questo Stato di Palestina. Per la comunità internazionale, l'Autorità palestinese rappresenta i Palestinesi. Ma i palestinesi, loro, vedono tutti questa Autorità parlare a loro nome? Questo non è certamente il caso della Striscia di Gaza. Hamas, che vi ha preso il potere, cacciando i rappresentanti di Ramallah con un sanguinoso colpo di Stato, non ne riconosce l'autorità; inoltre per questa organizzazione terroristica la soluzione del conflitto passa attraverso la distruzione di Israele e l'instaurazione di un califfato islamico sulle sue rovine, e su quelle dell'Autorità. Come ha affermato così bene il suo leader Yahia Sinwar nel maggio del 2021, “la liberazione è al centro della visione strategica di Hamas, che comprende la liberazione totale della Palestina, dal mare al fiume, e il ritorno dei rifugiati nella loro patria.”
Dal mare al fiume, cioè dal Mediterraneo al Giordano. Non potrebbe essere stato più chiaro. Quanto a Mahmoud Abbas,“Abu Mazen”, il cui mandato presidenziale è scaduto da tempo, non contribuisce forse ad “esacerbare le tensioni” continuando a glorificare i terroristi che vengono a massacrare i civili in Israele, qualificando come “martiri” coloro che vengono uccisi dalle forze dell'ordine e pagando stipendi a coloro che sono stati catturati e stanno scontando lunghe condanne? Inoltre, è stato inutile che dei leader israeliani – Ehud Barak, Ehud Olmert e Tzipi Livni – si siano mostrati pronti a fare difficili concessioni per raggiungere un accordo. Sfortunatamente, le cancellerie occidentali, che non possono non essere consapevoli di ciò che sta realmente accadendo, non sono riuscite a capire che nulla di ciò che Israele potrebbe offrire soddisferebbe una leadership palestinese che insegna ai suoi giovani a odiare gli ebrei e che si ostina a chiamare gli abitanti di Tel Aviv o Haifa “coloni.” I Paesi del Golfo, invece, hanno capito. Senza aspettare una soluzione ipotetica, si sono aggiunti all'Egitto e alla Giordania e hanno fatto la pace con lo Stato ebraico.