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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/05/2022, a pag. 2, con il titolo " 'Simulazione nucleare'. Il test con i missili che allarma l’Occidente" la cronaca di Rosalba Castelletti; dal FOGLIO, con il titolo "La traiettoria militare della guerra è costante: l’Ucraina si rafforza, la Russia s’indebolisce", l'articolo di Paola Peduzzi. Ecco gli articoli: Rosalba Castelletti: " 'Simulazione nucleare'. Il test con i missili che allarma l’Occidente"
Stavolta non c’è stato neppure bisogno di lanciare un missile in aria. È bastato premere qualche pulsante e muovere un manipolo di cento soldati per inviare un messaggio all’Occidente. Mercoledì, settantunesimo giorno di quella che qui chiamano “operazione militare speciale”, la Russia ha simulato il «lancio elettronico» di missili con capacità nucleare da Kaliningrad, la sua strategica exclave affacciata sul mar Baltico, stretta tra Polonia e Lituania. Oltre a ospitare la base della Flotta Baltica nel porto di Baltijsk, questo lembo di terra incuneato nel fianco orientale della Nato e dell’Unione Europea è la strategica rampa di lancio dei temuti missili russi Iskander. Cosa che i talk show russi non smettono di rammentare. Il 28 aprile, ad esempio, durante il programma 60 Minuti in onda suPervyj Kanal (Primo Canale), Aleksej Zhuravliov, presidente del partito nazionalista Rodina (Patria), spiegava che basterebbe lanciare, giustappunto da Kaliningrad, uno dei missili di ultissima generazione Sarmat per polverizzare le principali capitali europee entro pochi secondi: 106, per l’esattezza, per raggiungere Berlino, 200 Parigi e 202 Londra, come ben illustrava una mappa. La scorsa domenica, invece, è stato il presentatore Dmitrij Kiseliov a ipotizzare un attacco sulle isole britanniche in un segmento del suo programma della domenica intitolato “L’isola affondabile”. «Solo un lancio, Boris», ha detto riferendosi al premier britannico Johnson. «E l’Inghilterra è andata. Una volta per tutte. Perché giocare con noi?». Il primo ad alludere alla possibilità di schierare le armi nucleari tattiche, peraltro in stato d’allerta dal 27 febbraio, è stato del resto lo stesso presidente russo Vladimir Putin. Come quando ha minacciato ritorsioni «fulminee» nell’eventualità di un intervento diretto dell’Occidente in Ucraina. E la minaccia è tutt’altro che virtuale, ha voluto ricordare più volte. Il 18 febbraio — non era ancora iniziata l’offensiva in Ucraina — Putin supervisionò le esercitazioni nucleari Grom (Tuono), con l’intera “triade nucleare” in azione. Il 20 aprile testò per la prima volta il missile balistico intercontinentale Sarmat: «un’arma impareggiabile », la definì, in grado di «superare astutamente tutti i moderni sistemi antiaerei» e di trasportare testate atomiche. «Farà riflettere due volte — disse ancora Putin — coloro che cercano di minacciare il nostro Paese con una retorica selvaggia e aggressiva». Infine, mercoledì, le manovre sul Mar Baltico. A una quarantina di chilometri dai confini Ue e Nato. L’esercito russo, ha spiegato in una nota il ministero della Difesa, ha effettuato attacchi singoli e multipli su obiettivi che simulavano sistemi missilistici, aeroporti, infrastrutture, postazioni militari e di comando di un nemico — neppure tanto — immaginario. Dopo i lanci “elettronici”, un centinaio di soldati ha effettuato una manovra di cambio posizione per evitare «un possibile attacco di rappresaglia» e ha compiuto «operazioni in condizioni di radiazioni e contaminazione chimica».Sono prove muscolari che l’Occidente non «prende alla leggera», ha detto lo scorso mese il direttore della Cia William Burns. Stessa linea del capo di stato maggiore dell’esercito statunitense Mark Milley: «Monitoriamo con attenzione e prendiamo sul serio le minacce nucleari da parte della Russia», ha detto in una recente intervista. Il timore dell’intelligence Usa è che la Russia metta in pratica quella che chiama dottrina della “eskalatsija radi deeskalatsii”: “escalation per la de-escalation”. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov non fa che rassicurare che non accadrà. Putin, invece, continua con le velate minacce. Mentre la tv russa allude apertamente a un Armageddon nucleare. Tanto che il direttore diNovaja Gazeta e premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov, parlando a Ginevra martedì, ha constatato: «Da settimane non facciamo che sentire in tv che i silos nucleari dovrebbero essere aperti. Non sarebbe la fine del conflitto, ma dell’umanità». La domanda che si fanno tutti è dovefinisca il bluff.
