'La resistenza ebraica in Europa. Storie e percorsi, 1939-1945', di Daniele Susini Analisi di Antonio Donno
Testata: Informazione Corretta Data: 07 maggio 2022 Pagina: 1 Autore: Antonio Donno Titolo: «'La resistenza ebraica in Europa. Storie e percorsi, 1939-1945', di Daniele Susini»
'La resistenza ebraica in Europa. Storie e percorsi, 1939-1945', di Daniele Susini
Analisi di Antonio Donno
La copertina (Donzelli ed.)
La fede in Dio. Di fronte alle fosse comuni come ultima destinazione gli ebrei erano certi che “la morte poteva essere vista come un’estrema prova di fede. […] Mettere in pratica questa forma di resistenza fu necessario per poter continuare a credere che anche in quelle tragiche condizioni ci potesse essere un futuro per se stessi e per l’ebraismo” (p. 68). La fede in Dio, anche nell’estremo momento della morte, era un atto di resistenza. Il libro di Daniele Susini, La resistenza ebraica in Europa. Storie e percorsi, 1939-1945 (Roma, Donzelli, 2021, pp. 239, con pp. 8 di inserti fotografici, presentazione di Massimo Castoldi, prefazione di Laura Fontana, postfazione di Alberto Cavaglion) mette in luce, nella sua parte iniziale, questo aspetto finora poco evidenziato, ma cruciale, nella vicenda della lotta degli ebrei europei durante gli anni della Shoah.
Daniele Susini
La resistenza ebraica si sviluppò in modi multiformi per tutta la durata della guerra. Susini, nel suo libro, esamina la resistenza armata che gli ebrei misero in atto in più di cento ghetti organizzati dai nazisti in Polonia e nella Russia occupata. È, dunque, un falso storico che si è protratto nel tempo che le stragi naziste fossero state facilitate dalla storica inerzia ebraica; è un modo infame per colpevolizzare gli ebrei e, in qualche modo, sollevare i nazisti dal peso orrendo della Shoah. Nel primo capitolo Susini analizza con grande acribia proprio questo aspetto che ha tenuto banco per tutto il secondo dopoguerra, anche tra gli Alleati, che addossarono agli ebrei dell’Europa Orientale una passività che invece era spesso, in molte situazioni particolari, rassegnazione e impotenza di fronte alla sordità degli Alleati alle richieste impellenti degli ebrei condannati a perire. Gli ebrei non erano “pecore portate al macello”, erano isolati, poveri, disarmati, perseguitati nei Paesi di forte antisemitismo e quindi esposti alla barbarie dei nazisti invasori: uomini, vecchi, donne, bambini; isolati dai contesti nei quali erano vissuti per secoli, per quanto in condizioni penose. “Gli ebrei non furono ‘vittime speciali’ – scrive Susini – fu ‘speciale’ e senza precedenti il contesto in cui furono vittime” (p. 31). Ma quando tale contesto si venne a modificare con l’ingresso degli ebrei all’interno del mondo produttivo e laico, a quel punto l’accusa non si connotò più in termini religiosi (antigiudaismo), ma si ridefinì come possesso del potere politico ed economico (antisemitismo). Gli ebrei non erano più gli uccisori di Cristo, ma i dominatori del mondo attraverso strumenti sia palesi, sia soprattutto occulti.
Nella seconda parte del libro, Susini si dedica a ricostruire forme e fasi della resistenza ebraica. Borsa nera, contrabbando, fuga, piccolo lavoro agricolo ai margini del ghetto erano forme di resistenza importanti per la pura sopravvivenza. A tutto ciò si associavano le attività religiose, il cui scopo era quello di mantenere viva la fiducia in Dio e quella di Dio negli uomini. Il rabbino di Kaunas, di fronte alle immani sciagure che si abbattevano sugli ebrei, “[…] confermò che, se il suicidio era compiuto per santificare il nome di Dio e per evitare indicibili torture, allora poteva essere lecito ed era consentita la sepoltura all’interno del cimitero ebraico” (p. 76). Ospedali, orfanatrofi, scuole (tutto nell’assoluta segretezza) erano forme di resistenza del giorno per giorno.
La lotta armata era la forma di resistenza diretta, sia nei ghetti, sia, se possibile, in situazioni esterne al ghetto. La gioventù ebraica dette prova di coraggio inesauribile e di sacrifici terribili, fino alla morte, smentendo il miserabile luogo comune della storica passività ebraica. Minsk, Riga, Bialystok, Varsavia e tante altre situazioni minori furono l’esempio di lotta armata fino all’ultimo uomo. All’interno dei campi di sterminio numerose furono le rivolte e le fughe. La resistenza partigiana vide al suo interno un cospicuo numero di ebrei. Susini, nel corso del suo prezioso libro, fa sempre riferimento alla più importante bibliografia sul tema, fornendo al lettore un quadro generale di quegli anni terribili per gli ebrei. Solo così, scrive Laura Fontana nella sua prefazione, “[…] è possibile comprendere qualcosa di come un gruppo umano minacciato di estinzione totale abbia provato a opporsi alla sua distruzione, in un’Europa sostanzialmente indifferente al suo destino e dominata dalla Germania nazista e dai suoi alleati” (p. XIX).