Paola Peduzzi: "La traiettoria militare della guerra è costante: l’Ucraina si rafforza, la Russia s’indebolisce"
Paola Peduzzi Milano. Ieri ha fatto la sua prima apparizione sul campo di battaglia ucraino il Mistral, il sistema missilistico superficie-aria a corto raggio e a guida infrarossa ideato e prodotto dalla Francia. A differenza del più famoso (e utilizzato) Stinger, il Mistral non è trasportabile a spalla, ha bisogno di un lanciatore: Francia e Norvegia hanno inviato all’esercito ucraino i lanciatori e cento missili. Nelle prime foto che sono circolate ieri, i lanciatori erano montati sui pick-up, in modo da garantire una maggiore mobilità: l’obiettivo di questi missili sono i velivoli russi. Il ministro della Difesa ucraino, Dmytro Kuleba, ha spiegato due giorni fa che l’arsenale ucraino di fattura sovietica “sta diminuendo, ma l’aggressione russa no” non si ferma, per questo le forze ucraine sono passate a un equipaggiamento più moderno: “Abbiamo bisogno di training, ma impariamo in fretta”. Le forniture di armi da parte dei paesi occidentali stanno arrivando e stanno cambiando il corso della guerra. Un esempio: dieci giorni fa, cadevano sulla città di Kharkiv, nel nord-est ucraino, dai 50 agli 80 missili. Ora ne cadono in media cinque: sono devastanti, due giorni fa hanno colpito un parco della città e le immagini mostrano quanto siano indiscriminati gli attacchi russi, ma la controffensiva ucraina sta contenendo di molto i danni. Mentre parte dell’opinione pubblica occidentale si accartoccia sull’idea che fornire armi all’Ucraina sia l’ennesima provocazione guerrafondaia dell’America e della Nato, gli ucraini ringraziano e combattono. Phillips O’Brien, professore di Studi strategici all’università di St Andrews oggi ritenuto un analista imprescindibile per comprendere quel che accade sul campo di battaglia, ha spiegato in uno dei suoi preziosi thread come funziona il rinforzo bellico per i russi e per gli ucraini (O’Brien non è solo un punto di riferimento su Twitter, ha scritto una biografia splendida sull’ammiraglio William Leahy, il chief of staff di Roosevelt quando l’America entrò in guerra, l’ideatore dello sbarco in Normandia e in Sicilia, cioè l’architetto della salvezza europea). O’Brien spiega che i russi sono costretti a tirare fuori dalle cantine i mezzi per fare la guerra in Ucraina (e devono anche tirare fuori dalle case gli uomini per combatterla, questa guerra) mentre gli ucraini, grazie al sostegno occidentale, stanno diventando una forza militare moderna, ben formata, efficace. Il 90 per cento dell’artiglieria promessa dall’America all’Ucraina (il 13 aprile, quando Joe Biden ha stanziato 800 milioni di dollari, la prima tranche di un investimento che si è poi rivelato più grande) è arrivato e una parte è già operativa: all’inizio della guerra, Kyiv aveva a disposizione già l’artiglieria ma in misura molto inferiore rispetto a quella dei russi, e anche la qualità non era alta, mancavano per esempio i radar che permettono di individuare i mezzi del nemico. Se si guarda oggi l’arsenale a disposizione dell’Ucraina – il New Lines Institute ha pubblicato all’inizio della settimana un dettagliatissimo report – si vede in controluce il cambiamento che c’è stato nell’approccio occidentale al sostegno all’Ucraina nel mese di marzo, quando è stata respinta la prima offensiva russa. Il New Lines Institute sottolinea che all’inizio la straordinaria e inattesa resistenza ucraina è stata decisiva non soltanto dal punto di vista militare ma anche per convincere la leadership occidentale che Putin potesse essere respinto. Gli ucraini hanno costruito pagandone tutto il costo umano l’idea della vittoria possibile. E gli occidentali, finalmente, si sono fidati di loro e hanno iniziato a fare di tutto perché diventasse una realtà. “In sintesi – scrive O’Brien – l’Ucraina potrà schierare una artigliera più potente, più a lungo raggio e più numerosa rispetto al 24 febbraio”. Al contrario, l’esercito russo sta diventando più fragile. I numeri forniti dall’Ucraina sui mezzi colpiti sono molto alti e certamente più alti rispetto a quelli che dicono i russi, ma facendo una media e guardando anche le immagini dal campo O’Brien dice che Mosca “ha perso una quantità di sistemi moderni di guerra pari a quella che Kyiv sta ricevendo dagli alleati”, cioè l’Ucraina si rafforza mentre la Russia si indebolisce. Se si scende nei dettagli dei carri armati o di altri mezzi la compensazione risulta ancora più favorevole all’Ucraina. E lo stesso vale, secondo O’Brien, per gli uomini a disposizione: il reclutamento e la formazione degli ucraini vanno più spediti di quelli russi. E’ per questo che l’aviazione russa si è messa a colpire in modo più insistente le linee ferroviarie e le strade: deve bloccare i rifornimenti ucraini a tutti i costi. E’ anche il motivo per cui continua a colpire le città o le aree escluse dalla cosiddetta “riorganizzazione nell’est” annunciata da Putin: prova ad accanirsi sui posti più sguarniti. Ma nell’est e nel sud, dove lo sforzo russo è concentrato, l’avanzata non è affatto consistente: negli ultimi nove giorni non si è quasi mossa. Il bilancio delle vittime e l’assalto continuo a Mariupol, con lo sfregio dei preparativi per la parata del 9 maggio, fanno pensare che le considerazioni di O’Brien siano troppo ottimistiche. Il governo di Kyiv fa sapere che un’eventuale controffensiva su larga scala contro le forze russe forse non inizierà prima della metà di giugno. Ma la traiettoria della guerra, fin dall’inizio, è stata costante e a favore dell’Ucraina: serve non distrarsi.
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